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Il ballo delle pazze – recensione del film di Melanie Laurent

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Si intitola Il ballo delle pazze l’ultimo lungometraggio firmato dall’attrice e regista Melanie Laurent, ma non ha niente di visionario, folle, intrepido nelle sue vene. Tutt’altro. C’è una grammatica panoramica che gela il racconto, lo immobilizza in un castone da cui si annaspa a tirare fiato emotivo, ed è un peccato.

Ispirato al romanzo omonimo di Victoria Mas, che tanto successo ha riscontrato in Francia, Il Ballo delle Pazze, disponibile su Prime Video, spalanca lo sguardo sulla condizione delle donne ritenute non sane di mente alla fine dell’Ottocento nel, rinomato per modernità, suolo francese.

Il ballo delle pazze

Il manicomio quale luogo in cui eclissare dalla società femmine affette da qualcosa di non riconoscibile né facilmente controllabile: l’isteria, la nevrosi, la misantropia, la malinconia, la schizofrenia, la paranoia, l’amoralità conclamata, la disperazione criminale, il ritardo cognitivo, gli stadi allucinatori, i disturbi comportamentali più vari, dalla psiche al fisico, dal broncio fuor di regola al ritardo mestruale, ogni sorta d’inquietudine collocabile fuori dal contegno borghese è un rischio che non ci si azzarda a correre e va stroncato sul nascere, isolandolo e annientandone la portatrice.

Le strade, le case e le famiglie bene di Parigi ringraziano; la società evoluta ed efficiente può continuare la propria scalata al successo, come se niente fosse.

Il ballo delle pazze – Trama

Così accade ad Eugènie Clery (Lou de Laage), giovane e solare ragazza, legatissima alla propria altolocata famiglia, in particolare al fratello Theophile (Benjamin Voisin), amante della lettura, dell’aria aperta, del divertimento, insofferente dell’etichetta sociale destinata al proprio rango e al proprio genere, portatrice dentro di sé di una virtù/condanna ossia quella di vedere gli spiriti dei morti, di poter parlare con loro ed intercettarne le volontà. Scoperto questo terribile segreto, la famiglia la rinchiude a tradimento nell’ospedale psichiatrico di Salpetriere.

Con il suo ingresso struggente in questa struttura si aprono le porte dell’inferno: un mondo di corpi femminili vessati ed oppressi con diagnosi improbabili ed impalpabili, terapie più simili a torture che ad atti di cura, abusi pubblici giustificati che sfociano nella violenza privata, privazioni e sacrifici fuor di ogni ragionevolezza.

Il ballo delle pazze

Tutte sottoposte allo scrutinio del neurologo e psicologo Jean Martin Charcot (Gregoire Bonnet), che detiene praticamente diritto di vita o di morte sulle proprie disgraziate pazienti. In attesa del suo inavverabile consenso per poter recuperare la libertà, Eugènie stringe un rapporto di confidenza e fiducia reciproca con la capoinfermiera dell’istituto, Genevieve (la stessa Melanie Laurent),alla quale rivela parole che la sorella scomparsa avrebbe voluto dirle e con cui intesse un’alleanza che si rivelerà per lei salvifica, durante il periodo feroce dell’internamento.

Si avvicina nel frattempo la grande festa del Salpetriere ossia Il ballo delle pazze, in cui tutte le pazienti truccate e costumate come in un novello Carnevale, incontrano alti rappresentanti della società e medici, danzando con loro tutta la notte, in una serata in cui gioia e angosce si fondono insieme, perdendo i confini, in un mix disturbante, pericoloso, rivelatorio ed indiscriminato di sani e malati.

Il ballo delle pazze – Recensione

Quanto una giovane donna, riottosa alle convenzioni, poco fuori dal selciato prestabilito dal pater familias, che abbia aspirazioni e desideri differenti dalla norma possa avere strada difficile è cosa drammaticamente nota. Come da un moderno dramma si passi alla tragedia ce lo insegna la storia, dove la perdita della libertà fisica e mentale veniva imposta a tutte queste, giovani e meno giovani, non allineate, cui era di fatto proibito esercitare libero pensiero.

Su ciò ovviamente punta lo sguardo la Laurent, è questo che deve aver attirato la sua attenzione nello scegliere di portare su grande schermo Il ballo delle pazze. Ed i tempi nostrani sono culla fertile per questo tipo di ragionamenti a ritroso i quali consolidano la convinzione secondo cui il genere femminile ne abbia passate immensamente più di quello maschile, su vari fronti.

