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Ultima notte a Soho – la recensione dell’ultimo film di Edgar Wright fuori concorso a Venezia 78

Edgar Wright torna sul grande schermo due anni dopo Baby driver – Il genio della fuga, e firma Last night in Soho, Ultima notte a Soho, un’altra creatura ibrida, in cui si fondono horror, thriller e psicologia, ambientata a Londra, in uno dei quartieri più particolari ovvero Soho, storico nido di malcostume, temporalmente agita su un doppio piano in contemporanea, i giorni nostri ed i favolosi anni Sessanta.

Ultima notte a Soho

ULTIMA NOTTE A SOHO – TRAMA

La giovane Eloise, si fa chiamare Ellie (Tomasine MacKenzie), vive con la nonna, nella periferica country inglese: sognatrice innamorata dell’arte e della musica prodotte dalla generazione precedente, riceve una borsa di studio e parte dalla sua cittadina di campagna alla volta della capitale londinese per studiare moda al college: era il sogno di sua madre, morta suicida per instabilità mentale quando lei aveva solo sette anni. La figlia si porta dietro i desideri professionali materni ed una fragilità psicologica avallata dal possesso di un’ atipica capacità, ossia, vedere e sentire cose o persone che non ci sono più, prima tra tutti la madre, che a volte le appare riflessa negli specchi com’era da giovane.

Ultima notte a Soho

Arrivata a destinazione, la sua non conformità all’ambiente e agli altri studenti, fieri animali metropolitani che abitano il dormitorio in cui dovrebbe soggiornare, si fa sentire: così la ragazza prende in affitto una camera a Soho, nel vecchio palazzo di un’anziana signora, tutto legno, moquette, tende, materassi alti e scale strette, in puro vecchio stile. Per Ellie è un sogno che si avvera poter godere nella grande Londra di una stanza tutta per sè, antica e romantica, come quella in cui immaginava, danzava e creava, nella sua campagna.

A risentirne positivamente è il suo studio da modista e la sua attività onirica: quest’ultima in particolare si polarizza attorno alla figura di Sandy (Anya Taylor-Joy), una giovane e scintillante ragazza bionda che cerca il successo nel mondo del canto e della recitazione, nel pieno degli anni Sessanta proprio a Soho. La sogna tutte le notti e ne segue appassionata gli spostamenti: così scopre e noi con lei che la giovane scova e si innamora di un uomo disposto a farle da manager, il quale sembra avere coscienza a posto ed agganci giusti, ma che in realtà la trascina progressivamente in una spirale squallida di lavori umilianti e di sottomissione, allontanandola dall’arte, ed obbligandola ad una schiavitù svilente.

LNIS_FP_005_R2 Thomasin McKenzie stars as Eloise and Anya Taylor-Joy as Sandie in Edgar Wright’s LAST NIGHT IN SOHO, a Focus Features release. Credit: Courtesy of Focus Features / © 2021 Focus Features, LLC

Ellie in un primo momento assiste entusiasta al sogno catalizzante e luminoso con cui Sandy insegue la propria felicità, tra i locali della Londra elettrica di quegli anni, ma in seguito, si identifica a tal punto con la ragazza, da scivolare man mano nell’incubo da lei vissuto: perde via via il controllo anche della sua realtà, che si popola delle visioni spaventose provenienti da un omicidio che vedrebbe protagonista proprio la bionda, sfortunata Sandy.

ULTIMA NOTTE A SOHO – RECENSIONE

Presentato fuori concorso alla scorsa Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Ultima notte a Soho è un film che pesca tra generi e cita maestri con ardita nonchalance, maneggiando un materiale chiaramente metaforico, che testimonia un’indole registica vitale anche se a tratti renitente alla disciplina adulta.

Ultima notte a Soho

Dal sangue scenografico di Profondo rosso, alle visioni di Suspiria del nostro Dario Argento, dai primi piani ossessivi con neon sul volto che ricordano la Novak di Vertigo alle visioni del passato che si intrecciano alla toponomastica presente come in Venezia… un dicembre rosso shocking, e ancora dallo spumeggiante ballo al centro pista tra Sandy e Jack che richiama subito come genitori alla lontana tarantiniani Uma e John in Pulp Fiction, al mood zombie friendly erede di Romero di cui sono affollate le ultime scene, Wright infonde al suo dramma spunti e linfe di diverse prospettive appartenenti e non appartenenti ad uno stesso genere, e lo fa con una generosità non sempre giustificata nè controllata, nonostante la freschezza dell’impulso, cui il montaggio a volte fa da sponda entusiasta, a volte da zavorra che intralcia.

