Il Mercante: il documentario vincitore del Sundance Festival 2018 diretto da Tamta Gabrichidze
Vincitore del Sundance Film Festival del 2018, Il mercante, documentario prodotto e distribuito da Netflix, è un piccolo gioiello da non lasciarsi scappare. Questo cortometraggio, diretto dalla regista georgiana Tamta Gabrichidze, racconta il girovagare di un mercante di nome Gela per le strade rurali della Georgia. Quello che vediamo rappresentato è un mondo povero, dove le persone lottano per sopravvivere, in cui la difficoltà di vivere nella miseria si riflette nei loro volti e nelle loro parole.
Il Mercante: trama del documentario in streaming su Netflix
Gela gira di luogo in luogo con il proprio furgone e vende svariati oggetti per uso domestico. La moneta di scambio sono le patate, la reale e unica ricchezza delle persone che incontra lungo la sua strada. Le patate, che poi Gela rivenderà, sono ancora più importanti del denaro, sono una fonte di guadagno a cui i poveri agricoltori con cui il mercante ha a che fare non possono rinunciare.
Noi seguiamo Gela in una sua giornata tipo, lo vediamo mentre contratta con le donne e i bambini, nonché con gli anziani. Una delle scene più evocative del documentario è quella in cui un’anziana signora insiste per avere una grattugia che Gela mette in commercio, pur non potendosela permettere.
È una scena semplice, girata con un’unica inquadratura che ci mostra unicamente l’anziana signora – di Gela sentiamo solo la voce fuori campo – mentre cerca di convincere il mercante a darle la grattugia e tutto in quella scena è concentrato nel suo sguardo, nei suoi cambi di espressione e nelle variazioni nel suo tono di voce. È una scena potente perché ci racconta di un film che entra in sintonia con i propri personaggi, ne racconta l’essenza solo con le immagini.
Il Mercante: recensione del documentario di Tamta Gabrichidze
Vediamo tanti individui diversi nel corso dei ventitré minuti che compongono il film, tutti loro hanno qualcosa da dire. La macchina da presa di Tamta Gabrichidze ce li mostra prima con un’inquadratura fissa in campo medio, per poi mostrarceli da più vicino e farci ascoltare le loro parole mentre parlano di sé.
Veniamo a conoscenza dei loro sogni, delle loro speranze e le loro parole si scontrano con le immagini che vediamo: assistiamo allo squallore della povertà, alla miseria, ai vestiti sporchi, ai denti rovinati e agli sguardi colmi di rassegnazione, in netto contrasto con la delicatezza delle parole che sentiamo.
Il personaggio di Gela è solo un pretesto per raccontarci questo mondo, per veicolare il resoconto di una dimensione di disperazione, in cui i suoi abitanti sembrano però vivere in equilibrio, abituati e in qualche modo legati a quella povertà e a quelle difficoltà.
È interessante che la figura che vediamo meno sullo schermo sia proprio Gela, quel mercante che dà il titolo al film. Certo, sappiamo che c’è, lo sentiamo parlare e tutto ciò che vediamo lo vediamo perché lui è lì. Però la sua presenza sullo schermo è minore rispetto a quella di tutti gli altri personaggi. Questo non fa che rafforzare l’idea che egli sia “solo” una lente attraverso cui osservare la vita di quelle persone che incrocia lungo la strada.
Quello di Gabrichidze è un documentario poetico che ci racconta intimamente degli esseri umani e la loro lotta quotidiana. L’oggettività con cui ci vengono mostrate le loro vite va in parallelo con il forte legame che le immagini tessono tra noi e loro, seppur ognuno di loro compaia poco sullo schermo – necessariamente, vista la breve durata del film.
L’intimità che si crea tra lo spettatore e i personaggi è sufficiente a raccontarci la miseria in cui vivono, senza che le immagini debbano insistere su questo. La regia ci dice il giusto, ci mostra un degrado che, accompagnato dai volti e dalle parole dei personaggi, è sufficiente a farci scorgere tutta la povertà di quei paesi della Georgia rurale.
La quotidianità è mostrata nella sua naturalezza, che pure nella miseria acquista dignità proprio per la fluidità con cui viene raccontata – come avvenuto anche in Nomadland di Chloé Zhao, film a metà tra la finzione e il documentario.
Il film si conclude e mentre scorrono i titoli di coda sentiamo le parole di Gela: le sue parole sono l’indice di una vita sempre uguale, in cui le giornate si susseguono identiche in questo eterno viaggio in quei luoghi di miseria a cui lo stesso Gela sembra ormai abituato.
L’unico difetto di questo film è forse la sua breve durata: forse, se fosse durato più a lungo, il legame tra noi e le figure che popolano lo schermo de Il mercante sarebbe stato più forte e più intimo.