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Men in Black II, recensione del secondo film della saga

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Men in Black è una saga di tre film più un quarto, che sostanzialmente è uno spin-off, ma che non riprende gli stessi protagonisti originali. Al centro della storia come sempre ci sono gli uomini in nero, che proteggono la Terra da “ospiti indesiderati”: tengono la massa all’oscuro dell’esistenza di alieni, invasioni, pericoli e agiscono nell’ombra. Qui parliamo di Men in Black II.

Il primo film aveva visto come protagonista Will Smith (l’Agente J), arruolato da Tommy Lee Jones (qui Agente K) come nuovo membro dei Men in Black. Alla fine di questo primo capitolo, l’Agente K aveva chiesto di essere neuralizzato (ovvero di avere cancellata la memoria con un marchingegno di nome neuralizzatore) per andare finalmente in pensione. Mentre in Men in Black II la situazione precipita proprio a causa della mancanza di K a dare suggerimenti con i suoi preziosi ricordi.

Men in Black: l’allievo non supera il maestro?

Anche nel seguito di Men in Black abbiamo l’immancabile contrasto tra l’Agente J e l’Agente K, il nuovo indisciplinato talento della MIB e il mito che ha maturato anni di servizio tra gli uomini in nero. Men in Black II comincia con un agente J perfettamente a suo agio in solitudine a svolgere il suo lavoro, che neuralizza il personale che non ritiene pronto o adatto a ricoprire un ruolo così particolare.

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Stare perennemente nell’ombra, salvare il mondo senza che nessuno lo sappia, è una prova psicologica che pochissimi sanno gestire. Nel profondo, J sente la mancanza del suo maestro, che però deve ritrovare, perché una nuova minaccia che incombe sulla Terra necessita di informazioni che solo l’Agente K possiede. Bisogna trovarlo e deneuralizzarlo.

K ovviamente non sa chi J sia, ma non passerà praticamente nemmeno un minuto prima che si convinca a sapere chi è in realtà. Forse questa fretta nello storytelling è l’unico difetto della saga tutta: per mantenere un ritmo incalzante tipico del genere d’azione, Men in Black II, come gli altri film, trascura dettagli per farci arrivare subito al sodo. È comunque trascurabile come difetto, anche perché è veramente raro che in una saga ogni film tenga incollati gli spettatori allo schermo.

Men in Black II vince contro la “maledizione del sequel”

Sappiamo tutti infatti che i sequel sono spesso molto deludenti, ti portano a rimpiangere il primo capitolo, di cui non rivedi più l’atmosfera e di cui ricerchi caratteristiche e particolarità. Quante volte abbiamo detto o sentito dire “No, il sequel di film non esiste?”. Accade ad esempio con diversi film Disney.

Non è il caso di Men in Black II. A partire dalla colonna sonora, c’è maggiore malinconia in questo secondo film, che probabilmente prepara al terzo, il più intenso di tutti. Ma al solito non manca la forte ironia che caratterizza i dialoghi, specie quelli tra J e K.

“- Tu non ti ricordi di me, ma noi lavoravamo insieme.

– Mai lavorato per le pompe funebri…”.

Questo perché, il motivo principale per cui Men in Black funziona come saga è che consente allo spettatore di immedesimarsi nei personaggi in un modo che solo in genere fantascienza permette. Mentre quando parliamo di un film drammatico o romantico o commedia ma immerso nella realtà ci riferiamo a qualcosa in cui rivederci sulla base della nostra esperienza, un film di genere fantascienza aiuta a rivedersi in cosa vediamo con altri elementi.

Nessuno di noi ha vissuto l’esperienza di trovarsi di fronte a un alieno, ma dover rinunciare alla ragazza che amiamo, ad esempio, può capitare a tutti. In questo secondo film la novità principale è data dal fatto che il dramma centrale dei personaggi si allontani dal semplice sci-fi per affiancare all’elemento fantascientifico il quotidiano. J si innamora, ma in quanto eroe che deve stare nascosto come uomo in nero, non può lasciarsi coinvolgere.

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Men in Black II: un accurato sequel per sorprenderci

Sembra che in tutto e per tutto il sequel del primo Men in Black abbia le caratteristiche banali di una “americanata“: la bella donna che rompe lo schermo (e infatti la stessa antagonista spiega che per dominare la Terra basta la giusta quantità di ghiandole mammarie), la Terra da salvare, la corsa contro il tempo e l’amore impossibile.

Tuttavia, è come sempre il modo a fare la differenza: il film racconta in maniera efficace e con un cast affiatato un’avventura che coinvolge e probabilmente è quello della saga che più funziona. Per non parlare di qualche piccola chicca che molti non conoscono: ad esempio, il personaggio di Newton che ritorna dal primo film. Lì lavora all’obitorio, qua dirige un videonoleggio.

O ancora il cameo di Michael Jackson, che chiude un cerchio: alla fine del primo film la nuova agente (il medico che lavorava all’obitorio) quando scopre che il re del pop è un alieno, dice che non è un gran travestimento. Qui invece, Michael Jackson chiede di fare parte dei Men in Black.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni
Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.

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