“Due Estranei – Two Distant Strangers” è un cortometraggio di fantascienza vincitore agli Oscar 2021: scritto da Travon Free e diretto da Martin Desmond Roe, il film in poco più di 30 minuti guarda fisso negli occhi il razzismo che negli Stati Uniti uccide i neri americani per mezzo di un apparato di polizia impermeabile ai principi di equità sociale
Al nostro risveglio ogni mattina ci prepariamo ad assaporare la giornata convinti che qualcosa di buono ci attenda ai piedi del letto, fiduciosi che quello che ci ha scoraggiato ieri non ci assalga al primo angolo lungo lo stretto corridoio di casa, augurandoci che scesi in strada la giornata conquisti un andamento lento, piacevole, tanto gradevole che saremo tentati persino ad abbozzare un sorriso. “Due estranei” è la storia di un risveglio così: un concentrato di ottimismo di un giovane uomo che inizia la giornata accanto ad una ragazza spiritosa e bellissima che non vede l’ora di rivedere, che vuole correre al suo appartamento per fare colazione con il suo affezionato cane, che accendendosi in strada la prima sigaretta della giornata, assapora tutto il dolce profumo di possibilità che è nell’aria solo al mattino.
Ma “Due Estranei” è anche il racconto di come ogni possibilità possa essere recisa da chi crede che il colore della pelle meriti circospezione e sospetto.
Potrebbero intimarti di restare fermo, chiederti di aprire lo zaino, di giustificare il denaro che hai maldestramente stropicciato nelle tasche. Quello sicuramente non te lo sei “guadagnato”. E poi ritrovarsi spalle al muro, o faccia a terra, con la paura che strizza lo stomaco e il respiro che incespica tra i denti. Mentre la tua giornata delle opportunità rimbalza da un’altra parte, e tu preghi di restare vivo.
“Due estranei” (Two Distant Stranger), il cortometraggio vincitore agli Oscar 2021 scritto da Travon Free e diretto da Martin Desmond Roe, è disponibile alla visione in streaming nel catalogo Netflix. Attraverso una finzione perfettamente funzionale all’ingiustificabile assurdità della violenza generata dal razzismo, il film riaccende i riflettori esattamente là dove questi non dovrebbero mai azzardarsi a spegnersi. Il corto si propone di non consentire di distogliere lo sguardo dalle morti dei molti, troppi, neri americani durante gli incontri con la polizia, mettendo in scena un loop temporale che come una tagliola ben nascosta sotto il fogliame resta pronta a serrarsi, letale e affilata, ad ogni nostro passo.
L’anello temporale è un espediente narrativo divenuto un vero e proprio cliché della letteratura fantascientifica: le vicende dei protagonisti per una qualche insensata ragione si ripetono all’infinito. Ciò che è stato sarà ancora e ancora, in un ciclo di eventi che impietoso si rinnova sempre uguale a se stesso.
Spogliati dell’autodeterminazione i personaggi sono vittime di un destino inevitabile a cui non possono sfuggire. Così come di recente abbiamo visto accadere nella serie Netflix “Russian Doll” e nel film Amazon “Palm Springs”, anche qui tutto si ripete. Il protagonista ogni giorno, a poche ore dal suo risveglio, incontra la morte su di un marciapiede, per poi destarsi nuovamente e imbattersi nel medesimo mortale appuntamento.
“Due estranei” inizia la sua breve, ma non per questo fragile, cronaca di trappola temporale come in un “giorno della marmotta” contemporaneo richiamando alla memoria il Bill Murray di “Groundhog day”, rintracciato per veicolare un messaggio antirazzista che necessita di essere urlato a gran voce.
“Due estranei” è un’opera originale, esplicita e mai verbosa
Il cortometraggio disponibile su Netflix è così ben amministrato da schivare il pericolo di essere incasellato come didascalico e da riuscire a parlare di razzismo, di attualità e di frustrazione sociale senza mai risultare retorico.
A lottare in strada, mantenuti irreparabilmente separati, sono Carter (Joey Badass), giovane graphic designer afroamericano che sfoggia la propria vivacità creativa con una felpa giallissima, e Merk (Andrew Howard), agente costretto entro la sua orgogliosa di divisa che non smette proprio mai di attendere la sua vittima sullo stesso marciapiede.
Il loro scontro è una reinterpretazione surreale ma decisamente molto vivida delle tragedie realmente accadute a George Floyd o a Breonna Taylor. I nomi delle persone che hanno perduto la vita in episodi di sopruso, di abuso di potere, di errori di valutazione macchiati dal sangue, sono tantissimi. Si rievocano le dolorosissime parole “I can’t breathe” di chi si è stato soffocato, trattenuto a terra mentre impotenti smartphone registrano il crimine, gli spari sopraggiunti alle spalle, le incursioni armate nelle case in cui si è fatto fuoco, per poi accorgersi di aver fatto irruzione nell’appartamento sbagliato. I cento modi in cui Carter incontra la morte non sono generati dalla fantasia dello sceneggiatore. Sono la riproduzione filmica di episodi di cronaca che hanno visto, e ancora colpevolmente vedono, agenti di polizia abusare del potere conferitogli dalla divisa.
La colpa di Carter? Essere nero. Il colore sbagliato. Un colore imperdonabile per il poliziotto Merk
Carter (Joey Badass, rapper e attore statunitense) ha trascorso la notte a casa di Perri (Zaria Simone) e spera con tutto se stesso che quella notte possa ripetersi presto. Lei è spigliata e divertente, e vorrebbe passare l’intera mattinata con lui. Carter declina l’invito, deve assolutamente rientrare a casa. Il suo tenero cagnolone sarà affamato. Scende in strada, un’occhiata sognante alla finestra di lei, gli auricolari per un po’ di musica e una sigaretta tra le labbra per godere di quella vita mattutina che inizia a scorrergli dentro. Sembra davvero una buona giornata.
