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The village: la metafora isolazionista di Shyamalan

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C’è attesa per il nuovo film di M. Night Shyamalan, Knock at the Cabin, previsto al cinema per febbraio 2023. È quindi il momento buono per recuperare alcuni cult nella filmografia del regista indianoamericano. Tra questi, The village (2004) è decisamente uno dei più interessanti.

The village trama

Un villaggio della Pennsylvania del XIX secolo è minacciato da misteriosi esseri che si aggirano per i boschi. Quando uno degli abitanti, Lucius (Joaquin Phoenix) rischia di morire, spetta a Ivy (Bryce Dallas Howard) sfidare le paure radicate nel villaggio e andare alla ricerca della cura.

The village

The village recensione

Chi conosce il cinema di M. Night Shyamalan, sa che i suoi film ruotano sempre attorno ad un’idea semplice ma dal grandissimo potenziale, che nel corso della narrazione viene poi sviscerata ribaltando di continuo le aspettative e le percezioni degli spettatori. The village non fa eccezione, il film ci cala subito dentro una situazione estremamente accattivante, che riguarda mostri invisibili, paura e tenebre.

Già dai primi momenti Shyamalan impone uno stile asciutto, minimale, che però non limita le possibilità del regista di muovere la macchina da presa per imporre la propria visione su quanto racconta. La precisione registica di Shyamalan offre qui la possibilità allo spettatore di scoprire lentamente il mondo raccontato. Bisognerà arrivare a metà film affinché i vari equilibri e l’intero intreccio siano finalmente chiari a chi guarda. Qui sta la bellezza di questo film, nel suo inserirci subito in una situazione già avviata e mostrarci, tramite lo svolgersi degli eventi, come si è arrivati a quel punto.

La scena iniziale, che ci mette a confronto con la morte, diventerà chiara nel suo significato solo alla fine del film, quando le motivazioni e le passioni dei vari personaggi saranno realmente delineate.

The village

Shyamalan è un regista che dà sempre molto peso alle paure dei suoi personaggi, elementi che non solo caratterizzano la figura in questione ma che animano l’intera storia. The village è un film che si fonda interamente sul concetto di paura, l’intera comunità rappresentata ha paura delle figure vestite di rosso che si aggirano per i boschi e, più in generale, di tutto ciò che sta al di fuori dei loro confini.

L’unico modo per superare la paura sarà l’amore. Senza essere mai retorico né tantomeno sdolcinato, Shyamalan racconta una storia d’amore assoluto che diventa il mezzo per superare ogni paura e spingersi al di là dei confini.

Allo stesso tempo Shyamalan riflette sull’isolazionismo, fondato anch’esso sulla paura e portato avanti dal potere gerontocratico che domina nel villaggio.

Questa riflessione veicola una metafora sul mondo americano post 11 settembre, quando la paura per una potenziale minaccia proveniente da fuori era ancora forte e tangibile. La paura per l’esterno è alimentata dagli anziani del villaggio tramite trucchi e bugie che fanno credere agli altri abitanti di essere effettivamente minacciati da un pericolo proveniente dal bosco. Il vivere nella comunità si fonda su alcuni punti fermi, come il rispetto dei confini, l’obbligo di indossare il colore giallo, il colore che protegge, quando ci si avvicina ai boschi, così come l’invito a diffidare del colore rosso, il colore associato a queste pericolose figure mostruose che si muovono tra gli alberi.

The village

Gli attori coinvolti riflettono tutti perfettamente il clima di timore che si respira nel villaggio. Su tutti spicca Bryce Dallas Howard, la vera protagonista del film, che riesce a trovare il perfetto equilibrio per dare corpo ad un personaggio che, sulla carta, era tutt’altro che semplice.

Così come Adrien Brody riesce a restituire le varie sfumature del personaggio senza dubbio più tragico di tutti, uno dei motori che portano avanti la storia e sulla cui drammaticità la macchina da presa di Shyamalan indugia frequentemente.

Joaquin Phoenix e William Hurt, infine, rappresentano le due facce dell’isolazionismo del villaggio in questione. Il primo ne è in qualche modo schiacciato, oppresso tra le rigide regole imposte dagli anziani e la consapevolezza che il futuro del villaggio è sulle sue spalle e degli altri giovani come lui – come un monologo del personaggio di William Hurt verso la fine del film suggerisce.

William Hurt, invece, rappresenta il potere degli anziani e a sua volta è combattuto tra il bisogno di mantenere i principi su cui si fonda la società del villaggio e non lasciare che l’isolazionismo si ritorca contro i suoi abitanti.

Tutti i personaggi, quindi, sono animati da sentimenti contrapposti, che convergono in un finale, che, oltre a offrire il classico twist di Shyamalan, lascia spazio per un lieto fine, forse inaspettato, che dà ancora più senso alla profonda e puntuale riflessione alla base della pellicola.

Trailer

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni
Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.

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