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Scoop: la recensione del film Netflix sul caso Epstein

Il più che noto caso Epstein sembra non perdere mai fascino agli occhi dei media. Le sue mille sfaccettature e zone d’ombra, nonché la sua portata atroce, non mollano mai la presa sullo sguardo del pubblico, giornalistico e audiovisivo. Sulla scia degli infiniti contenuti scaturiti dal caso, giunge quest’anno Scoop (102 minuti di durata), per la regia di Philip Martin. Più spesso dedito in tempi recenti alla sfera dei film tv, Martin aveva rivolto la propria attenzione alla corona britannica nelle puntate da lui dirette della serie di successo The Crown. Con questo lungometraggio torna a farlo, interessandosi alle implicazioni del caso Epstein sulla figura del principe Andrew

Scoop

La sceneggiatura del film si basa sul pressoché omonimo libro “Scoops: Behind the Scenes of the BBC’s Most Shocking Interviews”. Il testo è scritto dalla giornalista e produttrice Sam McAlister, che non a caso nel film di Martin assurge al ruolo di sostanziale protagonista. La vicenda, prima nel libro e poi nel film, con il suo stampo di inchiesta giornalistica segue la genesi e gli sviluppi della celebre intervista concessa dal principe Andrew ad Emily Maitlis di Newsnight, incentrata sul suo rapporto con Epstein. Lo sguardo su cui ci si concentra è però proprio quello di Sam McAlister, che ha reso possibile l’evento accanendosi sul caso e giocando d’astuzia con dati, fonti, concomitanze temporali e prassi televisive. Il film, attualmente disponibile su Netflix, finisce così per esaminare lo scossone mediatico che ha travolto Buckingham Palace, affidandosi alla prospettiva dei giornalisti che hanno osservato il fenomeno da vicino. 

La trama del film

Quando entriamo in Scoop, sono tempi di licenziamenti e insieme di caccia alle nuove storie negli uffici della BBC. È il 2019, e la redazione del Newsnight pur mantenendosi salda fatica a trovare vicende che infiammino il pubblico. La redattrice Sam McAlister (Billie Piper), madre single, rispetto ai suoi colleghi ha un approccio più passionale, diretto, sul campo. Con il proprio piglio si rende a suo modo indimenticabile, colpisce nel segno, riuscendo a trovare ospiti e fatti da narrare. Ma, forse proprio in ragione del suo peculiare approccio professionale, i suoi co-redattori tendono a non lasciarle lo spazio che meriterebbe. In concomitanza però con l’arresto prima, e il decesso poi, di Jeffrey Epstein, lo scetticismo nei confronti di Sam è costretto a calare. 

Proprio l’ostinata Sam, infatti, riesce ad avvicinare Amanda Thirsk (Keeley Hawes), la segretaria del principe Andrew Duca di York (Rufus Sewell). La figura reale è da anni implicata negli scandali relativi al criminale, e con il riemergere del caso dati i nuovi sviluppi è giunto il momento per Sam di giocare la sua mossa. Dopo una negoziazione non facile – e perlopiù titubante dal lato della corona – il Duca e il suo staff decidono di concedere a Newsnight l’intervista, nella speranza di riscrivere agli occhi dell’opinione pubblica il ruolo di Andrew all’interno della vicenda. Con la conduzione di Emily Maitlis (Gillian Anderson), il team giornalistico agisce in modo professionale e sapiente, riuscendo nei suoi intenti. Nonostante sia convinto di aver dato un’impeccabile impressione di sé, con le sue stesse parole il principe si renderà al contempo ridicolo e colpevole agli occhi della nazione e del mondo intero. 

