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Alam – La Palestina della Generazione Z nel debutto di Firas Khoury

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Dello straordinariamente semprevivo conflitto israelo-palestinese, Alam rappresenta tutta una generazione che vorrebbe farne a meno. E non è quella dei nonni, dei padri o delle madri, vittime dirette della geopolitica dei più forti, primi traumatizzati dal sistema, ma quella dei figli, giovani che hanno bisogno di normalità e ne sono estromessi da carri armati, posti di blocco e militari che entrano a scuola, interrompono feste, intercettano le loro vite, quando decidono loro.

Alam, debutto al lungometraggio di Firas Khoury, si affaccia con eleganza e conoscenza dell’argomento in un gruppo di diciassettenni, piccolo ma significativo ed esauriente squarcio di un mondo postadolescenziale che non c’entra nulla con la guerra, non l’ha vissuta in prima persona, non vorrebbe conoscerla, ma non è disposta a sottostare, ignorare, dimenticare il passato, privandosi di un futuro libero.

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Alam – Trama

Tarem (Mahmood Bakri) ed i suoi compagni di classe vivono nei territori palestinesi occupati da Israele. Tra una fumata di erba ed un occhio alle ragazze, studiano nei banchi la storia israeliana, con particolare riferimento alle agli anni turbolenti e drammatici successivi al 1948, quando le truppe di Tel Aviv iniziarono la Guerra d’indipendenza prendendosi il posto delle loro case e costringendo i loro antenati ad andare via.

Si avvicina il giorno della nakba, ricorrenza simbolo dell’inizio della pulizia etnica, che identifica il momento in cui gli arabi e gli ebrei palestinesi da liberi individui divennero profughi tollerati sul loro stesso suolo natio e non tutti i compagni di Tomer sono tranquilli.

In particolare la bella Maysaa (Sereen Khass) segue Safwat (Mohammad Karaki), uno dei ragazzi piu colpiti dall’ espropriazione coatta, uno che non dimentica i torti subiti: il piano del gruppo è mandare un segnale di resistenza ed opposizione, sostituendo nella notte la bandiera (Alam) israeliana che sventola sulla facciata principale della scuola, con quella palestinese.

Tarem si lascia trascinare pur non schierandosi mai in modo chiaro con la causa, ma non tutto va come deve e nel giovane qualcosa si smuove.

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Alam – Recensione

Alam, in concorso nella sezione progressive cinema della 17. Festa del Cinema di Roma, dopo un debutto al Festival Internazionale di Toronto, è un dramma di formazione onesto e ben informato, che abbraccia le nuove leve dimostrandone l’estraneità alla violenza dei nonni, ma la piena coscienza della verità dei fatti e dell’importanza dei propri diritti.

Tarem vorrebbe dedicarsi a tutto ciò che fa un adolescente della sua età, innamorarsi, scoprire trucchi per vincere ai videogiochi, sballarsi quando può con gli amici, ma qualcosa del passato lo richiama ad un futuro differente.

Non si può dimenticare, non si può fare finta di niente, non si può propagandare solo una parte della storia, perchè è nelle aule scolastiche che i crimini impuniti del passato si trasmettono impuniti agli adulti di domani, è tra cattedre e lavagne che si annida l’ignoranza colpevole.

Tarem ha su di sè una distanza vitale dal problema ed una curiosità empatica verso tracce di un dilemma mai domato. Suo padre lo vorrebbe fuori dal giro politico e lui se ne vorrebbe disinteressate, ma le nuove amicizie e i segnali d’amore che ogni maturità porta con sè, lo scuotono verso una decisione da prendere, una parte da sostenere, per riappropriarsi di un’identità collettiva schiacciata ed emarginata.

E non solo: agire serve per mettere un’ipoteca sui giorni a venire, che devono poter offrire alternative ad una stasi conflittuale alla quale siamo e sono abituati da troppo tempo. Non è normale studiare le vittorie belliche dello stato invasore e straniero; lo è preservare e tramandare la propria identità culturale.

Che colpe hanno i giovani del delirio bellico internazionale che ha messo radici in quelle zone? Del corto circuito atavico che impedisce di vivere pacificamente nelle terre storiche e bellissime di quelle latitudini.

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Sui volti di Alam, freschi, innocenti ma desiderosi di farsi sentire, il carico di una storia che hanno subito indirettamente, ma che li ha costretti a porzioni variabili di infelicità, nonni uccisi, genitori sfollati, case abbandonate, parenti impazziti (come lo zio di Tarem, reso folle da un arresto e un internamento), una sensazione di essere sopravvissuti a qualcosa che gli appartiene, che conoscono fino ad un certo punto e a cui vorrebbero dare una voce risolutiva.

Ma ad alzare i toni, tutti i nodi vengono al pettine, è la serenità adolescenziale si scontra con i manganelli, i lacrimogeni, gli spari in testa, che stravolgono e condizionano il libero manifestarsi del pensiero degli oppressi.

In questo senso l’internazionale cantata in palestinese da Safwat sul letto assieme a Tarem dopo una giornata campale di scontri e consapevolezze ha la tenerezza e la lucidità di richiamare l’attenzione sull’oggetto della lotta, la libertà, che deve essere un diritto accessibile a tutti, altrimenti resta privilegio.

Alam – Cast

Si lascia guardare l’attesa estatica di Tarem, che viene pian piano tirato dentro gli argini della questione palestinese/ebraica, che si ritrova a connettere pezzi di vita propria, desideri implosi e reagisce di conseguenza, senza sensazione ma agguantando sempre più il polso della situazione e la caratura di se stesso.

Mentre i dialoghi scorrono semplici ed essenziali nonostante tutto fuori sembri più complicato di quello che dovrebbe, un sentimento unitario che scaturisce dalla pura volontà di vivere attraversa Tarem e i suoi compagni.

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Si seguono, si attraggono, si sostengono, gli stessi interpreti sono un amalgama di differenze connesse e potenti, scelti con un casting sul web, alcuni sono professionisti, altri no, ed incarnano l’inquietudine di quel limbo.

Sullo sfondo i panorami dei territori occupati, bellissimi e non facili, ostili contro la propria volontà, afosi e caldi in più di un senso. La pace brucia come l’albero di olivo dello zio folle nel finale, la pace richiede tempo, il tempo fa crescere e così fa Tarem.

Alam è un’ opera riuscita, che non disdegna l’ironia e viaggia con intelligenza dove non ci si muove spesso; non getta fiamme sulla benzina ma ha la tanica in mano, ed evidenzia la natura delle componenti di quella violenza, accertandosi di cosa voglia “quella benzina” ab origine: forse crescere, forse amare, forse non bruciare. 

Alam è la bandiera che, come si recita anche nel film, da una parte afferma ufficialmente l’ autonomia di uno stato, dall’altra la imprigiona in una logica globale spesso, paradossalmente, incompatibile con questo diritto. Nonostante ciò rappresenta un simbolo che richiama e scuote ad una presa di responsabilità. Questo è l’esame della maturità dei millennials palestinesi.

Alam – Trailer

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Vivere a diciott'anni, tra i banchi di scuola nei territori palestinesi occupati; la discrasia tra vecchia e nuova lotta, tra profughi del grande esodo e coloni israeliani, tra indifferenza ed impegno. Un gesto simbolico al centro della narrazione, uno sguardo complice e consapevole, per un dramma di formazione schietto, vitale e riuscito.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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