“I Tuttofare” (uscita nelle sale italiane: 9 giugno 2022) è opera della catalana Neus Ballús, regista e sceneggiatrice dall’impronta ben riconoscibile (predilige il cinema-verità-impegnato) e apprezzata a livello internazionale: i suoi film fanno il giro dei festival più prestigiosi.
Questo è il suo terzo lungometraggio. Presentato in Svizzera, a Locarno 2021, ha ricevuto il Pardo d’oro per la migliore interpretazione maschile. Sono stati premiati i due protagonisti, entrambi attori non professionisti (Ballús sceglie spesso persone del mondo reale), i due vincitori sono: Mohamed Mellali e Valero Escolar. Da applausi la loro recitazione. Merito anche di un intenso periodo di studio: si sono preparati a lungo. Mellali ed Escolar sono operai e la scrittura del copione è stata plasmata su di loro.
“I Tuttofare” è un’opera ibrida. Mescola generi (documentario e commedia) e stili. Realismo e surrealismo. Ne vien fuori un film che ricorda il mondo di Ken Loach ma anche, vagamente, certe atmosfere di Pedro Almodóvar.
Al centro del racconto la vita e il lavoro di tre idraulici (e tuttofare): due spagnoli e un giovane del Marocco.
La regista, a proposito, ha detto: “Mio padre è un idraulico. Nel corso degli anni ho sentito ogni sorta di storie sul suo lavoro e sulle strane situazioni in cui si è imbattuto nelle case dei clienti”.
Il film nasce per scardinare i pregiudizi, come ha spiegato Ballús: “Ho sentito raccontare ogni sorta di ingiustizia nei confronti di operai provenienti dal Marocco, dall’Africa sub- Sahariana e dal Pakistan. È evidente che la nostra società è impregnata di razzismo così come è vero che anche nelle realtà considerate più “politicamente corrette”, dove ci sono maggiori risorse e potere si sviluppano sempre nuove disuguaglianze attraverso forme di razzismo strutturale. Ma in un contesto dove i lavoratori sono obbligati a operare a stretto contatto, fianco a fianco, questa condizione ne sono sicura ci aiuterà ad abbattere molte barriere“.
La settimana di lavoro di una squadra di ‘tuttofare’
La storia è ambientata a Barcellona. Nelle periferie. Tra palazzi cadenti e condomìni di lusso. Ville mega e appartamenti diroccati. I protagonisti sono degli operai tuttofare (idraulici, elettricisti). Il capo squadra è Valero. La moglie di Valero gestisce una ditta di riparazioni; impresa a conduzione familiare. Si spostano su un pittoresco furgoncino. Nella piccola azienda lavorano Valero, appunto, consorte della proprietaria, e il veterano Pep, un tipo preciso, all’antica. Pep sta per ritirarsi, dopo anni di fatica su e giù in mezzo a scale e tubi. Ha sempre amato il suo lavoro e lo ha svolto con passione e dedizione. Ecco perché in una scena battibecca ferocemente con dei colleghi, a suo dire, mediocri e fannulloni. La lite degenera e Pep finisce al pronto soccorso con un braccio rotto.
Valero, il principale, e Pep sono in sintonia. Ma Valero, al contrario di Pep, come si usa dire, prende subito fuoco. È rozzo, burbero. Nervosismo che gli deriva dall’insicurezza: Valero non si piace perché goffo e sovrappeso. E il suo cattivo umore lo porta a punzecchiare gli altri e a scontrarsi con tutti.
Valero non ha peli sulla lingua: dice quello che pensa e non conta mai fino a dieci. Bisticcia con clienti e sottoposti. Valero nutre un’antipatia a pelle (fin dal primo incontro) nei confronti di Moha, un ragazzo che la moglie ha assunto per sostituire il veterano Pep. Moha è originario del Marocco. Arrivato in Spagna in cerca di fortuna, vive con dei coetanei, stranieri anche loro, ma molto diversi da lui. Moha ha la testa sulle spalle, vuole integrarsi e frequenta corsi di lingua catalana, anche se non parla perfettamente. Valero, comunque, non intende far team con lui: Moha non gli va a genio. Valero dà filo da torcere a Moha e lo porta all’esasperazione.
Come accade nella favole didascaliche, la narrazione è divisa tra buoni da una parte e cattivi dall’altra, tra il mite Moha, che è anche la voce narrante (tutto è filtrato attraverso i suoi occhi) e il bruto Valero.
E mentre Valero maltratta Moha perché lo ritiene un pelandrone, e sostiene che ai clienti non piacciono gli operai stranieri, è proprio Moha a calamitare le simpatie dei proprietari di casa: un centenario gli scrive su un foglio l’elisir di lunga vita, una fotografa di moda lo mette in posa per degli scatti pubblicitari, delle bambine socializzano subito e lo tempestano di domande.
Il film si nutre dell’energia del documentario ma declina il verismo con pennellate di sogno e ironia.
Neus Ballús in precedenza ha firmato “La plaga” (2013) e “Staff only” (2019), entrambi presentati alla Berlinale. Gli appassionati del rocambolesco, degli effetti speciali, di avventure spericolate e sceneggiature disinibite (il cui unico scopo è intrattenere e non educare) probabilmente storceranno un po’ il naso alla vista di minimalismo, messaggi e cronaca. Però “I Tuttofare” merita comunque d’essere visto per le belle interpretazioni dei tre attori-non attori che divorano la scena con naturalezza disarmante.
Curiosità: il film in sala è preceduto da un videomessaggio della regista che, rivolgendosi al pubblico, presenta brevemente la pellicola, spiegando le ragioni che l’hanno portata a realizzarlo.