Il mito del “sogno americano” è da sempre uno dei più affrontati al cinema. Lo stesso medium, specialmente a partire dal secondo dopoguerra, in qualche modo ha incarnato l’ideale del duro lavoro con il quale si può raggiungere anche il traguardo più insperato, elevando gli Stati Uniti a vera Mecca della settima arte, dai budget e dalle ambizioni impossibili da trovare altrove. Non sempre però questa tematica, vastissima e molto sdoganata da tutte le forme d’arte, è stata trasportata in sala nella maniera migliore, e il rischio di realizzare film scadenti basati sulle innumerevoli storie di questo tipo è sempre dietro l’angolo. The Founder, film del 2016 diretto da John Lee Hancock, rappresenta, invece, un sempre più raro caso di biopic che non perde di vista ciò che vuole raccontare, senza perdersi in sciocche e sofisticate sottotrame quasi sempre fuori luogo.
Il film racconta la storia della nascita del simbolo indiscusso del modello americano, ovvero il McDonald’s. Protagonista della vicenda è Ray Kroc (Michael Keaton), squattrinato venditore di frullatori dell’Illinois che ha l’ambizione di diventare ricco sfruttando le sue doti imprenditoriali, mai totalmente dimostrate fino ad allora (siamo nei primi anni Cinquanta). Proprio per lavoro un giorno si reca a San Bernardino, in California, per consegnare un bel po’ di elettrodomestici a due fratelli, Dick e Mac McDonald, che lì hanno aperto, circa dieci anni prima, un chiosco di hamburger particolarmente ricercato e conosciuto nella zona. Ciò che colpisce Ray non è l’attività in sé, quanto il loro metodo di lavoro che prevede di cucinare e vendere immediatamente il prodotto senza perdite di tempo o “filtri” come, ad esempio, le cameriere, fondamentali in qualsiasi altra attività di ristorazione dell’epoca. Kroc fiuta nell’attività dei fratelli McDonald un potenziale incredibile e decide di voler far parte di essa. Li convince in primis ad aprire un franchise, per espandere il marchio oltre la California. Tuttavia i due fondatori appaiono impacciati nel gestire la nuova dimensione nazionale della loro azienda e, volendo mantenere l’elevatissimo livello di qualità che rappresentava il loro primo locale, diventano ben presto un ostacolo per Ray, che tenta in tutti i modi di spodestarli in nome del dio denaro. Il resto è storia.
McDonald’s è conosciuta globalmente solo, si fa per dire, per aver rivoluzionato l’idea di cibo e di pasto concepita fino al suo sviluppo. Vedi la gigantesca “M” gialla e non puoi fare a meno di pensare ad un cheesburger, una bibita e delle dorate patatine fritte. Tuttavia poco conosciuta è sempre stata, almeno al di fuori degli Stati Uniti, l’epopea della sua fondazione. Eppure Ray Kroc è diventato un simbolo oltreoceano, il perfetto rappresentante dell’americano medio, che, soltanto per mezzo della perseveranza (concetto fortemente elogiato nel film) è riuscito a diventare uno degli uomini più ricchi del mondo. Oltre alla lettura dei miliardi di fatturato che ogni anno la stessa azienda rivela, basti constatare che alla sua morte, nel 1984, Kroc possedeva un patrimonio personale di più di 500 milioni di dollari. Insomma Ray Kroc incarna la quintessenza del sogno americano che diventa realtà, indipendentemente da ciò che oggi McDonald’s rappresenta, nel bene ma soprattutto nel male.
È superfluo parlare di cosa significhi oggi McDonald’s in tutto il mondo. Non è più soltanto un fast food, un luogo dove si possono gustare comfort food non esattamente sani ma molto appaganti, ma è entrato a gamba tesa nella società e persino nella vita delle persone a cui si rivolge, spesso in maniera anche subdola (come dimostrano le molte campagne pubblicitarie principalmente rivolte ai bambini). Tutti hanno subito e continuano a subire l’influenza della grande “M” dorata, ed è accaduto anche nella mondo della cultura. Non è un caso che Stephen King, ad esempio, per delineare fisicamente il clown Pennywise, protagonista del suo romanzo forse più celebre, It, abbia dichiaratamente preso spunto dalla mascotte Ronald McDonald. Al cinema e in tv, poi, ormai non si riescono più a contare i titoli basati, ispirati o comunque in qualche modo inerenti al famigerato fast food, spesso con inchieste inequivocabili nel condannarne le strategie di marketing e la qualità scadente dei prodotti venduti (tra i più riusciti spicca il documentario Super size me di Morgan Spurlock, candidato ai Premi Oscar nel 2005).
