Il servo, il capolavoro di Joseph Losey, ha da poco compiuto 60 anni. Ed è sempre attuale, tanto da aver ispirato uno dei film del momento.
Avete presente Saltburn, l’ultimo film di Emerald Fennell disponibile su Amazon Prime Video? Sì, quello con le scene della vasca da bagno e della tomba che tanto hanno fatto discutere. Se avete presenti le dinamiche del rapporto tra i giovani protagonisti, il ricco Felix e il working-class Oliver? Ebbene: deve molto a questo film.
Che uscì nel settembre 1963, più o meno sessant’anni fa, e fu presentato al Festival del Cinema di Venezia di quell’anno. Fu il frutto dell’incontro tra due geni: il regista Joseph Losey e lo sceneggiatore-autore e regista teatrale Harold Pinter, insignito poi del Premio Nobel per la Letteratura nel 2005. Uno che con le parole ci sa decisamente fare.
Il servo, la trama
La storia di Il servo, tratta da un romanzo di Robin Maugham, è essenzialmente questa: un ricco borghese, Tony Mounset, cerca un maggiordomo per la sua nuova casa, acquistata da poco. Fa il colloquio ad un uomo, tale Hugo Barrett, che lo convincerà per le sue precedenti esperienze come cameriere personale di alcuni aristocratici.
Il nuovo maggiordomo, però, non farà breccia nel cuore di Susan, la fidanzata di Tony, che confiderà a quest’ultimo di avere alcuni dubbi su di lui. Ben presto gli eventi cominceranno a precipitare.
Il tema della menzogna
Il tema sul quale si basano tutte le vicende raccontate in Il servo è la menzogna: da quando mette piede in casa di Tony, Barrett non farà altro che raccontargli bugie. Lo spettatore se ne accorgerà quando il maggiordomo confiderà al suo padrone che non beve birra e, solo poche scene dopo, invece, la cinepresa lo mostrerà intento a berne una.
Bastano pochi dettagli per far crollare l’illusione di facciata della buona educazione e del contegno del maggiordomo, intento a sottomettere, lentamente, Tony. E la menzogna contagerà, pian piano anche quest’ultimo.
L’importanza dei silenzi
La sceneggiatura di Il servo è una sapiente partitura di parole, mai sovrabbondanti e perfettamente congegnate, e silenzi rivelatori di ciò che le parole camuffano. Il risultato è un’atmosfera carica di ironia, sarcasmo e anche sensualità, nella quale regna sovrana la regola “show, don’t tell”: uno dei principi più preziosi per uno scrittore. Anche e soprattutto per un fuoriclasse come Harold Pinter, qui alle prese con la sua prima sceneggiatura cinematografica. Questa dinamica diventa decisamente dirompente quando nella storia irrompe Vera, sorella di Barrett che si trasferisce a casa Mounset per affiancarlo come cameriera.
L’importanza del silenzio l’ha esplicitata molto bene lo stesso Pinter. “Credo si possa comunicare benissimo solo nel silenzio, nel non detto, e che quanto si verifica sia solo un incessante pretesto, dei disperati tentativi di retroguardia per mantenerci rinchiusi in noi stessi. La comunicazione è troppo allarmante. Entrare nella vita di qualcun altro è troppo spaventoso. Rivelare agli altri la miseria che ci pervade è una possibilità troppo terrificante”.
Lo stile di Pinter si percepisce forte e chiaro anche nella scena del ristorante, nella quale Tony e Susan sono intenti a pranzare insieme. Attorno a loro si svolgono tre enigmatici siparietti, uno dei quali vede protagonista anche lo stesso Pinter in un cameo, con relativi dialoghi apparentemente privi di senso. Ma la sensazione che ne deriva è il senso di oppressione che attanaglia Tony e Susan, anche quando in scena non c’è Barrett.
La lotta di classe
In particolare, Il servo parla del rapporto tra un esponente dell’alta borghesia, con il suo bagaglio di privilegi, arroganza e vizi, e un esponente della classe lavoratrice inglese, un uomo che, per sua stessa ammissione, è “a servizio da 13 anni”. Se, per via dei rispettivi ruoli, il rapporto di potere tra i due sembra essere sbilanciato a favore del primo, lo spettatore scoprirà presto che è il secondo a tenere le redini del gioco e a cercare di capovolgerlo continuamente a proprio favore.
Barrett, infatti, si adopera per diventare indispensabile e degno della fiducia di Tony. Per influenzarne il gusto, persino nell’arredamento. Limitare l’influenza della sua fidanzata, rendendola inoffensiva. Fare leva sui suoi vizi in modo da renderlo debole, maggiormente manipolabile. Quella che ingaggia con il suo padrone è una lotta di classe e, più in generale, una lotta per il potere, a lungo progettata e messa in atto con metodicità sulla base di un piano diabolico concepito nei minimi dettagli.
Gli interni di casa Mountset ospitano una vera e propria guerra di trincea, combattuta a suon di pezzi di arredo, alcol, poltrone e bagni (come quello padronale occupato indebitamente da Vera poco dopo il suo arrivo). Una guerra in cui ognuno degli eserciti cerca, di volta in volta, di conquistare o riconquistare una porzione di territorio. Una contesa che è destinata ad avere un solo vincitore.
Una fotografia sontuosa, tra ombre e specchi
La fotografia di Il servo, a cura di Douglas Slocombe, è notevole. Tanto da essersi aggiudicata nel 1964 un Bafta (l’equivalente dei Premi Oscar del cinema britannico, ndr).
