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Il Re Leone, un live action sui generis

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Tendenza recente della Disney è quella di riportare sullo schermo i suoi più grandi classici in versione live action, con attori in carne ed ossa che si sostituiscano alle animazioni dei film originali. La storia di questo fenomeno a dire il vero ha radici abbastanza lontane nel tempo, vedendo come capostipite di queste riproposizioni il bellissimo La carica dei 101 del 1996. Tuttavia negli ultimi anni i progetti di questo tipo, e i loro budget, sono andati decisamente aumentando con i vari Alice in Wonderland, Cenerentola e La Bella e la Bestia che hanno raggiunto livelli di interesse inediti e inaspettati. Il 2019 appare un anno particolarmente ricco di film di questo tipo prodotti da parte della casa di Topolino, dato che oltre a Il Re Leone, nelle sale in questi giorni, hanno trionfato al botteghino primaverile prima il Dumbo di Tim Burton e poi l’Aladdin di Guy Ritchie.

Il Re Leone

La scelta de Il Re Leone apre però un nuovo capitolo di questa storia, e rischia di abbandonare la categoria di film live action puro e semplice. I protagonisti, tutti animali come nel cartone animato (unico del genere insieme a Robin Hood e a Zootropolis), sono interamente animati al computer, così come gli splendidi contesti ambientali che fanno da sfondo alla vicenda, ad eccezione della sequenza iniziale (quella del Cerchio della Vita) dove le riprese sono reali, come ha ammesso lo stesso regista Jon Favreau. Proprio la scelta di quest’ultimo come responsabile del film è stata dettata dalla sua precedente esperienza dietro alla macchina da presa del live action de Il libro della giungla, datato 2016 e apprezzatissimo soprattutto per l’uso ineccepibile della computer grafica nel ricreare gli animali protagonisti. Non ci sono dunque animali né tantomeno attori in carne ed ossa all’interno de Il Re Leone.

Il Re Leone

La vicenda è ovviamente la stessa del cartoon del 1994: il piccolo Simba, figlio del re della savana Mufasa, ambisce a crescere per succedere al padre al trono. Non ha però fatto i conti con lo zio Scar, da sempre geloso di Mufasa, che uccide il fratello e dà la colpa al povero leoncino, che decide di scappare via lontano dal suo regno e dal suo destino. In una giungla confinante con la savana Simba cresce sotto l’ala protettiva di Timon e Pumbaa, un suricato e un facocero che riescono da soli a tenere alto il tasso di comicità sia del film originale sia del rifacimento, altrimenti piuttosto scarso. Con l’aiuto della strana coppia e dell’amica Nala, Simba riuscirà a trovare sé stesso e a decidersi a tornare a casa, per scacciare una volta per tutte dal trono il dispotico Scar. L’ispirazione del soggetto è a dir poco imponente, dato che Il Re Leone si presenta come  un adattamento della tragedia shakespeariana dell’Amleto.

Il Re Leone

Il film originale è uno dei massimi capolavori d’animazione della storia del cinema e, oltre all’innegabile successo di critica (Oscar a canzone e colonna sonora, Golden Globe al miglior film commedia), ha segnato indissolubilmente un’intera generazione di spettatori grazie alle sue scene più memorabili e al suo messaggio profondo, come quasi sempre accade con i prodotti firmati Walt Disney. D’altra parte questa sempre più frenetica volontà di riportare in una chiave innovativa i classici sullo schermo risponde prima di tutto a delle logiche commerciali, specialmente quella del rilancio del brand, su cui la Disney punta ormai in maniera nettissima. L’obbiettivo è quello di riportare al cinema i bambini di un tempo sfruttando l’affetto che provano per il film originale e la curiosità di vederlo riproposto in modo nuovo, ma anche i bambini di oggi, purtroppo non più così incantati dalla magia del semplice disegno animato ma fortemente incuriositi dalle tecnologie e dalle animazioni computerizzate (in stile Pixar). Da questo punto di vista Il Re Leone sta ampiamente soddisfacendo le richieste della major: è in sala solo da una settimana ma è già il live action più di successo della storia (polverizzato in pochi giorni il record de La Bella e la Bestia) e il nono incasso di sempre al botteghino. Presumibilmente diventerà il sesto, data la ancora lunga presenza in sala e la minima distanza (anche se si parla di milioni di dollari) degli immediati precedenti in classifica.

