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Film cult: da Joker ad A Different Man, il lato oscuro della mente

Curiosità e retroscena sui film che hanno cambiato il modo di raccontare la mente.

i film cult non sono solo pellicole di successo: sono opere che restano nella memoria collettiva, capaci di cambiare il modo in cui guardiamo il mondo e noi stessi. Nel corso dei decenni, il cinema ha raccontato la follia come uno spettacolo: qualcosa da temere, da esorcizzare o da trasformare in intrattenimento. Ma nel tempo, alcuni film hanno riscritto questa visione, mostrando la mente umana non come un mostro, ma come un labirinto da comprendere.

Dal Joker di Todd Phillips ai personaggi spezzati di Aronofsky e Scorsese, la follia è diventata un linguaggio visivo, una forma di empatia, una domanda aperta più che una diagnosi.

Ecco cinque film che, in modi diversi, hanno cambiato il modo in cui il cinema rappresenta la malattia mentale — e cinque curiosità che ne svelano i retroscena più interessanti.

Joker (2019) – Il clown che ride per non piangere

Quando Joker uscì nel 2019, molti temevano un film violento o eccessivo. Invece Todd Phillips raccontò la discesa nell’abisso di un uomo invisibile, Arthur Fleck, interpretato da un Joaquin Phoenix da Oscar. Il film non giustifica la follia, ma la radica nel contesto sociale: la povertà, l’indifferenza, la perdita di dignità.

Phoenix ha perso oltre 20 chili per il ruolo e improvvisò molte scene, tra cui la celebre danza sulle scale — ispirata, ha detto, “al movimento di un uccello ferito”.

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La colonna sonora di Hildur Guðnadóttir, basata su droni e violoncelli distorti, fu composta prima delle riprese: il regista la fece ascoltare sul set per influenzare il ritmo e il tono emotivo delle scene.

Con Joker, la follia non è più un cliché: è uno specchio deformante della società.

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Il Cigno Nero (2010) – Quando la perfezione diventa delirio

Darren Aronofsky ha sempre raccontato personaggi ossessionati — ma in Black Swan (Il Cigno Nero) l’ossessione si trasforma in psicosi visiva. Natalie Portman interpreta Nina, ballerina intrappolata tra disciplina e desiderio, purezza e corruzione. Il film fonde corpo e mente, realtà e allucinazione, fino a dissolverli completamente.

Aronofsky fece studiare Portman con una compagnia di danza per dieci mesi, spingendola ai limiti della trasformazione fisica.

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Molte scene furono girate con macchina a mano, per trasmettere instabilità e ansia.

La sequenza della metamorfosi finale, in cui Nina “diventa” il cigno nero, fu realizzata con effetti visivi pratici e CGI minima — un dettaglio che amplifica la sensazione di realismo disturbante.

Il Cigno Nero ha ridefinito la follia non come una malattia, ma come il prezzo dell’arte assoluta.

Shutter Island (2010) – Il confine tra verità e delirio

Martin Scorsese ha costruito in Shutter Island un labirinto mentale in cui lo spettatore, come il protagonista, non sa più distinguere la realtà dall’illusione. Leonardo DiCaprio interpreta un detective che indaga su un manicomio criminale, ma la verità — come scopriremo — è molto più inquietante.

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Scorsese chiese a DiCaprio di leggere testi reali sul disturbo post-traumatico e le psicosi allucinatorie, tra cui The Divided Self di R. D. Laing, per costruire un personaggio credibile e non caricaturale.

L’intera fotografia del film fu calibrata su toni verdastri e lividi, come in un incubo febbrile.

La frase finale “Meglio vivere da mostro o morire da uomo per bene?” fu aggiunta da DiCaprio sul set, e Scorsese la considerò così potente da riscrivere il finale in funzione di quella battuta.

Con Shutter Island, la follia diventa un enigma morale: scegliere la verità o la sopravvivenza?

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A Beautiful Mind (2001) – L’intelligenza come prigione

Il film di Ron Howard, basato sulla vita reale del matematico John Nash, vinse quattro Oscar e cambiò il modo in cui Hollywood raccontava la schizofrenia. Invece di ridurre la malattia a un elemento drammatico, A Beautiful Mind mostrò la mente dall’interno, rivelando gradualmente che parte della storia era una proiezione.

Russell Crowe lavorò con psichiatri e persone realmente affette da schizofrenia per comprendere le “strategie di compensazione” che Nash utilizzava.

Le allucinazioni del protagonista non furono mai accompagnate da effetti sonori, proprio per mettere lo spettatore nella stessa confusione percettiva di chi le vive.

Il film inizialmente doveva essere molto più cupo, ma Howard decise di riscriverlo dopo aver incontrato Nash: “La sua forza non era la mente, ma la moglie.”

A Beautiful Mind ha aperto una nuova strada: la follia come fragilità umana, non come deviazione.

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A Different Man (2024) – Identità, deformità e rinascita

Con A Different Man, Aaron Schimberg ha portato nel cinema contemporaneo una rappresentazione radicalmente nuova della salute mentale e fisica.

Sebastian Stan interpreta Edward, un uomo con una deformità facciale che, dopo un intervento sperimentale, cambia volto — e identità. Il film affronta il tema della percezione di sé, del trauma e dell’ossessione per la normalità con uno sguardo disturbante ma profondamente umano.

L’attore Adam Pearson, che affianca Stan nel film, è realmente affetto da neurofibromatosi, e ha contribuito alla scrittura di alcune scene per evitare stereotipi.

Schimberg, che lavora da anni su questi temi, ha voluto che il film fosse una critica alla rappresentazione hollywoodiana della disabilità e della follia visiva.

La scena finale, volutamente ambigua, mette in discussione l’idea stessa di identità: chi è davvero diverso?

Con A Different Man, la follia torna ad essere una forma di consapevolezza, non di alienazione.

Film cult – Quando il cinema guarda dentro di noi

Dalla rabbia sociale di Joker alla fragilità di A Beautiful Mind, dal delirio estetico di Black Swan alla doppia identità di A Different Man, il cinema ha imparato che la follia non è un genere, ma un linguaggio.

Un modo per esplorare i confini della percezione, del dolore, dell’empatia. Se in passato il matto era una figura marginale, oggi è spesso il cuore pulsante della narrazione: lo specchio attraverso cui comprendiamo la parte più fragile e autentica dell’essere umano.

Forse perché, come diceva Nina in Black Swan, “il problema non è impazzire, è non accorgersene.”

Angela Pangallo
Angela Pangallo
Cresciuta tra i supereroi Marvel e le atmosfere del cinema indipendente newyorkese. Appassionata di narrazioni potenti e originali, amo esplorare il confronto tra le grandi produzioni hollywoodiane e le voci più intime e innovative del cinema d’autore. Cerco storie che lasciano il segno e parole per raccontarle.

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