Squid Game è diventato, grazie all’enorme popolarità generata dalla storia originale, un prodotto unico e imprescindibile. Un vero e proprio fenomeno di massa che unisce il dramma all’horror con un grande pathos, fino all’epico finale.
Squid Game trama
Squid Game, serie sudcoreana uscita su Netflix lo scorso 17 settembre, racconta la storia di un gruppo di individui ai margini della società. Con la promessa di un premio in denaro, accettano di partecipare ad un gioco mortale che prevede un unico sopravvissuto. Qualcuno intanto indaga sulla misteriosa organizzazione che muove le redini del gioco.
Squid Game: recensione
Un cinema che negli ultimi anni ha visto aumentare il suo apprezzamento tra il grande pubblico è sicuramente quello sudcoreano, che il recente successo di Parasite di Bong Jooh-ho ha consacrato in tutto il mondo.
Ora, l’industria cinematografica coreana trova ulteriore riscontro con la messa in onda su Netflix di Squid Game, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk.
Sappiamo con quale attenzione Netflix pubblicizza i propri prodotti e infatti la serie è diventata nel giro di poco tempo un vero e proprio caso mediatico, con un successo mondiale che ha coinvolto milioni di spettatori.
L’aver tirato in causa Parasite non è casuale, perché Squid Game condivide con il film Premio Oscar il retroterra sociale e culturale da cui prende avvio la trama. Così come in Parasite si faceva una ferocissima critica alla realtà sociale coreana, realtà in cui i più ricchi mangiano in testa ai più poveri, lo stesso avviene in Squid Game.
L’originalità della serie
La serie si apre come un dramma, che racconta le giornate del protagonista Gi-hun, interpretato da Lee Jung-jae, un uomo sommerso dai debiti e che ogni volta che prova ad uscire dalla sua condizione di miseria.
Come lui, tutti gli altri protagonisti di questa storia sono individui ai margini della società, a cui sono capitate le cose peggiori e a cui non è rimasto altro che la speranza.
Tutta questo degrado non è mai esagerato. La serie non indugia su di esso con morbosità, è un elemento centrale nella storia che però non va mai ad offuscare tutti gli altri.
Su questo sfondo realistico e socialmente impegnato, prende forma una storia che si rifà nel concept a Battle royale e Hunger Games, ma che presto mette in discussione quei modelli per prendere una strada tutta sua.
Questo il miglior pregio di questa serie, la capacità di evitare sempre le scelte più ovvie e banali per prendere vie alternative e più interessanti. Basti pensare che già nel secondo episodio (in tutto sono 9) la situazione che sembra essere al centro della storia si risolve, con un’azione di rivolta.
Squid Game, il cuore dell’opera
In realtà questi primi due episodi sono un MacGuffin per introdurci a quello che poi sarà il vero cuore dell’opera. Da lì in poi infatti le cose prendono un’altra piega, che accompagna i personaggi e lo spettatore attraverso le tappe di una storia che si fa via via più complessa. Il tutto fino all’ultimo episodio, il meno spettacolare, ma sicuramente il più profondo e drammatico dell’intera serie. Anche in quest’ultimo episodio, le aspettative vengono di continuo ribaltate.
Per tutta la serie ad emergere è quanto lontano possa spingersi una persona quando non ha più niente da perdere. Squid Game insiste su questo aspetto, che era anche alla base di Parasite, ma che qui viene spinto ancora oltre.
In definitiva Squid Game può essere letto come un’estensione delle stesse tematiche che vedevamo affrontate in Parasite. Qui però, dato il maggior spazio, vengono più sviluppate, offrendo a visione conclusa un affresco del profondo divario che c’è tra i più ricchi e i più poveri nella società contemporanea.
E il merito di questa serie sta proprio nel raccontare qualcosa di così importante e drammatico attraverso una storia che cattura l’attenzione dello spettatore. Una storia che spinge lo spettatore a proseguire con curiosità di puntata in puntata.
La mole di personaggi non toglie fluidità alla narrazione, anzi, è proprio la moltitudine di figure e di storie che si intrecciano che fanno di questa serie una grande epopea che coinvolge chi guarda dall’inizio alla fine.
Conlusioni
Nonostante il finale suggerisca che la storia non sia finita, la serie potrebbe anche concludersi qui. Tuttavia troppe cose vengono lasciate in sospeso e questo è il maggior difetto di Squid Game.
Alcuni misteri che hanno coperto interi episodi finiscono nel nulla. E personaggi che sembravano aver un ruolo decisivo (il poliziotto interpretato da Wi Ha-joon) finiscono in realtà per essere del tutto superflui nell’affresco generale.
Questo è un problema, perché dà l’impressione che tutto lo spazio investito per costruire alcune delle molte sottotrame della serie sia stato in realtà investito a vuoto, esclusivamente per raggiungere il minutaggio di nove puntate.
Squid Game rimane un ottimo prodotto, una serie girata con un occhio fortemente cinematografico e mai anonimo. Una serie che propone una riflessione sempre attuale sulle dinamiche che muovono la nostra società.
Ed ha inoltre il merito di unire esigenze più autoriali a caratteri più mainstream adatti ad un prodotto Netflix: un’impresa tutt’altro che facile.