Il Re Leone, un live action sui generis

Ovviamente c’è chi storce il naso di fronte a questa scelta della casa di Burbank. La Disney viene in particolar modo accusata (forse non a torto) di peccare in originalità, preferendo andare sull’ “usato sicuro” che strizza l’occhio agli aficionados e che non può non avere successo, nonostante gli esorbitanti costi di produzione. Il fatto poi che escano ormai meno cartoni animati originali rispetto ai remake live action conferma sicuramente questa tendenza innegabile. Probabilmente la Walt Disney Company, che è in preda a un incredibile fermento nel comprare aziende e case produttrici concorrenti e non solo (sono recenti le acquisizioni della Marvel, della LucasFilm e della Fox), non vuole rischiare flop al botteghino, che potrebbero avere effetti catastrofici.

La forza di questo film, dunque, non sta tanto in ciò che propone, ma più in come lo fa. La pellicola ha richiesto ben due anni di lavoro pressoché continuo, dapprima con le riprese reali nella savana, che dovevano fornire la base grafica su cui disporre e modellare le vicende e i protagonisti del film, e poi con le “riprese”, realizzate sfruttando perlopiù una tecnica innovativa, paragonabile alla realtà virtuale, che permetteva al regista e alla sua troupe di entrare letteralmente all’interno del set digitale per decidere dove posizionare la camera. Il risultato è ottimo, la fotografia non sembra assolutamente soltanto frutto della tecnologia. Dal punto di vista registico, Favreau non ha dovuto inventare un granché. Il film si configura per larghi tratti come un remake shot for shot dell’originale, e in generale sono poche le differenze rispetto al suo padre animato. A cambiare, anche nettamente in certi punti, è invece la sceneggiatura, firmata da Jeff Nathanson. Ciò è inevitabile, l’originale animato risale a 25 anni fa e in un lasso di tempo così lungo cambiano radicalmente i modi sia di comunicare, sia di approcciarsi al messaggio da parte degli spettatori. In questo il remake poteva fare sicuramente qualcosa in più: vengono introdotti pochi nuovi temi e suggestioni, ed essi non vengono mai sviluppati realmente fino in fondo nella maniera a cui la Disney ci ha abituati, ma solo accennati e abbozzati. Un esempio può essere la scena del combattimento finale tra Pumbaa e le iene. Ne Il Re Leone del 1994 le iene prendono in giro il facocero chiamandolo maiale, e il puzzolente suino risponde con la celeberrima battuta: “Voi dovete chiamarmi signor maiale!”. Nel film attualmente nelle sale, invece, di fronte alla stessa provocazione il facocero risponde: “Posso accettare tutto ma non chi bullizza!”, affrontando in modo però troppo superficiale un tema delicatissimo dei nostri giorni come il bullismo e la discriminazione verso chi ha problemi di peso, soprattutto in età infantile. Il proposito è più che nobile, ma la sua resa non all’altezza.

Indubbiamente l’aspetto visivo è il vero e assoluto protagonista de Il Re Leone, che rappresenta non a caso un live action sui generis, definito come tale praticamente solo per comodità, ma che in realtà si può configurare come una nuova frontiera del cinema, specialmente di quello rivolto ai più piccoli. Si potrebbe battezzare questa tecnica Digital Action: di Live infatti c’è poco se non nulla, mentre l’apporto digitale nella realizzazione del lungometraggio è stato decisivo, e farà scuola non solo nel cinema avventuroso, ma anche nelle storie e nei generi più standard. L’esperimento è interessante e fa capire i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni, il risultato è a tratti entusiasmante, soprattutto nelle scene di maggiore azione (la carica degli gnu che precede la morte di Mufasa) e molto probabilmente il film avrà ampio spazio nelle categorie tecniche dei Premi Oscar 2020. Da commentare positivamente è anche il fatto che per certi personaggi il regista abbia deciso di fare un uso contemporaneo ma molto equilibrato tra CGI e effetti ricavati dalle immagini di animali reali, che si vede perfettamente esplicitata ancora una volta nel personaggio di Pumbaa, i cui tratti somatici ricordano quelli del doppiatore originale Seth Rogen. Menzione speciale all’immortale colonna sonora di Hans Zimmer, riproposta in chiave più pop dal duo Danny Glover- Beyoncé e dalla controparte italiana Mengoni-Elisa, che riescono in entrambi i casi a dare nuovo spolvero alle hit rese immortali dalla voce di Sir Elton John.

Il Re Leone, un live action sui generis

Insomma, Il Re Leone potrebbe davvero rappresentare l’inizio di una nuova era più che nei settore degli effetti speciali, nel modo di sfruttarli per il fine narrativo: non più solo strumenti di contorno ma veri e propri protagonisti dello storytelling.

Voto Autore: [usr 3,5]

Davide Pirovano
Davide Pirovano
Mi piacciono le arti visive contemporanee e mi piace pensarle in un’ottica unificatrice. Non so mai scegliere, ma prediligo le immagini e storie di Gaspar Noé, David Fincher, Yorgos Lanthimos e Xavier Dolan.
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