Nel corso di quest’anno il regista statunitense David Leitch (dopo i successi precedenti costituiti da John Wick, Atomica bionda, Deadpool 2 e Fast & Furious: Hobs & Shaw) resta saldo sulla linea action che lo ha caratterizzato sin dagli esordi della sua carriera e porta a compimento Bullet train, un film d’azione corale della durata di 127 minuti. La pellicola, prodotta primariamente da Sony Entertainment, vanta un cast variegato e composto da grandi nomi: Brad Pitt, Michael Shannon, Joey King, Aaron Taylor-Johnson, Logan Lerman, ma anche Sandra Bullock, Ryan Reynolds e Channing Tatum. Il lungometraggio, distribuito nelle sale italiane alla fine dello scorso agosto, è un adattamento firmato dallo sceneggiatore Zak Olkewicz del romanzo I sette killer dello Shinkansen di Kōtarō Isaka.

La trama del film
Uno sfortunato ex assassino insicuro e ancora traumatizzato dai precedenti incarichi, cui viene affidato il nome in codice di Ladybug (Brad Pitt), riceve dalla propria agenzia un nuovo incarico che prevede che l’uomo salga su un treno per recuperare un’anonima valigetta in cui si suppone sia contenuto del denaro. Ciò che Ladybug però scopre solo in un secondo momento è che sul mezzo oltre a lui si trova un vasto parterre di malviventi di varia natura e dai trascorsi più insoliti, alcuni dei quali conosciuti in precedenza nel corso della sua carriera.
Tra questi, i fratelli Lemon (Brian Tyree Henry) e Tangerine (Aaron Taylor-Johnson), due killer capaci ma a tratti sprovveduti; Yuichi Kimura (Andrew Koji), criminale in viaggio per salvare il figlio reduce da un grave incidente; la subdola e calcolatrice Prince (Joey King), sistematicamente pronta a far leva sul proprio apparente statuto di giovane indifesa; gli spietati Wolf e Hornet e il figlio (Logan Lerman) di colui che viene definito Morte Bianca, il capo della Yakuza. Nelle poche ore di viaggio che portano i personaggi a destinazione, i loro destini si incroceranno nelle modalità più svariate intessendo una fitta tela di tradimenti, alleanze e omicidi, sinché ognuno dei criminali non arriverà a comprendere con chiarezza il perché della sua presenza sul treno.
Bullet train – la recensione del film
Bullet train, a partire dalla scelta di un cast che sicuramente si rivela efficace nel richiamare l’attenzione di un ipotetico pubblico di massa, si innesta sulla base di un’intenzionalità prettamente glam che si mantiene ben salda nel corso dell’intero minutaggio. Perfettamente in linea con gli altri recenti action prodotti da Sony, tutto è brillante visività, debordante e patinato sfarzo estetico volto a catturare magneticamente lo sguardo spettatoriale. Questa forma di eccesso visivo finisce per tradursi coerentemente in un uso della macchina da presa che ostenta sistematicamente la propria mobilità – lungi dal rivelarsi sempre necessaria – in una serie di obsoleti movimenti registici che hanno molto del videoclip, prima ancora che del film in sé.
Una certa componente di ostentazione traspare anche sul piano narrativo, che nonostante l’apprezzabile ironia finisce per ricorrere in modo insistente a flashback e parentesi temporali idealmente volte a contestualizzare i personaggi. Tali incursioni incrociate nei precedenti dei protagonisti, che in un primo momento sembrano parzialmente utili a conferire compattezza identitaria alla struttura filmica, finiscono però in breve per rivelarsi paradossalmente tutt’altro che funzionali, rischiando solo di affaticare la visione a causa delle continue interruzioni che impongono al ritmo narrativo del plot principale.
Nel suo concept di partenza, è presumibile che Bullet train avesse sperato di riuscire ad appropriarsi di uno stampo à la Kill Bill, sia nella struttura narrativa che nella modalità action, ma anche nell’ampia raggiera di personaggi iperbolicamente caratterizzati (e, banalmente, anche nell’uso di un certo tipo di grafiche). Ma quella che è la coolness tarantiniana, che con gli anni ha fatto scuola, si rivela ben distante dal prodotto diretto da Leitch, perché se la facciata può tentare – senza riuscirci – di avvicinarvisi, nel contenuto e nelle implicazioni tanto quanto nella complessità dell’opera, il prodotto (e l’uso del termine prodotto non è casuale) recente non arriva neppure a tangere i livelli di profondità della matrice tarantiniana finendo per rivelarsi una mera imitazione estetica solo parzialmente riuscita e indubbiamente fine a se stessa.
Sicuramente Bullet train è il tipo di pellicola che agevola la fruizione del grande pubblico, alla luce del suo stampo glam e dei grandi nomi che lo incorniciano. Ma una marcata componente visiva e delle interpretazioni ironiche (per quanto, forse, sin troppo fumettistiche) non sono sufficienti a dichiararlo un prodotto pienamente riuscito, e spiace dover constatare che dietro a questa sfavillante superficie – e dietro ai capitali evidentemente necessari a realizzarla – si celi poco o niente sul piano della sostanza e della profondità, sia narrativa che a livello di prodotto filmico in sé.