Più che un tornare a casa sembra un viaggio in Purgatorio.
O un limbo per le anime che devono essere rigettate all’Inferno.
La prima stagione di Homecoming è stata distribuita in Italia con un’agilità insolita.
Amazon Prime Video l’ha lanciata lo stesso giorno, il 2 novembre 2018, sia negli USA che nel nostro paese. Dal 22 maggio inoltre è uscita anche la seconda stagione.
Protagonista delle prime dieci puntate, una Julia Roberts – nei panni di Heidi Bergman – che fa capolino per la prima volta sul piccolo schermo confermando tutta la bravura e il fascino che erano già emersi sul grande schermo negli anni ’90 e 2000.
Bobby Cannavale, vincitore di due Emmy Award, non è da meno e così anche Stephan James e Shea Whigham impreziosiscono l’opera con la loro interpretazione.
La serie – annoverabile nel genere mystery – è magistrale. Gli episodi sono un piacere per vista e udito: snelli, con una durata dai 25 ai 35 minuti massimo, come quella di una sitcom.
Infatti la situation comedy – da cui la crasi sitcom – è un genere nato per la radio e diventato serie tv.
Homecoming è proprio la trasposizione cinematografica delle puntate di un podcast omonimo di Eli Horowitz e Micah Bloomberg del 2016.
Quello del podcast, un medium nato dalla radio, è genere affermato in America ma ancora in diffusione – esponenziale – nel resto del mondo.
Di conseguenza si può dire che questa serie sia la riproposizione nel ventunesimo secolo della sitcom vecchio stampo.
La commistione tra forme di comunicazione e di arte e vita, rendono ogni prodotto odierno efficace, degno di nota, piacevole e interessante.
La regia di Sam Esmail, che abbiamo imparato ad amare con Mr. Robot – Golden Globe per migliore serie drammatica nel 2016, disponibile anche questo su Prime Video – si addice del tutto a questa poligamia. Prende il meglio dei thriller anni Sessanta e lo rinnova portando sul piccolo schermo grandi desuete novità producendo una sitcom-thriller chic.
Inoltre Sam Esmail e Julia Roberts sembra abbiano instaurato un sodalizio destinato a continuare con il film di prossima produzione Leave the world behind.
Homecoming sembra un giallo poliziesco degli anni Sessanta, ma è basata su fatti contemporanei. A rendere tutto più retrò, oltre le inquadrature e l’arredamento, la musica. Gran parte della colonna sonora ci riporta alla memoria grandi classici della cinematografia, sentiamo ciò che fa parte del patrimonio culturale comune.
Le riprese dall’alto, oltre a mettere in risalto la maestria della fotografia con delle affascinanti geometrie, rendono la messa in scena come un Big Brother, un Grande Fratello, del quale siamo spettatori.
La struttura della prima serie corre su due binari. A livello temporale rimbalziamo tra il 2018 e il 2022, distinti da un formato di schermo differente. Ciò rimanda anche a un significato metaforico, la visione nel futuro è limitata – fisicamente dal quadrato – perché intrisa di mistero.
Alla fine, quando tutto apparirà più chiaro, anche l’inquadratura si estenderà definitivamente a pieno schermo, favorendo una visione più profonda della messa in scena.
La vicenda si svolge in pochissime ambientazioni, esterne e interne soprattutto. Altra caratteristica delle sitcom tradizionali che sono caratterizzate generalmente dall’uso di un solo ambiente o, comunque, di un numero ristretto di scene e di punti di ripresa.
Il mistero, attraverso le vicende che accadono a Heidi, si scioglie davanti ai nostri occhi e non diventa mero intellettualismo.
La Homecoming della Geist – fantasma, in tedesco – è proprio una struttura spettrale. Stanziatasi tra le mura di un centro benessere in costruzione è nata per studiare e testare su cavie umane una sostanza per la rimozione dei ricordi traumatici dei soldati appena tornati da missioni di guerra.
Il sistema dei personaggi – anche questo analogamente alle sitcom – è tanto basilare quanto efficace: ci sono un antagonista, un antieroe e un’eroina le cui azioni generano lo svolgersi della trama.
La serie tocca con grazia il tema della condizione del lavoro in certe realtà. Spesso i dipendenti vengono trattati come ingranaggi di una macchina più complessa che li può schiacciare da un momento all’altro. Il messaggio che lancia è, però, che si può anche emergere e uscire da questa macchina.
Possiamo disinnescarla o comunque cambiare le cose. Come hanno fatto Heidi, donna che ha studiato speranzosa di fare del bene alla società con il suo lavoro, e Thomas Carrasco, il detective improvvisato, sottovalutato da tutti per il suo ruolo secondario all’interno del Dipartimento della Difesa e per la sua goffaggine.
Ma, viceversa, anche la macchina che pensi di guidare può schiacciarti davvero se non rimani umile; com’è successo a Colin Belfast, regalandoci un finale per il quale non possiamo che provare una certa sadica soddisfazione.
Quella del lavoro è una tematica oggi molto sentita ed è un caso raro vederla trattata in questi termini.
Infine non manca la parte sentimentale, che senza melensi drammi sa coinvolgerci e appassionarci fino alla fine.
L’affinità tra due persone può essere davvero rimossa?
Voto Autore: [usr 4,5]