Ma viene fermato da un poliziotto (Andrew Howard, visto recentemente in “Anna” di Luc Bresson e “Tenet” di C. Nolan). L’agente è sospettoso. Quella di Carter è davvero solo una sigaretta?
La conversazione, a prima vista sembrerebbe macchiarsi della sola colpa di non essere molto rispettosa, ma tutto inizia a procedere molto velocemente. E si conclude presto in uno scontro mortale: Carter morirà strangolato dall’agente di polizia intento ad arrestarlo. Carter muore, ma si risveglia. Di nuovo l’appartamento elegante della ragazza, l’invito di restare per la colazione, il pensiero al cagnolone che attende il ritorno del padrone.
Quel dolce risveglio si ripeterà centinaia di volte ma depredato di ogni piacevolezza. Ad ogni sveglia Carter sarà sempre più consapevole di cosa, o meglio di chi, lo sta attendendo in strada. Resta solo da scoprire come lo ucciderà questa volta.
Il loop temporale è una soluzione narrativa efficace per mettere in scena una ferita profonda dell’America contemporanea
A meno di un anno di distanza dalle immagini della morte di George Floyd che hanno fatto il giro del mondo, Travon Free e Martin Desmond Roe sono riusciti a raccontare rabbia e frustrazione in un’opera coraggiosa e molto efficace. Un chiaro messaggio politico che è bene non classificare semplicisticamente come un’operazione di denuncia sociale.
Due estranei intende coinvolgere lo spettatore nella paura generata da un destino terribile che si avverte come inevitabile, nel sentimento di impotenza in cui si affoga quando nessuna tua azione può tardare la tua condanna, nella frustrazione di inciampare ogni giorno in un’ingiustizia che potrebbe costarti la vita. Il corto non si limita e rievocare alla mente i tanti soprusi, ma sa caricare sulle spalle dello spettatore quelle terribili sensazioni.
L’anello temporale in Due estranei si rivela tutt’altro che un gioco dai risvolti divertenti: la sua natura ineluttabilmente priva di fine rispecchia tristemente la natura delle violenze della polizia sulle minoranze negli Stati Uniti. Un’infinità di nomi, volti e vite spazzate via in un gioco al massacro in cui il colore della pelle determina chi vince e chi perde.
In questo cortometraggio, disponibile su Netflix in lingua originale sottotitolato, a rendere potentemente efficace il messaggio sono i dettagli. Sulla porta d’ingresso all’appartamento raffinato di Perri, il numero che troneggia al centro non è ben fissato. Quel 9 si è rovesciato, divenendo un 6 (simbolo dell’infinito) pronto a ricordare a Carter le innumerevoli volte in cui il suo destino di sangue si verificherà sempre uguale. E allora che fare? Nascondere lo zaino che rende sospettoso l’agente? Non accendere quella “losca” sigaretta? Restare con la ragazza qualche ora in più, aspettando che l’agente abbia altro da fare che “occuparsi” di lui? Non servirà a nulla.
Infiniti risvegli, infinite morti, infiniti tentativi di trovare una soluzione
“Alcune cose non cambieranno mai, è così che sono”. Così canta la canzone “The Way It Is” che infinite volte ascolta Carter appena sceso in strada. Si tratta di un famoso brano di Bruce Horsnby and the Range: il testo si riferisce al Movimento per i diritti civili degli afroamericani negli anni ’70.
Due estranei utilizza il mezzo cinematografico per riflettere sull’ingiusta insensatezza del reale, e dopo aver mostrato tutta la sua brutalità, tenta di percorrere la via del dialogo, di avanzare una soluzione. Per qualche minuto la distanza (sancita nel titolo originale –Two Distant Strangers– ed esclusa senza ragione nella sua traduzione) sembra affievolirsi. È in questi minuti che la storia di Carter e del poliziotto Merk diventa la storia di ogni scontro razziale. Di ogni uomo e di ogni donna di colore che povero o di successo, in strada, al lavoro, o al supermercato, sanno che quella promessa di “cortesia, professionalità e rispetto” verniciata sulla portiera dell’auto della polizia per loro non ha alcun valore. Ma anche la storia di quegli agenti che ingabbiati nella loro furiosa rincorsa a ideali di ordine rudimentali e infantili hanno imparato a farsi scudo con la divisa. Ideali protetti e nutriti da un sogno americano che per essere perseguito doveva fagocitare le speranze delle minoranze.
E tutto questo Carter lo sapeva già. Ben prima di precipitare nella trappola temporale del razzismo senza fine.
In quell’appartamento dove il suo impaziente cagnolone fissa la maniglia della porta aspettando il suo ritorno, si scorge un libro dimenticato sul tavolino. Probabilmente l’ultimo libro letto da Carter. È “La prossima volta il fuoco” di James Baldwin. Un resoconto intimo che ripercorre l’esperienza della popolazione di colore degli Stati Uniti. Carter dovrà fare i conti proprio con quanto Baldwin scriveva: “Tu sei nato dove sei nato e hai di fronte a te il futuro che hai perché sei nero, per questa e nessun’altra ragione.”
Due estranei ha meritato la vittoria agli Oscar 2021 come miglior cortometraggio, mq soprattutto merita la nostra visione e tutta la nostra attenzione. Per la qualità del girato, l’efficacia degli interpreti, per essere riuscito a sfruttare e rispettare la forma breve che ha scelto per raccontarsi. E per aver saputo urlare con il vigore necessario che le distanze devono posare le armi e iniziare a colmarsi.