Nulla viene lasciato al caso: dalla prima inquadratura di Barrett, ripreso dal basso e incombente, che si presenta al colloquio da maggiordomo trovando il suo futuro padrone addormentato (e ignaro di ciò che succederà) allo “sdoppiamento” di personaggi e punti di vista attraverso l’utilizzo delle ombre e degli specchi. Se lo specchio, peraltro deformante, trasfigura la realtà, l’ombra ne è solo un’immagine molto parziale. E parla di qualcosa di oscuro.
Dosata con sapienza, questa cinematografia non è mai morbosa o esplicita in ciò che vuole mostrare o denunciare: ed è proprio in questa modalità, nel non dire suggerendo, che sta la sua forza. Sebbene il film sia in bianco e nero, il contrasto cromatico suggerisce la distanza tra i personaggi: capelli corvini e abiti scuri per Barrett, abiti chiari e capelli biondi per Tony.
Il servo, il cast
Al timone di regia, dicevamo, c’è Joseph Losey. Tre anni dopo questo film avrebbe realizzato Modesty Blaise – La bellissima che uccide con Monica Vitti e otto anni dopo La scogliera dei desideri, con la splendida coppia Liz Taylor – Richard Burton, sceneggiato da un altro drammaturgo di primissimo piano: Tennessee Williams, l’autore di Un tram che si chiama desiderio.
Il sodalizio con Pinter continuerà per altri due film: dopo Il servo, insieme faranno anche L’incidente (1967) e Messaggero d’amore (1971). I tre film realizzati dalla coppia racconteranno tutti le tensioni di classe che animavano l’Inghilterra negli anni Sessanta.
Nel 1979, poi, Losey sfornerà quello che è forse il suo film più noto: Don Giovanni, adattamento cinematografico dell’omonima opera di Mozart su libretto di Lorenzo da Ponte.
Nel ruolo del diabolico Hugo Barrett troviamo Dirk Bogarde, che lavorerà di nuovo con Losey nel film di guerra Per il re e per la patria (1964), Modesty Blaise – La bellissima che uccide (1966) e L’incidente. Bogarde è specialista dei ruoli perturbanti. Due anni prima di Il servo aveva interpretato il ruolo di un avvocato accusato di omosessualità in Victim (1961) e poi era diventato il compositore in preda a una crisi di mezz’età Gustav von Aschenbach di Morte a Venezia e il nazista sadico di Il portiere di notte (1974).
In questo film, con la sua sola presenza, poche parole ed eloquenti sguardi riesce a comunicare tutta la natura beffarda del suo personaggio.
Giovani rivelazioni: James Fox e Sarah Miles
Ammirevole anche l’interpretazione di James Fox, alle prese con il suo terzo film nei panni del ricco Tony Mounset. Viso pulito e parole sprezzanti nei confronti del suo “servo”: un contrasto che funziona a meraviglia. Degli attori del cast è l’unico ad essere ancora in attività: nel 2005 ha preso parte, nei panni di Mr. Salt, a La fabbrica di cioccolato di Tim Burton.
Sul set del film Fox ebbe una relazione con la co-protagonista Sarah Miles. Che, sebbene non protagonista, è una presenza che davvero si fa apprezzare e notare. Miles, all’epoca ventiduenne, è solo alla sua seconda interpretazione ma ha un talento che buca lo schermo: nei panni della partner in crime di Bogarde è pressoché perfetta, gesti provocanti e sorrisi ammiccanti. Svampita all’apparenza quanto spietata, è allo stesso tempo piena di vita e disinibita. Un volto fresco e letale per qualunque giovane uomo troppo sicuro di poter disporre sempre di tutto ciò che desidera.
Miles diventerà un volto iconico della Swinging London grazie a Blow Up di Michelangelo Antonioni (1967) e sette anni dopo girerà quello che forse è il suo film film più bello: La figlia di Ryan di David Lean. Un ruolo scabroso e dramaticissimo che le varrà una Nomination all’Oscar come Miglior Attrice Protagonista. Prenderà parte anche all’ultimo film in assoluto girato da Losey: Steaming – Al bagno turco, datato 1984.
Brava e in parte anche l’altra comprimaria femminile, Wendy Craig, nei panni di Susan, sebbene di fronte alle brillanti interpretazioni dei suoi colleghi di set tenda un po’ a scomparire. Può comunque vantare un ruolo chiave, sia nell’equilibrio delle energie di scena che nelle vicende che vengono raccontate nel film. La sua carriera di attrice, però, si interromperà bruscamente nel 1967.
Il servo, i premi e la New Wave del cinema britannico
Se Il servo non ha conquistato nessun Oscar, ha invece fatto incetta di premi ai Bafta del 1964. Oltre al succitato premio per la Miglior fotografia, il film ha ricevuto anche due riconoscimenti agli attori protagonisti: quello di Miglior Protagonista per Dirk Bogarde e quello per l’Esordiente più promettente per James Fox.
Il movimento del cinema inglese di quegli anni, la cosiddetta British New Wave alla quale appartiene anche Il servo, è stato comunque protagonista della cerimonia degli Oscar: tra nomination (6) e statuette conquistate (4), a spadroneggiare nell’edizione del 1964 è stato Tom Jones di Tony Richardson.
E tra Il servo e Tom Jones, comunque vada, il vincitore è sempre e solo uno: il (bel) cinema inglese.