Scoop: la recensione del film

Non si può certo parlare di fallimento nei confronti di un film come Scoop, che nonostante le debolezze si difende grazie allo strenuo lavoro di alcuni punti di forza. Le convincenti e puntuali interpretazioni dell’ensemble dei protagonisti (da Anderson a Sewell passando per Piper) ad esempio, giocano un ruolo decisivo nella ricezione del prodotto. Ad esse, si uniscono alla lista dei pro del lungometraggio la sapientemente tratteggiata e apprezzabile zona d’ombra in cui deliberatamente permane, per tutto il minutaggio, il rapporto complesso fra il principe e la sua assistente e segretaria, Amanda. Per contro però, sul piano più generale della scrittura, il film incontra non poche frizioni, delineando una sceneggiatura quantomeno rivedibile. 

Al livello più immediato, nonostante le buone interpretazioni, salta all’occhio la scrittura dei personaggi stessi. Di ognuno di essi ci viene fornita una tutto sommato scarsa caratterizzazione, così  come una scarsa motivazione. Questo procedere per tratti abbozzati rende estremamente difficile allo spettatore l’entrare in sintonia con loro – parimenti sia con “i buoni” che con “i cattivi”. A malapena in effetti riusciamo a costruire una linea di empatia con la stessa Sam, che pure si configura come protagonista e motore dell’azione. La costruzione psicologica degli attanti, in Scoop, risulta quasi pari a zero. Paradossalmente, il personaggio di cui viene resa in modo più efficace la complessità, a fronte di un’intera redazione da scoprire e che permane tristemente inesplorata, è proprio il Duca di York, che forse meno degli altri aveva bisogno di essere approfondito. 

Scoop: un film sui retroscena solo negli intenti

Quando focus del film si fa un evento di cronaca di risonanza internazionale, è difficile assumere un taglio originale. I lungometraggi che si cimentano in questa impresa, dunque, si propongono spesso di svelare i retroscena, il non detto di quegli stessi eventi. Esemplare, in questo senso, è il lavoro svolto da Il caso Spotlight (McCarthy, 2015), più che acclamato nel suo ritrarre il turbolento dietro le quinte di un eclatante caso di cronaca. Scoop parrebbe volersi muovere con lo stesso intento, ma i risultati non potrebbero essere più differenti. Rispetto all’intervista effettivamente andata in onda nel 2019 (che non a caso ricopre una porzione importante di questa pellicola) il lavoro di Martin aggiunge poco se non niente. 

Scoop

I retroscena si fanno minimi, elementari, in definitiva intuibili; ciò che sta dietro allintervista e alla sua genesi è poco approfondito. Purtroppo finiscono per esserlo anche le dinamiche giornalistiche, che rimanendo spesso forzatamente dietro lo quinte se mostrate suonerebbero forse più nuove ed interessanti per lo spettatore rispetto alla riproposizione di un’intervista che ha già osservato. Sarebbe stato dunque decisamente più saggio, in Scoop, dare maggior risalto proprio alle dinamiche giornalistiche, anche a costo di togliere minuti alla porzione dell’intervista, che essendo materiale televisivo andato in onda è assolutamente recuperabile in modo agile e dunque non ha bisogno di essere offerto nuovamente al pubblico. 

Scoop: un potenziale a metà fra la buona intuizione e l’assenza di approfondimento nella realizzazione

Quanto citato è dunque sufficiente ad etichettare Scoop come un brutto film? Assolutamente no, trattandosi comunque di un prodotto ultimato tendenzialmente godibile (quantomeno ad un occhio non troppo analitico se non direttamente distratto). È un prodotto utile ad avere il tatto, la percezione, del riverbero politico, culturale e mediatico del caso Epstein? Decisamente sì. Ma, per contro, offre un taglio interessante sull’intervista-evento arricchendo di significato il caso che tratta? Probabilmente no. Con queste risposte e considerazioni alla mano, viene spontaneo chiedersi se non valga maggiormente la pena limitarsi direttamente alla visione dell’intervista originale, che quantomeno richiede un tempo di fruizione più limitato. 

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Scoop fa presa sull'attenzione relativa ad un caso di cronaca che non sembra perdere di forza col passare degli anni esaminandone un riverbero, ma la disamina che mette in atto sembra solo parzialmente approfondita.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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