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Gold – La Grande Truffa, la recensione

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Gold è un film che indubbiamente mantiene una sua unicità. Per l’occasione bisogna dimenticare infatti il Matthew McConaughey di una volta (belloccio dedito a film commedie di serie b) e accogliere una nuova versione dello stesso: magnetico, pragmatico e, soprattutto, segnato dalla vita. Il cambio di marcia non è stato repentino: nel corso degli anni si sono succedute altre sceneggiature di qualità alle quali l’attore ha preso parte, arrivando addirittura a vincere l’Oscar con Dallas Buyers Club. Il cambio di dimensione effettuato da McConaughey è agli occhi di tutti ma è con quest’opera che si prende definitivamente atto della cosa.

Gold rappresenta quasi un omaggio alla scalata di McConaughey ai vertici dell’olimpo hollywoodiano, una certificazione scenica del suo passaggio al lato delle vere superstar. Il film va a premiare l’ardore di chi ha dimostrato perseveranza o resilienza nella sua vita e sia il personaggio che l’attore sembrano proprio portare la bandiera di figure del genere. Condividono questo fato, la chiamata di un riscatto che per anni ha faticato ad arrivare: la bellezza di Gold è in questo esatto dettaglio. La pellicola è costruita su misura per il fisico (stavolta bolso e sfatto) dell’attore, perno intorno al quale ruota l’intera scena.

Gold

Gold – La Grande Truffa, La Trama

Kenny Wells è un imprenditore sull’orlo del baratro. Figlio di un’icona assoluta delle prospezioni minerarie (uno di quelli che beve whisky a qualsiasi ora) deve reinventarsi nel momento in cui la società di famiglia rischia la chiusura.

La sua storia parla di una conoscenza eccellente dei materiali grezzi (è durante una spiegazione delle differenze tra materie prime che ha chiesto a sua moglie di sposarlo). Gli anni Ottanta si sono dimostrati tuttavia spietati e, una volta venuto a mancare il suo vecchio, i suoi punti di riferimento sono venuti meno. Fallimento dopo fallimento si ritrova in una casa modesta a Reno, “ospite” della sua compagna che chiaramente cerca di mantenere entrambi lavorando come cameriera in un bar disperso nel nulla. Kenny anche è un frequentatore assiduo del locale, ma tra una sigaretta di troppo e un drink scolato come fosse acqua si capisce che punta sempre a un miglioramento della sua magra esistenza.

La trama di Gold arriva dunque a uno switch: Kenny fa un sogno in cui la sua vita si ribalta completamente e decide di raggiungere Mike Acosta in Indonesia per proporgli l’affare della vita: puntando sulla situazione di certo non rosea neanche per Acosta, Kenny lo convince a mettersi in società e investire sulla ricerca dell’oro. Le competenze sono elevate ma gli sforzi (e i soldi) necessari già in partenza rischiano di complicare irreparabilmente le cose. Kenny prende anche una brutta malaria e comincia a fare i conti con l’ennesima sconfitta. Al suo risveglio da una nottata difficile, scopre invece che la compagnia ha finalmente trovato nella zona degli scavi una vena d’oro, miniera in grado di cambiare le loro vite per sempre.

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Da qui in poi, inizia certamente una fase in cui il protagonista spende e sperpera, ma quanto di più importante per il suo upgrade è mantenere il controllo della sua creazione: la Warshoe Mining deve resistere alle tentazioni di joint ventures e alle proposte di investimento che arrivano da squali interessati al guadagno e meno al sogno collegato all’estrazione dell’oro. Come si diceva, Gold è legato proprio a questo tipo di concezione dell’arricchimento: non fine a sé stesso ma connesso all’anima e al percorso di rinascita che la stessa deve affrontare spesso e volentieri.

Le scelte di Kenny (vero cavallo di razza nel contrattare) non si dimostreranno sempre proficue e anche il naufragio della sua grande storia d’amore lo porterà a non vedere più le cose con una certa lucidità. Il rischio di essere ingannato cresce ogni giorno di più e le persone di cui si è circondato non dimostrano di volergli così tanto bene. Lo stesso Mike Acosta sembra, in questo frangente, di avere qualcosa da nascondere. Il finale in agrodolce conferma quanto la vita sia imprevedibile e come le belle cose siano inevitabilmente contornate da momenti di difficoltà. L’importante è non perdere sé stessi.

