Emma il film con Anya Taylor Joy, la tessitrice sentimentale dei vortici amorosi
Emma è bella, intelligente, ricca; da ventun anni al mondo, senza avere sostanzialmente conosciuto afflizioni o contrarietà; ha per passatempo preferito predire le sorti amorose delle coppie e combinare matrimoni tra conoscenti vecchi e nuovi della sua cittadina. Non che la campagna inglese ottocentesca ad una nobile ereditiera educata per essere assecondata offra poi parecchi altri svaghi. Ma quando si tratta di far da cupido in favore di Harriet Smith (Mia Goth), la sua nuova prediletta amica, di oscure origini, ma ben educata, qualcosa sfugge alle trame scaltre della nostra tessitrice sentimentale tanto da diventare impossibile non darne conto: anche perché, pericolosamente in ballo, viene tirato non più solo l’amore degli altri, ma anche il suo.
Questa vivace, capricciosa, orgogliosa giovane risponde per intero al nome di Emma Woodhouse (Anya Taylor Joy) ed è una delle famose eroine protagoniste dell’arte romanziera di Jane Austen, scrittrice arguta ed ironica, che ruota spesso attorno donne e sentimenti nella sue narrazioni proto femministe, in cui tra un sospiro ed un inchino, si mette in sfida il binomio morale/autodeterminazione, dando vita a condotte divenute iconiche e a prospettive parecchio moderne rispetto alle condizioni medie in cui, le fanciulle in special modo, vivevano un paio di secoli fa.
Nella riproposizione di Autum De Wilde il film diventa una tragicommedia in costume
Nella riproposizione della regista Autumn de Wilde, specializzata in fotografia e videoclip, qui al suo esordio nel lungometraggio, su sceneggiatura di un’altra debuttante, Eleanor Catton, Emma si ammanta di una determinazione audace e spigolosa, quasi incorniciata in una caricatura di sé, ma soprattutto dell’ambiente che la circonda, con perle comiche ben fuori dal raggio di azione organico: una tragicommedia in cui il costume è additato per slanciarsi oltre e lasciare il segno altrove.
Il ritmo, scandito da quadri stagionali che sono poi i periodi temporali di riferimento nella campagna, non disdegna balzi emotivi e speditezza sorridente, alternando routine infiocchettata ed angoli di dramma più sentito, accortamente silenziati e messi da parte, perché l’apparenza impone la serenità ed i favori sono tutto in quel tipo di società.
Ecco è questa la gabbia semi-dorata che racconta la Austen e che colora la de Wilde: un insieme di regole che ogni creatura femminile si deve sobbarcare, a partire dall’essere sottoposta alla volontà paterna finchè non lascia la casa di famiglia; peggio ancora se un padre non lo si ha, perché non possedere origini chiare e degne è una colpa ed un handicap per qualunque figlio. Una donna deve curare l’aspetto nel modo maniacale che l’epoca vittoriana impone, deve avere talenti, ma non sfoggiarli, deve saper intrattenere sempre, parlare come si addice al rango di chi ha di fronte e al proprio, leggere e studiare perchè la cultura è prestigio necessario, non deve conoscere manie o eccessi, ma nemmeno sminuirsi laddove non serve, deve stanare la menzogna, ma mentire all’occorrenza, deve essere pudica e spigliata, amabile in ogni senso, sorridente anche se ha il cuore pesante, e deve procacciarsi un marito, meglio se ricco, perché il matrimonio è innanzitutto un contratto tra persone rispettabili.
E’ un sistema che premia chi china il capo, anche quando non dovrebbe essere ammesso, che fa finta di dimenticare la gerarchia, ma non perde di vista un ruolo, che esercita potere, lo da per scontato o lo pretende, che imposta una forma e a quella si attiene, che non smette di ricordare quale sia il discrimine tra alto e basso, tra atteggiamento onesto ed onestà effettiva.
In questo meccanismo Emma è una parziale anomalia naturalizzata: la sua particolarità sta nel non dover rendere conto a nessuno, potendo fare del suo tempo ciò che desidera; ha già tutto ciò di cui dispone, non rincorre un uomo, ma soddisfa i propri desideri; il suo limite è piegarsi ed essere piegata dalla stessa dinamica di regole ferraginose e di facciata con cui si diverte a giocare.
Il suo spasimante lo sa: George Knithley, interpretato dal volto dolce del musicista Johnny Flynn, l’uomo che è di Emma da subito, senza che lei lo sappia, o lo voglia sapere, inquadrato nudo nei primi fotogrammi, intento a cambiarsi d’abito, come a mettere in evidenza in modo indiretto, che i pezzi di carne in gioco qui non sono le donne, nonostante questo pensiero sia ciò che maggiormente ristagna nelle menti maschili. Knithely possiede uno spirito indipendente ed in ciò si batte ad armi pari con Emma, è il suo antagonista irresistibile e perfetto: conosce il pericolo ed il danno che le astuzie della ragazza possono procurare ad altri e a lei, perciò non le risparmia critiche, accusandola più o meno sarcasticamente di giocare con il cuore delle persone, di essere insensibile alle complessità sentimentali, offrendosi ovviamente più al fastidio che non alla benevolenza della propria amata. Schermaglie da innamorati semi-inconsapevoli, che amplificano le geometrie vezzose con cui si esprime il mondo che li ospita e il romanticismo preannunciato dell’happy ending.
Nel cast divertito e molto affiatato, spicca la protagonista, Anya Taylor Joy, star di questa stagione cinematografica grazie anche alla recente serie La regina degli scacchi, luminosa aliena agghindata alla perfezione, trattenuta ed ingenua, si lascia ammirare suscitando progressiva, autentica, empatia, in un ruolo, che come disse la stessa Austen, non sarebbe risultato simpatico a nessuno, fuorchè all’autrice stessa, che vi trovava agile rifugio e privilegiato punto di vista per spiare quella parte di umanità che prediligeva.
Emma è un tripudio di colori pastello, abiti e crinoline, riccioli d’oro, pettinature bizzarre, improbabili montagne variopinte di dolci per il tè, fiori, guanti, carrozze e riverenze, dipinti scenografici inseriti in inquadrature costruite come quadri di interni ed esterni dell’epoca, studiati e quasi riprodotti con cura e dettaglio, tanto che trucchi, costumi e acconciature sono valsi al film due candidature agli Oscar 2021: tutto contribuisce a creare un’ambientazione da favola, che sembra attenersi alle regole, ma smania per sovvertirle, proprio come il temperamento volitivo della protagonista e l’irrazionale imprevedibilità di ogni emozione amorosa.
Perché l’universo della Austen è incapsulato in se stesso, ma freme per le sue contraddizioni, insegue le simmetrie, ma si diverte a manovrarle e a metterle in discussione, strepita di libertà ed è allo stesso tempo chiaro sulle conseguenze di ogni atto di autodeterminazione: responsabilità, rischio, probabile infelicità, probabile felicità, sicuramente maturazione personale, dato che nessuno appartiene mai solo a se stesso, anche se provarci è la storia più interessante da raccontare.