Basti ricordare che nel film l’ospedale psichiatrico, ex-prigione politica d’epoca istituita da Luigi XIV, è destinato alle sole pazienti femminili, con diagnosi di una vaghezza sconcertante e metodi terapeutici brutalmente aggressivi, che non solo non guariscono, ma piegano la volontà e fanno ammalare, come denuncerà la stessa Eugènie, prima di svenire di fronte ad un fazzoletto imbevuto di etere coartatamente fattole odorare.

Mentre del fratello, di cui si lascia intravedere appena nel film una possibile omosessualità, non si dice nulla: di lui, probabilmente marchiato da quella che era considerata una sorta di perversione mentale scaricata sul corpo, che darebbe non pochi problemi ad una famiglia intenta a restare ben piazzata in società, si tace, innanzitutto perché lui è un maschio e, indipendentemente dalla sue volontà future, sulle spalle porta il futuro di un cognome, per cui, volente o nolente, il suo è un destino già scritto, già guadagnato. Lei no, lei, donna, se lo deve guadagnare.

Il ballo delle pazze

Dunque odiosa sperequazione di trattamenti tra uomini e donne, in questo caso ancora più dannosa perchè perpetrata sul terreno fragile, sensibile ed insidioso della psiche umana. Quest’ultimo è un settore in cui ci si muoveva con primi approcci teorici, poco pratici, ancora “da macellaio”, come se ogni caso fosse giungla di sperimentazione, ovviamente con il consenso implicito della paziente, pezzo di carne in deposito presso la struttura.

Così le lezioni del professore su Louise (Lomane de Dietrich), fragile schizofrenica, vittima delle circonvenzioni sessuali di un medico, la spersonalizzano, rendendola oggetto da analizzare e scrutare anche accasciata in terra, anche in preda alle convulsioni, anche dopo una paresi, anche in carrozzella in un macabro costume da spagnola. Così i calendari delle pazze fotografate ad arte, per fare impressione nella prossima lezione da tenere in ateneo, o per divertimento codardo e derisorio di una notte. Esseri femminili deprivati della dignità e della ragione, ridotte forzatamente alla calma tramite sonniferi, salassi, purghe, docce e bagni ghiacciati, che le stremano e le avvicinano alla morte.

Il ballo delle pazze

Ma di tutto questo Il ballo delle pazze restituisce poco calore e ancor meno indignazione. Non ha afflato documentaristico, né profondità melodrammatica, non si colloca in una via, resta sospeso, e non è un bene, nel suo caso, poiché il materiale grida ed indica la direzione. Si concentra, quasi ipnotizzato da se stesso, su fotogrammi, scenari e geometrie da cornice, senza svelare la frattura dentro e dietro il bellissimo e desolante quadro ritratto.

La cronaca del brutale non morde a dovere mentre l’anima resta in secondo piano, gli eventi si snocciolano uno di seguito all’altro, in parte già li aspettiamo, in parte non capiamo il fine di farceli vedere. Lo stesso Ballo delle Pazze non compare più, non torna nominato tra le pazienti, come redde rationem per tutte o anche solo come miraggio libertario: in questo, il film è palesemente claudicante.

Il ballo delle pazze – Cast

Intrappolate in una forma anestetizzante anche le espressività del cast: attrici dagli occhi marini si guardano, anche a lungo, senza parlarsi, visi giovani di fratelli separati, di consorelle nel trauma, di amiche ritrovate, di nemiche senza armi, non riescono a comunicare un tormento reale.

Ai loro volti, tutti fin troppo sani e moderni, corrispondono spesso voci calme, distaccate, che hanno la contemporaneità ad esprimere il dissenso o il tormento che dovrebbero, invece, pervaderle selvaggiamente.

Il ballo delle pazze

Perciò la prova attoriale risulta insufficiente e trascinante verso il basso a scapito di un coinvolgimento che l’intera vicenda naturalmente potrebbe ispirare, e non fa.

Il ballo delle pazze annega quindi in un rigore di sospetta cerebralità, di distacco forzato, di citazione da manuale di storia dell’arte, di omissis autoriale: lo scheletro di una condizione dilemmatica e complessa che non riceve giusto respiro, né recupera il finale, in cui al sacrificio di una corrisponde la libertà al vento e al mare dell’altra. Servirebbe un altro mondo per credervi, un altro percorso.

Il ballo delle pazze – Trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Tratto dall'omonimo romanzo di successo, storia di Eugenie, giovane altolocata nella Francia di fine '800, internata perchè capace di vedere e parlare con i morti: il suo calvario e la sua liberazione. Il destino delle donne non allineate con gli ideali borghesi, malate o deboli, rinchiuse e martirizzate come pazze; pezzi di carne nelle mani di sperimentazioni mediche ed umane crudeli ed ingiuste. Dramma asettico che non restituisce la profonda visceralità della materia, con un cast di figure simili, troppo contemporanee per lo strazio d'epoca e poco coinvolte.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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