Gold

Gold – La Grande Truffa, La Recensione

Gold è un film lineare. Lo si percepisce in ogni singolo aspetto della sceneggiatura e dello sviluppo degli eventi rappresentati. Non si ha a che fare con un prodotto pretenzioso, per cui il risultato è assolutamente efficace. La regia di Stephen Gaghan è di base molto semplice: non raggiunge mai picchi elevati ma appare affidabile e puntuale.

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Star assoluta dell’intera vicenda è McConaughey: Gaghan è stato abile nel costruirgli intorno tutta l’evoluzione delle vicende, esaltandone le doti attoriali più caratteristiche: la più utilizzata in Gold è in assoluto la gestualità. Muove le mani in qualsiasi tipo di discorso, quasi dovesse convincere (non solo il suo interlocutore) ma anche il pubblico oltre lo schermo. Senza contare la quantità di sigarette fumate: questo elemento scenico (che può apparire banale) si rivela invece un punto di forza per l’attore. Attraverso l’accensione delle sigarette si percepisce l’ansia di Kenny, la voglia di arrivare ma anche la vulnerabilità che, ad ogni tiro, lui stesso cerca di mandare via.

Anche l’aspetto di McConaughey, come anticipato, è pregno di un’iconicità insolita: in Gold lo vediamo in sovrappeso, trasandato e soprattutto mezzo calvo. Rende l’immagine di un uomo a metà tra sconfitta e rassegnazione e animo di rivalsa. La scena principe di quest’impianto visivo è quando lo vediamo bere ben due litri di whisky e poi crollare sul divano (con un appeal decisamente diverso da quello di suo padre). Sfinito lo vediamo infine addormentarsi tra le braccia di sua moglie, che toglie di mezzo l’alcolico ma che non avrà purtroppo presa sull’irrefrenabile slancio autodistruttivo del marito. Lì viene poi fatto il sogno di cui parlava e che cambia la trama e la vita di Kenny stesso.

<<Se muore il tuo sogno, cosa ti rimane?>>

Pregio evidente di Gold è la volontà di presentare la vita come un bene da trattare con cura. L’oro simboleggia il raggiungimento di una certa gloria, stabilità e (perché no) felicità. Ma il concetto di fondo non è accumulare ricchezza e sfarzo ma mettere alla prova se stessi: quando Kenny parla con la concorrenza (che cerca di entrare nei suoi affari, avendone riconosciuto la profittabilità) tiene a specificare che la sua competenza è legata anche alla sua forza d’animo e specifica che il suo lavoro, non è stato analitico, ma puramente fisico. Ha grattato di fatto un’intera valle fino a ricavarne l’oro che getta le fondamenta economiche della sua società.

Al pari di altri film incentrati sul sogno americano, Gold insegna a coltivare un progetto. Credere fino in fondo nelle proprie possibilità è poi la chiave per realizzarlo. Un’altra pellicola assimilabile a questa (come tipo di messaggio) è The Founder che, attraverso il racconto della storia del fondatore di McDonald’s, informa su come il coraggio sia tra i sentimenti più importanti, anzi, è senza dubbio quello più decisivo.

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La pellicola non vive di contenuti eccelsi, né di fregi stilistici elevati. Il messaggio però arriva forte e chiaro: non è mai tardi per rimettersi in carreggiata. Quando si decide di sfruttare a pieno le proprie potenzialità non ci sono freni che tengano. L’impianto narrativo è corroborato da questi indizi pseudo-filosofici saggiamente distribuiti nello scorrere delle scene. E tutto porta nella direzione opposta dell’oro, espediente narrativo adoperato per far luce su ben altro: sentimenti di gloria, di crescita personale. Questo è il sogno di Kenny, questo è il vero metallo prezioso che non si può comprare.

Gold
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PANORAMICA

Soggetto e Sceneggiatura
Regia
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

In Gold, oltre alla prestazione ai limiti dell'egocentrismo scenico di McConaughey, colpisce il fatto che l'oro sia di fatto un espediente narrativo utilizzato per far luce su una tematica ben più elevata. Non si tratta di diventare ricchi e ostentare ma di avere un progetto, una visione, un sogno. Chi è capace di trasformare tutto questo in realtà, e in aggiunta con le proprie mani, è qualcuno degno della più alta forma di rispetto. La regia riesce a catturare quest'animo di rivalsa e senza grosse pretese fa il suo dovere nel trasmettere il messaggio allo spettatore.
Federico Favale
Federico Favale
Anche da piccolo non andavo mai a letto presto. Troppi film a tenermi sveglio. Più guardavo più dicevo a me stesso: "ok, la vita non è un film ma se non guardassi film non capirei nulla della vita".

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