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Ethos – la recensione della miniserie turca disponibile su Netflix

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All’apice di quella che sembra essere una New Wave (forse promettente, sicuramente seguitissima) di contenuti seriali di provenienza turca, di natura più o meno soap a seconda dei casi, un curioso prodotto turco si inserisce nel catalogo Netflix. Si tratta di Ethos (Bir Başkadır, in lingua originale), una miniserie in otto puntate di circa un’ora ciascuna, diretta da Berkun Oya. Il contenuto, aggiunto al catalogo della piattaforma nel novembre del 2020, sembra far leva su certi elementi propri della serialità turca con cui ormai il pubblico ha imparato ad interfacciarsi (cast ampio e variegato, ampie parentesi descrittive, ritratti socio-culturali), rivolgendo a proprio favore una marcata fidelizzazione. Al contempo, differentemente da molti prodotti realizzati nello stesso Stato, la serie si apre a un’occidentalizzazione dei contenuti, di natura forse meno pop ma sicuramente più significativa e matura dal punto di vista degli spunti di riflessione.

Ethos

La trama della miniserie

La narrazione di Ethos segue lo svilupparsi in parallelo delle vite di un gruppo di personaggi, uniti fra loro da relazioni umane preesistenti o dal destino a seconda dei casi. La giovane Meryem (Öykü Karayel) è introversa e casta ma anche curiosa e caratteriale. Divide le sue giornate fra la vita familiare, badando ai nipotini e curando la gestione domestica della casa del fratello e della cognata, e il suo lavoro di donna delle pulizie nella modernissima casa del dongiovanni Sinan (Alican Yücesoy). La ragazza è segretamente innamorata del suo datore di lavoro, ma trovandosi impossibilitata a confessare i suoi sentimenti somatizza il suo stato emotivo con svenimenti improvvisi.

Per questo si rivolge a Peri (Defne Kayalar), una psicologa di cui fatica a capire il metodo. A sua volta la dottoressa trova difficoltà ad interfacciarsi con Meryem a causa delle forti differenze che intercorrono tra loro, spirituale e tradizionalista l’una e moderna e razionale l’altra. Per questo la dottoressa si confida a sua volta a Gulbin (Tülin Özen), anch’ella psicologa che curiosamente intrattiene una relazione a intermittenza con Sinan, il proprietario della casa in cui lavora Meryem.

Contemporaneamente Yasin (Fatih Artman), l’irascibile e impulsivo fratello di Meryem, si ritrova a dover gestire il delicato e complesso stato emotivo della moglie Ruhiye (Funda Eryiğit), che non riesce in alcun modo a comprendere né accettare. A seguito di evidenti traumi, la donna infatti vive uno stato psichico complesso: piange per ore, si aliena e in qualche occasione dimostra tendenze autolesioniste. Per trovare una risoluzione ai propri problemi, la tradizionalista famiglia di Meryem si rivolge così al capo spirituale della comunità, Hoca Ali Sadi (Settar Tanrıöğen), che a sua volta però si ritrova a dover elaborare un importante lutto e l’allontanamento della figlia.

Ethos – La recensione

È indubbiamente uno statuto complesso quello di un prodotto come Ethos, che a prima vista pare cavalcare il successo della nuova ondata di serialità turca, mai florida come al momento attuale, per poi rivelarsi ad una seconda occhiata estremamente più complesso. Sicuramente al suo interno coesistono le due anime sopracitate (prodotto pop e audace tentativo di rinnovamento), la cui unione permette di definire complessivamente un contenuto singolare e soprattutto furbescamente capace di avvicinare un duplice pubblico: quello dei fan della serialità turca e quello degli interessati ad una certa nuova branca di prodotti quality.

Dal lato del più tradizionale modus operandi della serialità turca si colloca una modalità narrativa volta ad investigare il vissuto non di un protagonista e dei personaggi che ad esso fanno da cornice, bensì di un gruppo di comprimari. In quest’ultimo è certamente comunque possibile identificare un elemento di centralità che unisca tutti in qualche modo tutti i personaggi (in questo caso, Meryem), ma a differenza della modalità seriale occidentale quest’ultimo non si erge mai a protagonista assoluto e lascia al restante cast la stessa quantità di tempo sullo schermo rispetto a quanta esso stesso ne possegga. Si delinea così un prodotto di natura assolutamente e indiscutibilmente corale – certamente più di quanto la serialità statunitense e europea ci abbia abituato – che se inizialmente i rivela ad occhio inesperto di complicata fruizione finisce per diventare una risorsa notevole in termini narrativi.

Dall’altro canto, sempre al medesimo stampo seriale turco appartiene un ritmo narrativo, quale è quello di Ethos, che a un primo sguardo appare tutt’altro che scorrevole. I tempi dei dialoghi, delle stesse azioni e delle pause appaiono curiosamente dilatati, e tale elemento finisce poi per sfociare in un dato complessivo quale la durata delle puntate, ognuna di circa un’ora. Questa caratteristica, che sulla carta può risultare ostica alla modalità di fruizione a cui il pubblico di Netflix potrebbe essere abituato, finisce però inevitabilmente – e fortunatamente – per risultare progressivamente meno invasiva e determinante di puntata in puntata, riuscendo a dare sempre meno nell’occhio e quindi a non inficiare la fruizione complessiva del prodotto.

Tuttavia, Ethos sembra essere percorsa da una volontà di rinnovamento – o forse, più precisamente, di nobilitazione – del macrogenere a cui appartiene. A questo concorre la regia (così come la scrittura) di Berkun Oya, anche autore della serie, che ricorre a mezzi di un certo livello che non solo non vengono sprecati, ma che permettono il delinearsi di un prodotto quality perfettamente in linea con il tenore della nuova serialità internazionale.

Ad incrementare lo spessore della serie concorre anche – se non soprattutto – la capacità del prodotto di fornire uno spaccato sociale profondo e variegato di un campione di popolazione che incarna in sé tutte le polarità e gli estremi della vita del popolo turco. A mano a mano, nel corso degli episodi, viene mostrata sì la vita rurale e povera ma anche quella urbana e agiata. Allo stesso modo, vengono mostrate l’importanza della componente spirituale e al contempo il parziale allontanamento dalla stessa. In definitiva, viene riportato sul piccolo schermo l’eterno conflitto tra tradizione e rinnovamento che percorre la nazione turca, in tutte le sue contraddizioni e la sua veridicità.

Ethos

Nel suo insieme, Ethos si rivela un prodotto prima di tutto ingegnoso, per la sua capacità di avvicinare due tipi di pubblico (quello affezionato alla serialità di stampo turco e quello invece più incline alla quality television) estremamente distanti tra loro, amplificando così in modo assoluto la potenziale fruizione del prodotto. Allo stesso tempo, proprio a causa della sua stessa natura, attraverso le sue otto puntate il contenuto riesce a rimanere fedele agli stilemi della New Wave seriale turca compiendo però un passo ulteriore, ripiegandosi su se stessa sino a riportare sullo schermo una riflessione socio-culturale complessa e indubbiamente degna di nota.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Ethos è una miniserie corale distribuita da Netflix, che si colloca in bilico tra la popolarità della New wave seriale turca e l'ambizione della quality television odierna.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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