Sette sono i vizi capitali e un misterioso serial killer, un predicatore fuori di senno, punisce con la morte i colpevoli di ciascun vizio, sottoponendoli prima a raccapriccianti torture.
Dopo che un uomo, spaventosamente obeso, viene ritrovato morto nel suo misero appartamento, il caso viene assegnato al detective William Somerset (Morgan Freeman), prossimo alla pensione, e al suo giovane collega, il detective David Mills (Brad Pitt), con il quale cercherà di entrare nella mente perversa del criminale prima che ci siano altre vittime. Queste purtroppo non tarderanno ad arrivare e i sette peccati capitali saranno tutti irrimediabilmente puniti.
Seven (1995), diretto dal regista David Fincher e scritto dallo sceneggiatore Andrew Kevin Walker è considerato uno dei migliori noir metropolitani degli ultimi decenni. Collocare Seven però all’interno di un unico genere cinematografico sarebbe errato. Il film, infatti, possiede elementi tipici del noir, del thriller e del filone letterario chiamato hard-boiled. Tutto ciò rende Seven una pellicola unica nel suo genere.
Come il più classico dei noir, il film è ambientato in una città americana che non fa semplicemente da sfondo alla vicenda ma ne è parte integrante. Ed è una città sofferente, malata, infetta, dove l’indifferenza e la criminalità sembrano avere la meglio. E’ una città sulla quale si abbatte una pioggia incessante che pare voglia purificare ciascun individuo dal male che porta inevitabilmente dentro di sé. E’ una città dove la perversione e l’indolenza appartengono a tutti: “Oramai nelle metropoli farsi gli affari propri è diventato una scienza. Mai gridare aiuto ma sempre al fuoco. Nessuno risponde a una richiesta di aiuto. Tu urla al fuoco e arrivano di corsa” dice il detective Somerset che, a causa del suo lavoro, ha assistito ad ogni tipo di orrore e guarda ormai il mondo con amaro disincanto.
A rendere l’atmosfera della città ancor più cupa e opprimente è sicuramente la fotografia.
Il noir classico, quello degli anni Quaranta e Cinquanta, possedeva una luce distorta e deformata, tipicamente espressionista, che accentuava la cupezza dell’ambientazione. In Seven accade qualcosa di simile.
La fotografia dell’iraniano Darius Khondji, così oscura e torbida suggerisce l’idea di un luogo infernale. Non è casuale che la città non possieda un nome poiché è solo la metafora di un mondo senza speranza.
Anche il serial killer, che ha il volto enigmatico di Kevin Spacey e che non vedremo mai in azione, non ha un’identità e tanto meno impronte digitali che ha cancellato dalle dita. Il suo nome è John Doe. Pare che questo appellativo sia usato negli Stati Uniti per indicare un uomo la cui identità è incerta o deve rimanere sconosciuta. Tale nome lo si ritrova anche nel film del 1946 di Frank Capra Arriva John Doe nel quale un giovane Gary Cooper, nei panni di un uomo al verde, è assunto dal proprietario di un giornale per fingersi un tizio che in realtà non esiste: il fantomatico John Doe.
Chi è dunque il folle predicatore di Seven? E’ l’uomo comune e questo destabilizza poiché egli potrebbe essere ovunque, anche accanto a noi. John Doe ha lo scopo di restituire, attraverso la legge del contrappasso, il peccato al peccatore. Osservando il progetto perverso dalla sua prospettiva tutto sembra avere un senso e questo lascia terribilmente disorientati.
Il confine tra buono e cattivo tende a farsi più sottile. Qualcosa del genere accade anche nella recente saga di Saw l’enigmista, una delle più prolifiche, che vede Johnatan Kramer noto anche come Jig Saw punire le sue vittime con spaventose torture poiché esse non hanno apprezzato la vita che gli è stata data e hanno commesso errori ai quali non hanno voluto rimediare.
Sarà compito di Mills e Somerset porre fine al piano criminale di John Doe.
Riguardo ai due poliziotti, in particolar modo a William Somerset, egli ricorda molto la figura del detective protagonista dei romanzi polizieschi di Dashiell Hammett e Raymond Chandler, romanzi appartenenti al filone hard-boiled. Protagonista di tali storie, oltre al cattivo di turno, è infatti, un detective rude, cinico e solitario che non ha amici e spesso neanche una famiglia. E’ un disilluso, consapevole che la corruzione e il male regnino ovunque. Come non pensare allora a William Somerset? Egli ha una visione tragica se non apocalittica della vita. Non crede che l’inferno sia poi così lontano. Profondamente pacato, saggio e riflessivo comprenderà che gli omicidi del serial killer sono ispirati ai sette peccati capitali, leggerà innumerevoli testi religiosi ed individuerà infine il criminale. Il detective Mills, al contrario è un giovane impulsivo, un passionale, convinto ancora che il mondo possa cambiare. Accanto a sé ha la moglie Tracy (Gwyneth Paltrow) figura eterea e pura, sarà lei a far nascere l’amicizia tra i due detective inizialmente distanti.
Come ogni buon thriller Seven possiede per tutto il film un ritmo serratissimo e i colpi di scena non mancano. L’epilogo, com’è noto, non è rassicurante e vede il detective Mills macchiarsi dell’ultimo peccato capitale: l’ira. John Doe vince e porta a termine il suo diabolico piano. Finisce così Seven, con le parole pronunciate dal detective Somerset: “Hemingway una volta ha scritto: il mondo è un bel posto e vale la pena lottare per esso. Condivido la seconda parte.“
Voto Autore: [usr 5,0]