“Angel-A” è un film del 2005 diretto da Luc Besson e con protagonisti Jamel Debbouze e Rie Rasmussen. Girato in bianco e nero, interamente a Parigi, segna il ritorno alla regia dell’autore francese, dopo “Giovanna d’Arco” del 1999. Simile a “Il cielo sopra Berlino“, il regista manifesta tutto il suo amore per l’opera di Wim Wenders, ricalcandone alcuni passaggi e rendendone un grosso sentito omaggio.
Angel-A, trama
Un uomo di nome André si ritrova pieno di debiti a Parigi, rincorso per tutta la città da malavitosi che vogliono indietro il loro denaro. Per la disperazione si reca a un ponte della città per buttarsi di sotto e farla finita con la vita. In quel momento incontra una ragazza che vuole fare lo stesso gesto. Preso da una sensibilità particolare, salva la vita della giovane e i due stringono un legame d’amicizia, che li porta a girare assieme tra le vie di Parigi, tentando di risolvere i numerosi problemi economici del protagonista.
Angel-A, recensione
Luc Besson è uno dei nomi di punta del nuovo cinema francese, nato artisticamente negli anni 80, dove si consolida come affermato autore di celebri titoli quali “Léon” del 1994. La sua vasta produzione si equlibria tra prodotti più apprezzati e prodotti meno apprezzati. Nel corso della sua lunga carriera infatti, approda ad Hollywood, dove ha la possibilità di girare film da una appetibilità prevalentemente commerciale, rispetto all’autorialità che lo ha contraddistinto nelle prime opere cinematografiche.
“Angel-A” è sicuramente un lavoro interessante, specialmente per l’omaggio a “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Il film ricalca appieno dallo stile del regista tedesco. Tra i due lavori che accomunano i due artisti europei, si riscontrano chiaramente la presenza di un angelo, che si aggira per una grossa metropoli, e l’uso della fotografia in bianco e nero.
La somiglianza è piacevole perché riporta alla memoria un cult assoluto della cinematografia mondiale ma allo stesso tempo il paragone diventa inevitabile. Il film di Wenders è ovviamente superiore in tutto, dalla profondità della storia, alle tematiche affrontate. Non per questa ragione comunque siamo davanti a qualcosa di scadente, semplicemente è un lavoro più sbiadito e leggermente scialbo, rispetto all’immensità del quasi equivalente tedesco.
Si percepisce una trama più leggera, nella sua costruzione, alla portata di un pubblico più ampio. Un film più diretto e meno articolato, che vuole impressionare e coinvolgere con maggiore facilità, anche lo spettatore meno abituato a un certo tipo di cinema. Besson vuole essere autoriale, portando su schermo una storia da far riflettere e allo stesso momento non sottrarsi alle logiche di mercato, capaci di attirare più persone possibili.
Il ritmo narrativo è lodevole. La pellicola scorre molto bene, merito di situazioni stravaganti nelle quali capitano i due protagonisti. Entrambi i ruoli sono scritti egregiamente. I lati caratteriali di ambo le parti emergono con forza e spessore. Lui risulta impacciato e vigliacco ma dal cuore buono e lei appare invece sicurà di sé e grintosa. Si amalgano ottimamente, generando una bella coppia da vedere sul grande schermo.
L’opera presenta una buona regia, caratterizzata da inquadrature visivamente perfette. Stupisce la curatezza delle immagini, fortemente centralizzate, quasi come fossero fotografie da parete. In alcuni tratti si ha quasi l’impressione di essere in una pubblicità di Saint Laurent, ma è un dettaglio che non disturba troppo, se non in quei casi in cui il film voglia approfondire temi esistenzialisti. L’enfasi di alcune scene, per l’appunto, considerate emotivamente più importanti, viene a scendere, a causa di una perfezione fotografica troppo stucchevole, ai limiti di un buon prodotto pubblicitario.
Alcuni dei temi affrontati sono la ricerca di sé e la perdita della propria identità. L’angelo rappresenta la guida che serve al protagonista per ritrovare la strada perduta. La vita mette davanti a ognuno le diverse difficoltà, dalle quali diventa complicato rialzarsi. Nel suddetto lavoro l’ardua sfida interessa l’imbranato André, che per merito della suadente creatura venuta dal cielo, ritrova nuovamente la via per la salvezza.
In Conclusione
Il film oscilla tra un moralismo retorico e una fotografia per grandi case di moda. Tuttavia la narrazione riesce a mantenere in piedi la struttura, generando interesse e curiosità su come vada a finire il guaio infinito nella quale è incappato l’uomo. Fa sorridere il rapporto simpatico che si viene a creare tra i due giovani. Questo aspetto trasmette motore alla storia e salva la pellicola con una buona sufficienza.
Luc Besson gira quindi un prodotto non da scartare, che vive di un’autorialità, che si sposa con quei tratti che lo avvicinano al grande cinema mainstream. L’autore riesce a far combaciare i due fattori, senza cadere in contrasto ma supportandosi a vicenda. Un’opera piacevole, senza infamia e senza lode, accessibile a qualsiasi tipologia di pubblico. Siamo lontani dai lavori passati ma comunque la firma non manca ma anzi rimane evidenziata. Chiaramente si percepisce di come il regista francese stia proseguendo verso un ulteriore modello di cinema, che nella Hollywood americana troverà la sua espressione.