La prima donna a vincere non uno, ma ben due premi Nobel in due discipline diverse: fisica e chimica. La prima donna a insegnare all’Università Sorbona di Parigi. La signora della radioattività che, insieme al marito, ha scoperto due elementi presenti nella tavola periodica: il polonio e il radio e, proprio con quest’ultima scoperta, ha dato un considerevole contributo alla battaglia dell’umanità contro il cancro. Una donna, una madre, simbolo della scienza al femminile, sempre caratterizzata da un grande amore per la ricerca e un forte impegno sociale. Di chi stiamo parlando? Di Marie Curie ovviamente. In questo film biografico diretto da Marie Noëlle del 2016, ma uscito in Italia il 5 marzo 2020, vengono raccontati gli anni più turbolenti di una donna geniale, indagando non solo la sua figura di brillante scienziata, ma anche quella intima e sentimentale di donna.
Sebbene il film inizi illustrandoci brevemente la splendida storia d’amore tra Marie e Pierre Curie, la loro dedizione al lavoro e la vittoria del loro primo premio Nobel nel 1903, la regista Marie Noëlle non è molto interessata a questo aspetto, la tragica morte accidentale di Pierre infatti si verifica quasi subito. Piuttosto, la sceneggiatura si sofferma e illustra la successiva lotta della resiliente vedova ad affermarsi come leader indipendente nel suo campo, ribaltando l’assunto sciovinista nell’Accademia delle scienze tutta maschile della Francia, secondo cui Marie Curie era solo una collaboratrice secondaria delle scoperte del marito, piuttosto che una collaboratrice alla pari. La particolarità di questo film, a differenza di “Madame Curie” di Mervyn Leroy del 1943 o della versione di Claude Pinoteau del 1997, è che quest’ultimo della Noëlle approfondisce la donna dietro l’icona della scienza. La femminilità della scienziata, qualcosa di cui raramente abbiamo sentito o visto, è infatti al centro della scena. Quindi, piuttosto che limitare a fornire uno sguardo retrospettivo su una vita fuori dal comune, viene raccontata la lotta di una donna per essere riconosciuta, una lotta che l’ha portata a negare molti aspetti del suo essere donna per poter seguire la propria passione per la scienza. Nel 1910, infatti, la società francese trasformò il suo amore per il fisico Paul Langevin – al tempo sposato – in un enorme scandalo, riducendo la brillante scienziata ad una banale adultera, mettendo a rischio anche la vittoria del suo secondo premio Nobel. All’epoca, l’opinione prevalente negava alle donne con spiccate capacità logiche e analitiche qualsiasi femminilità. Verso le donne che intendevano occuparsi di scienza, ed erano determinate ad avere successo nel loro campo, c’era perfino ostilità e discriminazione. Il successo di Marie Curie fu tollerato fino a che lei si prodigò devotamente e altruisticamente nelle sue ricerche accanto al marito. Una volta rimasta sola diede scandalo osando mostrare i propri sentimenti, e fu costretta a imparare che ragione e passione non sono compatibili.
Concentrandosi quindi sul periodo di tempo che intercorre tra i due premi Nobel, durante il suo matrimonio, la collaborazione professionale con il marito Pierre, e la sua successiva relazione con il collega Paul Langevin dopo la morte del marito, l’attrice polacca Karolina Gruska che la impersona naviga abilmente in agitati mari emotivi di trionfo e tragedia, amore e perdita, offre una splendida interpretazione diventando l’essenza stessa di Marie Curie, nella complessità della sua mente e del suo cuore. Sentiamo la frustrazione e la rabbia di Marie quando vengono respinti tutti i suoi successi con molti che scelgono di negare le sue capacità, attribuendo il suo solo un lavoro di contorno fatto al marito finché era in vita. Gruska attira le emozioni come se fossero in una pentola a pressione, fino ad esplodere in romantiche, frenetiche e languide delizie pomeridiane insieme a Pierre e poi in un’ondata di furia viscerale carnale con Paul Langevin. Le morbide immagini romantiche rispecchiano il lato femminile personale della Curie, mentre, le aule universitarie e i laboratori sterili rimandano a un focus deliberato e metodico quando è impegnata nel suo lavoro di ricerca e di esperimenti. E la pura gioia per la scoperta del radio blu neon le illumina il viso, letteralmente e in senso figurato. Così, vengono mostrati entrambi i lati della medaglia che permettono alla sua battaglia per l’uguaglianza di svolgersi con credibilità e autenticità.
L’illuminazione nel film è esemplare. La metafora della luce, della vita e della scoperta è celebrativa e onnipresente. E poi c’è il colore. L’uso dell’azzurro neon, il colore dei sali di radio isolati da Marie e Pierre, permea il film con tocchi nella casa di Curie, nell’appartamento di Langevin, servendo da tacito promemoria delle realizzazioni di Marie Curie. C’è il bianco, pulito, brillante. Entrambi danno al film un bagliore, il bagliore del radio, che si sprigiona all’interno di ogni fotogramma e fuori dallo schermo. La vitalità è squisita. Insieme al direttore della fotografia Michael Engler, viene progettata una larghezza di banda tonale visiva che richiama obiettivi meticolosi e calcolati che sono così rigorosi nelle sue inquadrature che parla metaforicamente a ciò che si può ritenere essere la natura esigente della mente stessa di Marie Curie. Montaggi e composizioni a schermo diviso in slow motion creano un flusso armonioso nel mostrare elegantemente il passare del tempo e momenti significativi che portano a scoperte scientifiche. Il movimento della fotocamera varia da treppiede standard, macchina a spalla, steadicam e persino palmare traballante, quest’ultimo usato con giudizio per riflettere momenti più “inquietanti”.
L’approccio stilistico della regista è imprevedibile, cambia praticamente da una scena all’altra. Si passa dai toni selvaggiamente melodrammatici della vita romantica di Marie Curie ai toni silenziosi e concentrati del suo lavoro. Mentre l’umore e l’estetica passano da floridi a gelidi, la partitura frenetica del compositore Bruno Coulais corre per tenere traccia e si aggiunge all’estetica generale del film con successo. La storia viene affrontata attraverso l’emozione e il romanticismo, senza però mai dimenticare la forte attenzione alle battaglie femministe. Questo diventa un meraviglioso contrappeso alla donna accanita e ferocemente indipendente che lotta per il suo legittimo posto e il meritato riconoscimento nella comunità scientifica e anche fuori. Quando le persone riflettono sui diritti delle donne e sulle femministe, Marie Curie è uno dei primi nomi a cui si dovrebbe pensare. La vita la mise di fronte a tante sfide che dovette affrontare con un coraggio e una perseveranza ammirevoli. Grazie alla propria intelligenza e al proprio talento, riuscì a farsi strada in un ambiente scientifico dominato da soli uomini. Perfino un giovane Albert Einstein, interpretato nel film da Piotr Glowacki, dichiarò la propria ammirazione per il suo genio. Marie Noëlle ha fatto un buon lavoro, confezionato con eleganza, tuttavia offre una restituzione leggermente didascalica degli eventi. Ma ciò non toglie che l’esperienza affascinante e straordinaria di Marie Curie è esemplare per la vita di tutte le donne impegnate in settori tradizionalmente maschili, anche al giorno d’oggi.