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To dust – Recensione della commedia nera di Snyder

Ogni mese, il catalogo di Amazon Prime Video pullula di nuovi contenuti da offrire ai suoi abbonati. Giunge dunque all’inizio di quest’anno, proprio nei meandri della vastissima offerta della piattaforma, un prodotto atipico e inaspettato. Si tratta di To dust, una tragicommedia nera datata 2018. Regista del film, al suo esordio nel lungometraggio dopo una cinquina di corti più o meno fortunati, è Shawn Snyder – da non confondersi con il suo gemello di cognome, Zack Snyder, popolarissimo per la regia delle pellicole della Justice League, né con lo sceneggiatore Blake Snyder, celebre per i suoi insegnamenti in ambito di scrittura per il cinema. Il lungometraggio  (92 minuti di durata) giunge al suo pubblico in sordina, inatteso, dopo una presentazione al Tribeca Film Festival 2018; ma si configura come una piccola perla di innovazione tutta da scoprire in quanto a toni e temi. 

To dust: la trama

Con To dust entriamo nel mondo tutto peculiare di Shmuel (Géza Röhrig). Si tratta di un uomo di fede, inquadrato nel suo ruolo, che professa il credo dell’ebraismo chassidico e ricopre il ruolo di cantore per la congrega che frequenta. È felicemente sposato, ha due figli curiosi e una madre che è compartecipe delle sue giornate nella sfera domestica. Ma, proprio quando il quadro sembra potersi dire completo e autoportante, basta un singolo evento a mandare tutto in frantumi. In questo caso, l’evento è costituito dalla morte di Rivka, sua moglie, a seguito di un cancro che l’ha portata ad un annullamento graduale. Nonostante il suo tentativo di affrontare il momento come un naturale evolversi del flusso della vita, Shmuel non trova pace. La fine della moglie lo impensierisce di giorno e occupa di notte i suoi sogni, visioni oscure di annichilimenti corporei e scenari di morte distruttiva. 

Shmuel cerca risposte nella fede, ma nonostante la sua religiosità fervente le soluzioni che trova dal rabbino (e più in generale dall’ambiente ebraico) non sembrano soddisfarlo. La questione si fa presto per lui ossessione: cosa sta accadendo al corpo della moglie, seppellito sottoterra? Dopo aver tentato, con scarsi risultati, la via religiosa, l’uomo cerca un confronto altrove. Fa prima tappa per un poco fruttuoso colloquio con un addetto alle pompe funebri, da cui esce insoddisfatto. Poi decide di contravvenire ad ogni dogma del suo credo ed affidarsi alla scienza. Dopo ricerche e peripezie, entra in contatto con Albert (Matthew Broderick), un professore universitario di biologia che vive di mestizia e insoddisfazione. Pur di arrivare alla verità Shmuel è disposto a mettere da parte la fede, ma Albert sarà pronto a tuffarsi con lui in questa ricerca empirica ai limiti della legalità per trovare risposte rispetto alla decomposizione della defunta? 

To dust: la recensione

A maggior ragione considerata la sua provenienza da un esordiente, in termini di regia e scrittura, To dust si configura come una voce decisamente fuori dal coro rispetto a quanto siamo abituati a vedere sul grande schermo. La sua è una portata tonale da cinema indipendente, che rifugge le spettacolarizzazioni per andare in modo diretto e tagliente al fulcro della questione. L’utilizzo di un sottotono da commedia amara risulta, in questo senso, non un velo atto a coprire il vero focus della vicenda, ma un canale facilitato per raggiungerlo agilmente e approcciarlo con più semplicità. A conti fatti (e al netto di maiali, dogmi e formule scientifiche), il film di Shawn Snyder inquadra con precisione millimetrica una risposta al trauma che confluisce in una vera e propria ossessione da manuale. Quella di Shmuel non è una ricerca a tempo perduto, né l’elaborazione di un “what if” sorto dalla curiosità.

Lui deve sapere. Necessita delle informazioni che ricerca febbrilmente, instancabilmente. Quanto ci mettere il corpo della moglie a decomporsi? Che possibilità ha il di lei spirito di liberarsi in tempo? La posta in gioco è evidentemente alta, la salvezza di un’anima – ben più urgente dunque di una semplice curiosità morbosa affrontata con approccio semi-scientifico. Il protagonista è mosso dal più profondo amore per una compagna di vita che non c’è più, e da una devozione che (purtroppo al contrario di lei) è ancora salda e presente. Si fa, tale devozione, tanto totalizzante da riuscire addirittura ad accecare il protagonista rispetto alle regole fondamentali e inviolabili del proprio credo, che pure lui è disposto a dimenticare o ammorbidire. Ogni dogma si fa flessibile, se il contrappeso all’eresia è l’avvicinarsi ad una risposta che plachi il suo turbamento instancabile. 

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To dust: la ricerca esistenziale di una strana coppia

Proprio a partire da questi grandi temi si traccia la parabola del film, che cerca impronta del senso profondo dell’essere a dispetto dell’immanenza, del qui e ora. E inevitabilmente, proprio da quell’hic et nunc si avvia la ricerca del disperato Shmuel: com’è ora mia moglie sottoterra? Quale stadio di decomposizione ha raggiunto? Partendo da un’impostazione wannabe scientifica, ma non avendo gli strumenti per affrontarla, il protagonista getta le basi per una riflessione volta ad uno sguardo empirico. Quest’ultima, nel suo essere avulsa ad una vena scientifica tradizionale, rispetta la purezza del metodo e si affianca in modo curioso alla storyline secondaria del film, appena abbozzata relativa ai figli di Shmuel. I due bambini infatti, notando in lui tormento e comportamenti bizzarri, si convincono che sia impossessato dal dybbuk (un demone) della madre defunta: ogni occasione di quiete è dunque buona per impostare un tentativo segreto e silenzioso di esorcismo. 

Protagonista della scena è Géza Röhrig, apparentemente distante dalla sua veste più famosa (Il figlio di Saul). Ma, nonostante il tono situazionale comedy, a suo modo anche questo film approccia temi profondi, di ricerca instancabile rispetto alle sorti dell’esistenza. La sua performance è ancora una volta delicatissima (complice anche una voce, la sua, del tutto particolare), rasentando al contempo i limiti dell’isteria. Il suo personaggio si unisce tramite un’alleanza stravagante a quello di Matthew Broderick, potente gancio nei confronti del grande pubblico. Il suo è il volto noto di chi però (lodevolmente) non tenta mai di rubare la scena, ma anzi rispetta i confini del suo ruolo. Sia per temi che in quanto a regia e interpretazioni si configura così un film inaspettato, tenero e poetico, che mentre si sofferma su grandi quesiti riesce a trovare il tempo e il modo di farsi commedia dolceamara sull’esperienza post-mortem. 

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

To dust è un esordio atipico, coraggioso nel suo farsi racconto dalla portata tonale indipendente in cerca di una risposta ai grandi quesiti della vita.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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