Kimi, il thriller al tempo del Covid-19
Un vero peccato che Kimi, il nuovo film di Steven Soderbergh, sia approdato direttamente su HBO Max, perché meritava il grande schermo. Un film che avrebbe di certo goduto di ogni comfort della sala cinematografica per esprimere ancor di più tutte le sue potenzialità, sia visive che narrative. Un thriller totalmente calato nel nostro presente, in un mondo ancora provato e in allerta dalla pandemia da COVID-19. Elegante e raffinato, ma allo stesso tempo matematicamente calcolato in ogni sua sfumatura, mai sopra le righe e non c’è niente che sia fuori posto. Questo è il cinema di Steven Soderbergh. Zoe Kravitz, la protagonista del film, ha un look iconico benché molto semplice. Pochi colori e sicuramente insoliti, soprattutto i capelli blu, una semplice magliettina bianca, una felpa con cappuccio e un cappotto azzurro chiaro che è la ciliegina sulla torta del suo outfit. L’attrice Zoe Kravitz offre una performance molto convincente. Un ruolo non facile quello in Kimi, ma ne esce sicuramente trionfatrice.
Kimi, la trama del film
Ambientato a Seattle durante la pandemia da COVID-19, Kimi segue la storia di Angela Childs, interprete di stream vocali per una grande società. Il virus la costringe a lavorare in smart-working, ma per Angela non è un problema, perché soffre di agorafobia. Per lei il mondo esterno non esiste, esiste solo il suo di mondo, fatto dalle mura di casa sua e dalle sue cose. Cerca di intrattenere una qualche relazione sociale con un uomo che sta nel palazzo di fronte, ma anche la sua presenza è motivo di disturbo in un modo o nell’altro. Un giorno Angela, mentre sta esaminando un flusso di dati proveniente da un dispositivo chiamato Kimi (la nostra Alexa, per intenderci), si imbatte in una registrazione ambigua. Sente che Kimi ha registrato un episodio di violenza contro una donna e lo fa presente alla sua azienda. Tuttavia incontra non pochi ostacoli, ma guidata dal sentimento di giustizia, affronta le sue paure uscendo fuori casa. Non sa, però, che ogni suo movimento viene registrato…
Il cinema post-pandemia
Di film sulla pandemia da COVID-19 ne sono stati fatti, anche se magari non tutti hanno potuto godere di buona distribuzione e passaparola. Si pensi a Glass Onion-Knives Out o il film canadese Corona o ancora la commediola nostrana Lockdown all’italiana. Il virus da COVID-19 ha cambiato le nostre vite e continua ancora oggi a cambiarle, non essendo scomparso del tutto. Il cinema quindi, non poteva non parlarne. Tra tutte le voci che hanno provato a raccontarne le conseguenze e i cambiamenti forse irreversibili, Steven Soderbergh ha centrato in pieno l’obiettivo. Il merito va anche allo sceneggiatore David Koepp (Carlito’s Way, Jurassic Park, Mission Impossible) che ha saputo scrivere una storia ricca di dettagli che impreziosiscono la narrazione di Kimi, basta solo stare in ascolto dei dialoghi, più ricchi di quel che sembra. Nella protagonista e nei suoi modi di fare e comportamenti c’è molto di noi. Dall’ipocondria del disinfettarsi ogni qual volta si tocca una superficie per paura di essere contagiati, al camminare tra la gente quasi nascondendosi, fino a diventare parte di una realtà virtuale che si trasforma nell’unica esistente e possibile. Angela Childs lavora in smart-working, la sua professione è l’ascolto, quindi un isolamento mentale e sociale segue subito dopo. Inoltre, nel suo passato vi è un trauma mai superato e il post lockdown diventa la sua comfort-zone. Il rapporto uomo-tecnologia è l’espediente che Soderbergh usa per riflettere ancora una volta su una società sempre più dipendente dalle macchine e dai dispositivi che sostituiscono un vero rapporto umano. Questo è il contesto iniziale di partenza e Zoe Kravitz offre una performance davvero sorprendente.
Un’incursione perfetta nel cinema di genere
Tutta la seconda parte di Kimi è un’incursione perfetta nel genere thriller, come ormai raramente si vede. Tuttavia, ci si aspetta questo da un regista che ha completa padronanza della materia e che dimostra di conoscere il vecchio cinema di un tempo. Dal momento in cui Angela, vinta da un senso di giustizia che in passato non è stata capace di aiutarla, esce finalmente fuori casa per “salvare” un’altra donna in pericolo, il film cambia registro. Respira l’aria più pura del cinema di genere con eleganza, raffinatezza e misura, senza mai andare oltre. Se l’inquietudine iniziale riguarda lo stato emotivo e sociale della protagonista, da metà film fino alla risoluzione finale questa stessa sensazione sposta il focus su un mondo ancora in subbuglio, dove le persone mostrano evidenti strascichi di disagio post-pandemia e le mascherine sul viso sono solo la punta dell’iceberg. Angela, per quanto problematica, è un’eroina dalle mille risorse e assistere al suo riscatto è una goduria per lo spettatore. Registicamente Soderbergh è veramente un maestro. Incalzante, ritmato quando Kimi ha bisogno di alzare l’asticella della tensione e sommesso nei momenti di preparazione alle scene clou. Non si può chiedere di meglio.
“Piccolo”, ma efficace
Kimi è un film “piccolo”. Piccolo nel senso di apparentemente sommesso, distribuito quasi in modo che nessuno si accorga di lui. Eppure, è una vera e propria esplosione tra i film recentemente usciti. Le potenzialità della narrazione sono evidenti, così come la capacità di Soderbergh di sapersi sempre distinguere nel marasma del cinema di genere. Una vera chicca da non lasciarsi scappare.