Somewhere

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Nel 2010 Sofia Coppola vince il Leone d’oro  a Venezia con Somewhere, ennesimo dramma intimista nella sua produzione registica. Sofia, figlia di Francis Coppola, nata e vissuta nel cinema, tra genitori, zii e cugini attori e registi, in vent’anni di carriera dietro la macchina da presa ha diretto sette film, qualcuno molto bello, altri meno, spesso ambientati a Los Angeles, come quest’ultimo. Il suo stile è ricercato, le sue idee non sono banali, spesso scrive lei stessa le storie che vuole raccontare, come Lost in Translation o come lo stesso Somewhere.

Somewhere
Stephen Dorff è Johnny Marco

Somewhere racconta di alcuni giorni della vita di una star del cinema, Johnny Marco (Stephen Dorff). Johnny ha un’età fra i trentacinque e i quaranta, una figlia undicenne (Elle Fanning) e una vita tra alberghi, presentazioni e lavoro. Sofia ci introduce nella vita di tutti i giorni di una star solitaria, che scopriamo separata: la figlia Cleo viene a trovarlo in albergo, la madre accompagna la figlia, saluta l’ex compagno e se ne va. Johnny ha la sua routine; la sveglia, la segretaria che gli ricorda un appuntamento (due fasi che poi coincidono sempre), la colazione, il lavoro. Lavoro, appunto: il mestiere di attore è rappresentato lontanissimo dall’immaginario collettivo, più simile ad un qualsiasi altro noioso impiego, solo pagato meglio. Johnny promuove i film a cui partecipa, si sottopone a una sessione di trucco per un horror, vola a Milano per la serata dei Telegatti, il tutto con la stessa espressione monocorde impressa sul viso.   

Gli svaghi di Johnny, i modi di evadere dalla noia mortale di questa routine, sono raggelanti nel loro asettico standard: lo spogliarello in coppia di due gemelle in camera, sesso occasionale con attrici e fan dovunque capiti, feste ad alto tasso di alcool, il tutto senza mostrare mai una scintilla di vero entusiasmo.

Somewhere
le pole dancer gemelle

Cleo, momentaneamente abbandonata dalla madre, viene ad interrompere la routine quotidiana del padre per qualche giorno. Così Johnny deve calmierare le sule pulsioni alcooliche e  sessuali per un certo periodo, subendo gli sguardi di disapprovazione della figlia ogni volta che dimentica il suo momentaneo ruolo di ‘padre presente’.    

Al termine della forzata convivenza, quando avrà accompagnato la figlia al camping estivo, Johnny dovrà affrontare tutto il peso della sua solitudine.

Somewhere
Stephen Dorff e Elle Fanning

Somewhere è la storia con la quale Sofia Coppola elabora un’infanzia con il peso dell’assenza del padre, o almeno questa è l’interpretazione data genericamente dalla critica: la stessa assenza che Cleo rinfaccia a Johnny (‘Tu non ci sei mai’ gli dice tra le lacrime). C’è da dire, però, che l’appoggio del padre nelle produzioni filmiche della figlia non è mai mancato, tramite la casa di produzione di famiglia ‘Zoetrope’.

Somewhere piuttosto, ha numerosi punti di contatto con la pellicola precedente, quel Lost in translation che presentò al mondo Sofia come autrice fatta e finita. Il dramma intimista, la solitudine nelle stanze d’albergo, i silenzi assordanti, la disperazione, e l’elemento femminile catalizzatore e promessa di una nuova speranza. La critica americana tende persino alla visione di una trilogia, dove il terzo pezzo è Il giardino delle vergini suicide. L’evidenza è però quella del dittico, con un distinguo. Ovvero, il film più riuscito è quello con Bill Murray: e il motivo è Bill Murray stesso. Laddove Bill, attore anziano costretto a girare spot in Giappone, ha la vita e le sofferenze scritte con le rughe su ogni parte del corpo, qui Dorff, pur bravo e generoso nella parte, risulta impossibilitato a coinvolgere lo spettatore nel suo dolore.

Somewhere
Sessione di Guitar Hero

Le scelte registiche stranianti, come i balletti infiniti e noiosissimi delle gemelle e gli altrettanto insopportabili e continui giri in Ferrari, hanno l’effetto di produrre lo stesso straniamento di Johnny anche nello spettatore. Ma questo non si traduce in sofferenza, bensì in insofferenza, chiaramente diretta verso il film. Johnny è così piatto e annoiato della sua vita da star, da contagiare lo spettatore con la noia, tanto da arrivare a chiedersi perché dovrebbe guardare per due ore una ricca star depressa che non sa cosa fare della sua vita.

L’arrivo di Cleo introduce l’elemento nella storia che dovrebbe essere dinamico e dare la svolta. Ma, non essendo una commedia o un thriller, il dinamismo è soffocato in una nuova routine, quella con la figlia, che sostituisce la precedente. La catarsi finale si traduce in un pianto al telefono, nel quale l’attore confessa l’inutilità della sua esistenza.

Elle Fanning, sorella minore dell’attrice Dakota Fanning, è Cleo

Sofia avrà anche elaborato i problemi avuti nel rapporto col padre in gioventù, ma il modo non è sincero, non funziona, e, soprattutto, non è interessante. La scelta di lavorare per sottrazione esasperata, porta a mostrare esclusivamente in modo squallido e noioso le giornate di Johnny Marco, e il tono dimesso finisce per stritolare l’intero film. Persino il momento di autocitazione è un scivolone. In Lost in translation il colpo di genio fu il finale, con Murray che mormora qualcosa all’orecchio di Scarlett Johansson, e il pubblico non può udire quello che le dice. Lo spettatore può quindi riempire quell’assenza con il proprio pensiero. In Somewhere  la scena viene introdotta in anticipo, quando Dorff sta per risalire sull’elicottero per tornare all’albergo, si gira e, con la voce sovrastata dal rumore delle pale dell’elicottero, grida alla figlia già nell’auto che la porterà al camping ‘scusa se sono stato assente’. Lo spettatore non sa se la figlia (che saluta il papà con la mano) abbia udito le parole  o meno, ma qui non c’è nulla da capire, né da immaginare. Sofia avrebbe voluto sentire queste scuse dal padre? Francis gliele ha mai fatte? E allo spettatore, importa qualcosa di tutto ciò?

Somewhere termina con Johnny che abbandona lo Chateau Mormont, il famoso albergo delle star teatro della maggior parte delle scene del film. E’ pronto ad un cambiamento. Smetterà di bere e di fare sesso occasionale? Problemi suoi, risponde lo spettatore uscendo finalmente dalla sala. La giuria del Leone d’oro era presieduta da Quentin Tarantino, che in precedenza aveva avuto una non breve  liason romantica con Sofia Coppola. Alla fine, questa breve nota è più esplicativa dello squallore del mondo del Cinema di quanto non lo sia l’opera ingiustamente premiata della regista americana.

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