The Boxer è un film del 1997 diretto da Jim Sheridan. Il protagonista Daniel Day-Lewis interpreta un membro dell’IRA, il gruppo armato dei volontari cattolici irlandesi. Candidato a tre nomination ai Golden Globe, vince come miglior film europeo ai premi Goya, maggior riconoscimento spagnolo. L’ultimo titolo dell’attore irlandese, prima di una pausa durata oltre quattro anni, e di ricominciare in seguito con il successivo lavoro di Scorsese, “Gangs of New York“. La collaborazione con il regista, gli aveva fatto inoltre ottenere il suo primo premio Oscar, grazie al ruolo in “Il mio piede sinistro” del 1989.
The Boxer, trama
Un ex pugile di nome Danny Flynn, membro dell’IRA, esce di carcere dopo 14 anni di reclusione. Torna a Belfast, la sua città, dove cerca di ricominciare una nuova vita. Apre quindi una palestra, assieme al suo vecchio allenatore, dove allena giovani ragazzi delle periferie. Le tensioni che scuotono l’Irlanda sono ancora accese e molto sentite tra gli abitanti della popolazione. Gli scontri tra Cattolici e Protestanti smuovono ancora le masse e nessuna delle due fazioni sembra arrendersi. In un clima di tensione continuo, il protagonista, cerca di lasciarsi il passato alle spalle.
The Boxer, recensione
The Boxer è un film drammatico che vive esclusivamente per l’interpretazione di un attore iconico, quale Daniel Day-Lewis. Il suo talento, emerso in poche ma buone pellicole, nel corso di una lunga carriera, ha avuto termine nel 2017 con “Il filo Nascosto“. La preparazione con cui si allena, per entrare in un determinato ruolo, è frutto di un professionista incredibile. Nel seguente lavoro Day-Lewis si cala perfettamente nei panni di un ex membro dell’IRA, con una prova attoriale davvero credibile. Si conferma essere, per questa ragione, tra gli artisti più scrupolosi e meticolosi di Hollywood, ma anche quello più lontano dal mondo dello show business, dalla quale non mostra troppa attrazione.
I film che raccontano della recente storia del conflitto Irlandese sono diversi. Ogni trasposizione affronta la solita tematica di fondo, da un diverso punto di vista. Daniel Day-Lewis con il film “Nel nome del padre” aveva già dato prova ottimamente della sua recitazione. Un argomento che sicuramente coinvolge emotivamente l’attore stesso, visto la sua preparazione e il fatto di raccontare lo stesso conflitto da un’altra prospettiva.
Storia di una guerra civile senza tregua
Attraverso la vita del protagonista, il film racconta di un paese, l’Irlanda del Nord, lacerato internamente da una serie di conflitti, che lo devastano da cima a fondo. Uno Stato in ginocchio, che si trascina dai tempi remoti in una guerra per la lotta dell’indipendenza dalla Corona Inglese. Uno scontro civile, in cui gli abitanti sono messi gli uni contro gli altri e che vede contrapposte due schiere politiche, i cattolici repubblicani e i protestanti unionisti. I primi vogliono staccarsi dal dominio inglese, unendosi al resto dell’Irlanda, di fede cattolica e i secondi rimanere uniti alla Gran Bretagna, di fede prevalentemente protestante.
La religione si presenta come la vera miccia per il mantenimento del conflitto Nord Irlandese. I risultati sono dei bagni di sangue in cui a perdere la vita ci sono uomini, bambini e donne. Basterebbe ricordare il triste episodio, passato alla storia, della giornata rinominata Bloody Sunday, in cui a perdere la vita, per mano dell’esercito inglese, intromesso per sedare gli animi della lotta civile, sono state 14 persone innocenti.
La nostra storia sembra prediligere gli aspetti umani e spostare il focus, non sulla violenza perpetrata dai gruppi armati terroristici, ma su quelle persone che provano a cambiare vita. È un film che parla della fragilità di animi irrequieti, che non trovano un momento di conforto. La pace appare infatti molto distante e il vano tentativo di salvarsi, sembra solo una probabilità irrealistica. Si respira molta sofferenza e un malessere perpetuo.
Il protagonista incarna la voce di un popolo, stanco del passato, che lo ha consumato e prosciugato umanamente e fisicamente. È una storia di fine sopportazione, in cui l’intento sincero è quello di lasciarsi dietro tutti i dolori scaturiti dalla perdita di parenti e amici. Si prova a guardare avanti e a fare del bene per il prossimo, come viene mostrato nel film, in cui si mette in piedi una palestra, per dare la possibilità di redenzione ai giovani irlandesi.
Lo Sport come soluzione del conflitto
La boxe rappresenta quindi lo strumento adatto per unire un popolo diviso. Lo sport come l’elemento perfetto per stabilire la fine di un periodo sanguinoso e violento. Il protagonista, seppur provato dagli anni di carcere, prova a fare in modo che la boxe diventi il mezzo di unificazione tra le nuove generazioni di ragazzi. L’obiettivo è crescere le nuove leve, lontane dalla bombe e dalle armi e ad acquisire la speranza di un futuro positivo e radioso.
La pellicola, caratterizzata da un tratto pessimistico per tutta la visione, sembra rivelare nella sua anima più profonda, una fiducia ottimistica per quello che verrà. I tragici eventi raccontati durante la visione, contornano una vicenda dalla scarsa buona riuscita di successo. La guerra non è sicuramente la risposta per la risoluzione del conflitto, ma rappresenta l’ulteriore propanarsi di mortalità tra gli abitanti. Ecco spiegato perché, l’impegno di Danny Flynn, simboleggia una perla di umanità, che fa ben sperare sul futuro di un paese, che da oltre un secolo di lotte, non conosce tregua.