Il film di Hancock però, come da tradizione se si guarda ai suoi lavori precedenti, si concentra più sul prima che sull’oggi. Non racconta la storia della McDonald’s Corporation, ma la straordinaria epopea di un imprenditore oggettivamente capace, per quanto scaltro e umanamente deprecabile. Kroc dimostra in ogni situazione di sapere come fare soldi, che poi è la sua vera ossessione. All’inizio del film è un fallito non perché è un inetto, ma semplicemente perché non ha ancora trovato la giusta opportunità. Tuttavia sa come fiutare i dollari e quando si trova di fronte ai due ingenui fratelli, che invece dal punto di vista imprenditoriale lasciano molto a desiderare, si rende immediatamente conto che quell’attività rappresenta la sua (ultima) grande occasione, il suo possibile capolavoro. In questo senso The Founder non è poi così diverso da Saving Mr. Banks, film del 2013 diretto dallo stesso regista, in cui si raccontava molto efficacemente l’estenuante trattativa che Walt Disney dovette sostenere per anni al fine di ottenere i diritti per la trasposizione cinematografica del romanzo Mary Poppins dalla sua autrice. In entrambi i casi si vede il protagonista spendere ogni cellula del suo corpo allo scopo di realizzare un capolavoro e rendere felici milioni di persone.
Ma nessun cambiamento così netto si può realizzare senza tradirsi, almeno parzialmente. E così l’idea del McDonald’s paninoteca genuina e di altissima qualità a prezzi irrisori che avevano in mente i due fondatori, si trasforma ben presto nella più irrealizzabile utopia. I costi per mantenere decine di negozi secondo quelle direttive sono troppo elevati, e così Kroc comincia a sabotare i due soci, cercando e ottenendo sempre più potere nell’attività. Quando arriva a comprare i lotti di terreno su cui sono stati edificati i punti vendita, di fatto riesce a fare scacco matto, e vince la sua partita con chi aveva ideato la sua creatura. I due veri “founders” sono i fratelli McDonald, ma Kroc, come un parassita devastante e subdolo, riesce a raggirare la loro autorità e diventa il “Founder” del titolo, con la “F” maiuscola. Il McDonald’s di oggi è quanto di più lontano dall’idea originale dei due fratelli fondatori possa esistere nel mondo della ristorazione, ma rispetta perfettamente la logica del facile guadagno, derivato principalmente da un sempre maggior ammortamento nei costi di produzione, che da sempre ha accompagnato Kroc.
The Founder si presenta come un film gradevolissimo e molto coinvolgente, soprattutto grazie a una sceneggiatura (firmata da Robert D. Siegel) impeccabile, specialmente nei dialoghi, sempre pungenti e abbastanza memorabili. Indicativa in tal senso è la scena in cui Kroc, che di fatto poteva limitarsi a rubare l’idea ai due fratelli e avviare un’attività tutta sua, senza essere costretto a trattare incessantemente con i fondatori, rivela a uno dei due imprenditori l’importanza del nome McDonald. Questo soliloquio di Kroc (un Keaton molto a suo agio nella parte) rappresenta una sviolinata sincera e sentita verso l’America e il suo modus cogitandi. Il suono McDonald è rassicurante, famigliare, caldo e invitante. Kroc è freddo, viscido, subdolo e “slavo” (geniale definizione adottata dallo sceneggiatore).
Insomma, dici McDonald’s e pensi al successo e al sogno americano, che chiunque può raggiungere e realizzare. Anche nel nome risiede la straordinaria capacità imprenditoriale di Ray Kroc: un “Founder” che non ha mai accettato compromessi di fronte a soldi facili, anche a costo di indignare, e non a torto, il mondo intero.