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Il metodo di Phil Stutz – La recensione del documentario Netflix di Jonah Hill

Nel corso degli ultimi anni, l’attore Jonah Hill – perlopiù noto per ruoli da comprimario o spalla in pellicole del calibro di True story o Don’t look up si è dedicato alla regia di un progetto documentaristico che da poco (più precisamente dal 14 novembre) è comparso sulla piattaforma di streaming più famosa al mondo, Netflix. Il prodotto, dal titolo Il metodo di Phil Stutz, si instaura sulla base di un dialogo intrattenuto tra lo stesso Hill e il suo psichiatra Phil Stutz, che esercita la propria professione rifacendosi a metodi originali e assolutamente personali, di sua concezione. Il documentario ha un minutaggio di 96’.

La trama del documentario

Da anni l’attore Jonah Hill frequenta lo studio del terapeuta Phil Stutz, suo primo consigliere e ormai anche suo impareggiabile amico. Il rapporto tra i due, ben lungi da rimanere sul mero livello di interazione tra dottore e paziente, è saldo e profondo: Hill e Stutz conoscono le vite l’uno dell’altro (come dimostrano le numerose incursioni dialogiche nei loro passati), i reciproci punti deboli e i meccanismi del pensiero. Tramite il documentario, l’attore accende un riflettore sull’ideologia professionale non convenzionale del suo psichiatra, che al posto di un ascolto passivo privilegia il consiglio attivo, il suggerimento al paziente. Un suggerimento integrato dalle sue personalissime teorie, i cui cardini sono illustrati durante i 96 minuti del film. Oltre a questo, il documentario arriva a tangere molti altri nodi concettuali: i rapporti familiari, la malattia, le relazioni, e anche – particolarmente degno di nota – una singolare riflessione sulla produzione che si sviluppa in curiosi termini meta-filmici.

Il metodo di Phil Stutz

Il metodo di Phil Stutz – La recensione del documentario

Nel panorama del complesso e articolato (ma di certo anche marcatamente commerciale) catalogo di una piattaforma di streaming del calibro di Netflix, un documentario della natura di Il metodo di Phil Stutz si profila come un prodotto sicuramente inconsueto, atipico e curioso. Se indubbiamente la piattaforma negli anni ha tentato di riportare l’attenzione del proprio pubblico sul genere documentaristico, con prodotti pop e accattivanti che magnetizzassero un’ampia fascia di pubblico, è pur sempre vero che la reticenza dello spettatore medio nei confronti del genere è assolutamente manifesta. Il documentario di Jonah Hill tenta un’operazione curiosa, associando ad un prodotto sicuramente non pop, per sua natura, un volto tendenzialmente noto ai più (quello dello stesso regista e attore) che sulla carta si rivela capace di avvicinare il potenziale pubblico ad un contenuto che altrimenti rischierebbe la quasi totale mancanza di fruizione.

Inoltre, allo svilupparsi tradizionalmente documentaristico del prodotto si integrano peculiari segmenti di magnetica espressione creativa che sfiorano in alcuni casi il meta-filmico e in altri addirittura l’onirico (pare che a Hill non sia passata inosservata la recente lezione di Kirsten Johnson in Dick Johnson è morto, 2020), i quali concorrono senza dubbio alcuno ad aumentare la curiosità del potenziale pubblico nei confronti di Il metodo di Phil Stutz.

Nel corso di poco più di un’ora e mezza, il piano contenutistico investiga il protagonista (manifesto sin dal titolo) e la sua pratica, messa in atto in modo singolare e personale nel corso di quella che appare essere una longeva e virtuosa carriera. Con lo scorrere del minutaggio, però, il confine fra la professione di Stutz e il suo privato si fanno di minuto in minuto più labili, trascendendo sempre più nel personale del medico e nella disamina di come proprio il suo personale si sia inevitabilmente rivelato con il passare del tempo sia ostacolo che parte integrante al proprio mestiere.

Incoraggiato dagli interrogativi del suo stesso paziente, il medico finisce per parlare così del suo rapporto con le figure genitoriali, con il decesso infantile del proprio fratello, della sua latitanza nelle relazioni amorose e del complesso rapporto con il parkinson, che lo ha segnato sin dalla giovane età. In quello che risulta diventare di fatto una curiosa inversione di ruoli, il paziente (Hill) finisce così per esplorare la psiche del suo stesso terapeuta, per mezzo di un giocoso scambio tra due soggetti legati da un profondo rapporto di reciproca stima e affezione.

Pur non essendo un documentarista di professione, Hill dimostra in più di un’occasione la sua dedizione al prodotto. La sua cura in Il metodo di Phil Stutz passa sicuramente per una studiata e calibrata fase autoriale, in cui si mette in gioco in prima persona finendo poi però per trascinare nella sua esplorazione concettuale anche il vissuto di Stutz. Ma l’attenzione dell’attore, prestato per l’occasione alla macchina da presa, si trasmette anche in fase registica e di direzione della fotografia tramite scelte che finiscono per influenzare il prodotto nella sua totalità incrementandone lo spessore.

A tal proposito, la prima scelta che salta all’occhio in Il metodo di Phil Stutz è quella dell’uso di un bianco e nero volto evidentemente a far focalizzare lo spettatore unicamente sui concetti espressi, anziché sulla cornice circostante, affinché se ne rendano in senso assoluto la potenza e l’universalità. Bianco e nero che, tuttavia, appare funzionale solo fintanto che l’obiettivo è quello di accattivare il pubblico con concetti e riflessioni prettamente teoriche, ma che poi deliberatamente scompare per lasciare spazio al colore, in un’ottica di potente intrusione della dirompenza del reale e in corrispondenza di una messa in mostra crudamente onesta della vulnerabilità dei soggetti che abitano il documentario stesso.

Il metodo di Phil Stutz

Complessivamente, Il metodo Phil Stutz non si rivela certo il film dell’anno, né punta ad ergersi a imprescindibile pilastro dell’ars documentaristica. Ciononostante, la cura con cui il regista si cimenta in un’operazione tanto peculiare e di nicchia si rivela ammirevole e, per quanto didattica, comunque a suo modo audace, portando a compimento un prodotto ultimato indubbiamente singolare (soprattutto se messo in relazione con il tenore dei contenuti offerti dalla piattaforma che lo ospita).

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
emozioni

SOMMARIO

Il metodo di Phil Stutz è un curioso documentario che investiga la tecnica dell'eponimo protagonista, terapeuta dalla carriera ultradecennale, filtrando la disamina dagli occhi del suo paziente (e regista per l'occasione) Jonah Hill.
Eleonora Noto
Eleonora Noto
Laureata in DAMS, sono appassionata di tutte le arti ma del cinema in particolare. Mi piace giocare con le parole e studiare le sceneggiature, ogni tanto provo a scriverle. Impazzisco per le produzioni hollywoodiane di qualsiasi decennio, ma amo anche un buon thriller o il cinema d’autore.

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