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Vivarium, il gioco complicato che comprendiamo bene

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Vivarium è uno di quei film che disegna una macabra incognita per ammonire lo spettatore. Presentato al Festival di Cannes nel 2019, viene distribuito a marzo 2020, nientemeno che all’inizio della quarantena, giusto per amplificare l’effetto del suo contenuto. I due protagonisti sono interpretati da volti accreditati: Imogen Poots, vista in V per Vendetta e Need For Speed, e Jesse Eisenberg, già Mark Zukenberg in The social network – che gli è valso tre nomine per migliore attore nel 2011 –, ha ricoperto vari ruoli per la Marvel e lavorato con altri attori e registi famosi come Woody Allen in Café Society.

Alcuni tratti dell’horror si mescolano a quelli del thriller, della commedia drammatica e del fantascientifico, nella tavolozza che il giovane regista irlandese Lorcan Finnegan utilizza à la Magritte per la fotografia – si vedano le tele che hanno per soggetto L’Impero delle luci del 1953-1954. Il tutto è sommerso da un’atmosfera dai forti richiami a certa cinematografia, l’ambientazione e i personaggi hanno caratteri di David Lynch, Wes Anderson, ma anche di Jean-Pierre Jeunet e Tim Burton, per citarne qualcuno di contemporaneo, ma troviamo riferimenti anche alle radici della storia del cinema. Lo sviluppo del canovaccio è anch’esso creato su un format già affermato, la lista sarebbe lunga, ma si può menzionare il The Truman Show per tutti.

Vivarium

Questo mega-mix è spavaldo ma autentico, il regista non vuole strafare: usa trame e modi noti per veicolare un messaggio critico che è altrettanto noto, ma sempre in voga.

Una pellicola che sa di astratto e reale allo stesso tempo, che ci rende voyeur, partecipi delle vicende di Tom e Gemma come fossimo artefici della loro sorte, una grottesca parodia della vita semplice che stavano per costruire insieme. La colonna sonora è essenziale, tre sono le tracce che scandiscono l’inizio, lo spannung e il finale del film; poche note sottolineano la tensione in qualche punto della storia spezzando il silenzio. Il vivaio è uno spazio riservato alla coltura di giovani soggetti (cfr. Treccani) e Vivarium comincia proprio con riprese da documentario per i titoli di testa.

Gemma e Tom sono due fidanzati che si danno da fare per un futuro insieme. Allegri ed entusiasti, accompagnati dal brano ironicamente rassicurante – Rudy, A Message To you di Dandy Livingstone, seguono un bizzarro agente immobiliare, Martin (Jonathan Aris), fino a Yonder – che significa di là, laggiù – un quartiere verde-quiete, composto da case uguali a perdita d’occhio.

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Jesse Eisenberg e Imogen Poots in Vivarium.

Quella che Martin mostra alla coppia è la villetta con il civico numero nove. È carina, ben arredata, con le pareti colorate e una stanza per un figlio maschio, il tutto confezionato da una strana aria di perfetta staticità. L’agente scompare senza dire niente e Tom e Gemma iniziano una spassionata lotta per la libertà, alla ricerca di una via d’uscita: You want to think of your future, devi pensare al tuo futuro / Or you might wind up in jail, o potresti finire in galera, cantava Livingstone.

Yonder diventa come l’ambientazione di un videogioco – che il regista fosse a conoscenza di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles del 2017? – in cui i protagonisti sembra cerchino proprio di afferrare le nuvole.

La trama è lineare, il ritmo è lento, la sceneggiatura è minimale, ma creano molte incognite. I ragazzi tentano di fuggire, di chiedere aiuto, cercano di dare fuoco alla casa, ma è tutto inutile: la casa numero 9 sembra specchiarsi all’infinito ed essere immota.

Ogni tanto compaiono di fronte all’abitazione delle scatole con le vivande, in una di queste, invece, un bambino con il messaggio “crescetelo e sarete liberi”.

Jesse Eisenberg e Imogen Poots in Vivarium.

Un bambino-Tamagotchi (Senan Jennings, poi Eanna Hardwicke) che si sviluppa velocemente e apprende in modo anomalo; che registra e replica i gesti dei suoi nuovi tutori in maniera meccanica e ossessiva, che urla ad ultrasuono e zoppica come un manichino.

Un segno di umanità divide il film in due. Dall’automobile con la quale erano giunti a Yonder, rimasta senza carburante nel tentativo di andarsene, proviene la musica dello stereo e lo strano odore di reale. Gemma e Tom fanno un ballo liberatorio sulle note di 007 (Shanty Town) dei Desmond Dekker & The Aces. Il bambino non riesce a imitare queste movenze così umane; è così maldestro quando ci prova da far inciampare Tom per terra.

I ragazzi non ce la fanno più, lui vuole fare fuori quell’essere invadente; lei lo vorrebbe risolvere, come un mistero. Il rapporto tra i due s’incrina e ognuno decide di vivere la detenzione a Yonder come meglio crede, senza più nessuna speranza di evasione. La loro diventa una vita quasi comune. Lui va ogni giorno a lavorare: da quando una sigaretta ha scoperto una zolla di terreno, scava un buco nel giardino alla ricerca di qualcosa fino viverci dentro giorno e notte. Il lavoro rende liberi?  

Lei, ormai ex maestra elementari, si rassegna al ruolo di madre adottiva, anche se non lo accetta di buon grado e non lo vuole ammettere.

“Cosa sono? Cos’è questo? Cosa sono io in questo?” si chiederà.

Jesse Eisenberg, Senan Jennings e Imogen Poots in Vivarium.

Il finale circolare fa comprendere la trama ma lascia a chi guarda interrogativi aperti per analisi e autoanalisi. I XTC con Complicate Game chiudono la commedia: è solo un gioco complicato, cantano.

Un mondo composto da una sola abitazione e una vita senza alcun ostacolo reale, senza imperfezione, una piccola famiglia con piccoli impieghi quotidiani: la sua fine avviene alla luce di un tramonto al neon, con il ricordo di cosa fosse il vento e il sentimento di casa.

Vivarium è una sorta di piccola favola drammatica dalla morale ineffabile ma palese allo stesso tempo, proprio come un SOS scritto sul tetto di Yonder.

“Allora, quando dovrebbe trasferirsi la gente?”.

Voto Autore: [usr 3,0]

Anna Stefani
Anna Stefani
Dottoressa in Discipline letterarie e Storia dell’Arte. Amante del cinema grazie alla Nouvelle Vague e David Lynch.
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