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Victoria – La recensione del film in piano sequenza di Sebastian Schipper

Nel 2015, il promettente regista tedesco Sebastian Schipper, classe 1968, mette a punto la sua quarta opera dal titolo Victoria. Il film, di genere drammatico con venature tipiche del thriller, costituisce una titanica e memorabile opera interamente realizzata per mezzo di un unico piano sequenza.

Tenendo conto di questo dato, di importanza decisamente non secondaria, e considerando come invece i film in piano sequenza (o comunque con pochi tagli fantasma che uniscono sequenze decisamente lunghe) tendano ad essere molto brevi data la difficoltà realizzativa, sorprende la durata dell’opera in questione: ben centoquaranta minuti. Poiché lascia ampio spazio alla concreta realizzazione e dunque all’eventuale improvvisazione, la sceneggiatura del film – redatta dallo stesso Schipper in collaborazione con Olivia Neergaard-Holm e Eike Frederik Schulz – consta di sole dodici pagine.  La pellicola è stata presentata in occasione della 65esima Berlinale, ricevendo il plauso di critica e spettatori. 

La trama del film

Difficile non credere almeno in parte all’idea di destino mentre si assiste alla vicenda di Victoria (Lara Costa), un’eroina atipica ma sorprendente. La ragazza, spagnola, si è trasferita temporaneamente a Berlino e lavora in un caffè della capitale tedesca. La incontriamo, minuta e amichevole, per la prima volta in una discoteca. Là, per caso, fa la conoscenza di un gruppo direal Berlin guys”, come si autodefiniscono, composto da Sonne (Frederick Lau), Boxer (Franz Rogowski), Blinker (Burak Yigit) e Fuss (Max Mauff). Con loro la ragazza esce dal club e si incammina per le strade semi-vuote della città, immersa nel buio delle quattro del mattino. Parla e scherza con tutti, certo, ma soprattutto con l’ironico e aperto Sonne, che da parte sua sembra da subito impegnarsi nell’instaurare un flirt deciso con la ragazza. 

Fra fumo, bevute e piccoli furti quasi innocenti, lei sembra ricambiare la sua simpatia, e dopo essere stata accompagnata dai giovani nel loro posto del cuore la ragazza si ritira proprio con Sonne nel caffè che dovrà aprire dopo poche ore. Proprio quando la frenesia dell’imprevedibile nottata sembra essersi acquietata e le possibili minacce sembrano scomparire per lasciar spazio allo svilupparsi di una linea romantica, Boxer trascina l’amico in una losca resa dei conti. Victoria, da sempre solitaria suo malgrado e in cerca di amici, si unisce al gruppo nel tentativo di non interrompere la rete di continuità che stava costruendo con Sonne e di avvertire il calore di un gruppo di amichevoli e affettuosi sconosciuti. Tuttavia, con un ribaltamento amaro del nome della protagonista, una spietata concatenazione di eventi trasporta l’ensemble in un inaspettato turbinio di pericolosità, sconfitte e criminalità

Victoria

Victoria – Un set e una trama permeati di angoscia

Date le difficoltà oggettive insite nel progetto di un lungometraggio girato interamente in piano sequenza (e per giunta di questa durata), il regista si è concesso una rete di salvataggio costituita di una versione del film realizzata canonicamente per mezzo del montaggio, da lui comunque ritenuta fallimentare, e tre tentativi per eseguire l’opera in continuativo piano sequenza, come da suo programma originale.

Al primo tentativo gli attori, spaventati, si sono dimostrati troppo cauti e il risultato è stato dunque da scartare. Medesima è stata la sorte del secondo tentativo, caratterizzato da interpretazioni così marcate da risultare macchiettistiche.

Quello che costituisce il prodotto che vediamo oggi è dunque il terzo tentativo realizzato dalla troupe, nonché l’ultimo che sapevano di avere. In questo terzo caso, le performance hanno risentito positivamente dell’atmosfera di angoscia che permeava il set, data dalla consapevolezza dell’impossibilità di effettuare ulteriori tentativi. 

Questo stato di costante e perenne angoscia diffusa permea in effetti il film nella sua interezza. Il rischio del ribaltamento e la traumatica rottura di un instabile equilibrio presente sembrano sempre dietro l’angolo. Di minuto in minuto, le proiezioni circa gli ostacoli e i rischi che la protagonista Victoria potrebbe incontrare cambiano e assumono forme differenti. Così, sin da subito, si delinea uno scenario mutaforme ma sempre minaccioso che sembra poterla danneggiare in decine di modi differenti, scegliendo alla fine di privilegiare la via più inaspettata, criminale e caotica.  

Victoria

Victoria – Un’eroina onnipresente e trascinante

Il film poggia interamente sulla più completa adesione dello sguardo spettatoriale all’esperienza della protagonista. In questo senso, è emblematica l’apertura del lungometraggio stesso: in una Pangea che assume le forme di una fluida amalgama strobo deliberatamente confusa di luci e silhouettes, allinterno di una discoteca buia e caotica, la macchina da presa dopo tanto girovagare trova finalmente la sua eroina.

Su di lei si incollerà senza abbandonarla mai, fino alla fine dell’intera pellicola, determinando una durata diegetica che si sviluppa sostanzialmente in tempo reale rispetto alla durata del prodotto filmico. La macchina da presa tallona Victoria, le sta addosso, ne è testimone; finisce per avere una sorta di ruolo psicologico, a fasi alterne quasi la soffoca per poi sostenerla, diventa sua compagna taciuta ma onnipresente. 

Noi spettatori finiamo per diventare la stessa Victoria e lei diventa noi, in una fusione esperienziale attivata, incentivata e corroborata dall’uso del piano sequenza. Il nostro sguardo si manifesta a traino della macchina da presa come un’ombra sulla sua vicenda. Vediamo quello che lei osserva, ci muoviamo dove si sposta lei e percepiamo le atmosfere che lei stessa sente sulla propria pelle. La comprendiamo così tanto che cinque soli minuti di introspezione, in uno degli unici momento di quiete e intimità dell’intero film, sono sufficienti a farci comprendere e accettare senza sollevare alcuna rimostranza la scelleratezza delle sue scelte successive. La fusione fra l’eroina e il suo pubblico, dinamica totale e totalizzante, è compiuta. 

Un’impresa registica che dà il meglio di sé per centoquaranta minuti

Tanti sono indubbiamente i punti di forza del film. È strettamente necessario quantomeno menzionare il valore di una colonna sonora sempre appropriata, puntuale, atmosferica e mai sovrabbondante. Ed è altrettanto opportuno soffermarsi sul valore delle fenomenali interpretazioni dei protagonisti – soprattutto del trio principale composto da Costa, Lau e Rogowski -, ancor più ammirevole dato l’impianto registico che  per sua natura sostanzialmente non garantisce possibilità di replica o secondi tentativi.

Ciò posto, appare lampante che il valore primario della pellicola sia insito nella sua regia audace, tanto ardita quanto rischiosa. Limpresa registica in questione è titanica, monumentale, fisica, tanto che non è un caso se il primo nome a comparire nei credits è proprio quello dello stoico operatore Sturla Brandth Grøvlen

Data la mole corposa e massiccia del film, non stupisce che Victoria si sia guadagnato una discreta fetta di attenzione alla sessantacinquesima Berlinale, venendo selezionato in concorso. Né stupisce la vittoria dell’Orso d’Argento per il Contributo Artistico dell’operatore Sturla Brandth Grøvlen. Sorprendentemente, data la difficoltà realizzativa, la trama riesce ad inserire nei suoi meandri punti di svolta inaspettati e una discreta introspezione nei confronti dei suoi protagonisti. Questi aspetti, poggiando su un impianto registico monumentale e su delle interpretazioni efficacissime, contribuiscono alla definizione di un’opera filmica altamente coraggiosa e difficilmente dimenticabile. 

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Victoria, al netto di una prodigiosa regia che già sarebbe sufficiente a decretarne il successo, si lascia definire altrettanto positivamente dalle interpretazioni dei suoi protagonisti e dalla scrittura di un'atmosfera angosciosa e oscura.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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