Ultima notte a Soho

Dietro i sogni e le visioni di Ellie si possono interpretare le pulsioni di un giovane artista alle prese con la vocazione della vita nella metropoli che per prima capta la modernità del tempo e la trasforma in mondi, tendenze e stile d’esistenza. Non a caso la Londra negli anni Sessanta è un fiorire di belle donne, locali e musica iconica, disseminata in tutto il film, armonie che entrano in testa, come ventate spavalde di un’euforia vicina e lontana, capeggiate da Downtown di Petula Clark, in un’insieme di montagne russe in cui solo cose belle dovrebbero succedere. Dovrebbero.

Ultima notte a Soho

Perché di fatto emerge forte il contrasto tra la speranza che viaggia nell’aria masticata da Sandy e da tanta generazione di donne vissute in quel periodo e lo squallore che le rigetta anni luce dietro rispetto alla realizzazione di sé, con un twist finale totalmente in linea con il #meetoo contemporaneo: torna il quadro di una società basata sulla violenza, i compromessi, coma di pregiudizi e ruoli, infiocchettata ben bene, tirata a lucido, ma sempre ipocrita nel midollo, pronta a mettere in scena gli stessi bassi teatrini di sempre, a ridicolizzare, svendere, abbrutire un’anima artistica, canticchiandoci sopra un motivetto orecchiabile per indorare la pillola nel frattempo. Sarà anche piacevolmente swing, ma Londra resta too much ora come allora.

Le ferite di Sandy sono per traslato le stesse di Ellie, sola e non capita, in imbarazzo con gli uomini, confusa da una nuova città che la vede come preda o come aliena, con la potenziale tara della follia a gravare su ogni sua stranezza, un bisogno di non deludere chi la ama e l’obiettivo di salvare se stessa e la bionda amica dei suoi sogni, suo imprevisto e non casuale alter ego, musa maledetta che l’attira e la terrorizza esattamente come ogni carburante artistico.

Rincorrere il passato non sempre è l’optimum, perché ogni epoca ha i suoi scheletri nascosti nell’armadio e, in questo caso, tra le assi e nelle pareti di un vecchio appartamento: l’oro che luccica chiama sempre un debito; urge diffidarne poiché di beatitudine pura è scevro qualsiasi tempo, anche solo per il fatto di essere attraversato da limitatissimi e scorretti esseri umani.

Ultima notte a Soho

Dunque Ultima notte a Soho si comporta come uno specchio per le allodole congegnato allo scopo: la Londra contemporanea si nutre della Londra passata, nell’ispirazione di Ellie e nella visione di Wright, ma al contempo se ne avvelena, tanto che la ragazza vorrebbe andar via da quell’inferno che le inquina spaventosamente il sonno, ma non può, perché come ogni protagonista del genere deve squarciare il suo velo di Maya, farsi testimone della verità, altrui e propria.

Ultima notte a Soho si bea di una prima parte deliziosa, dal ritmo perfetto, che incanala la situazione, sfiora il dramma ed incornicia a puntino l’habitat della premessa, per poi smagliarsi progressivamente nel prevedibile e nell’horror-vacui, quando l’intero plot si contamina – fin troppo – con la sponda orrorifica, lasciandone traccia in una lunghezza non sempre sostenuta, nonostante lo zelo autentico, simil-entusiasmo adolescenziale, che lo anima.

Ultima notte a Soho

Gli stessi giochi di luce caratterizzanti la fotografia del bravo Chung-Chung Hoo, dicotomia tra la naturalezza del giorno e la dimensione onirica notturna di Sandy piena di neon rossi, blu e viola, perde seduzione nella ripetitività cui si presta durante il vortice delle scene finali: qui si fa carne tritata di apparizioni, realismi, presente, passato, sangue, fuoco e finali a sorpresa da prolungati terzi atti; una ridondanza pop che anela delle briglie per essere pienamente goduta.

ULTIMA NOTTA A SOHO – CAST

Buona la prova della MacKenzie di cui apprezziamo la presenza atemporale con cui ingombra una Londra da subito ambigua, invadente, più pericolosa che accogliente (basti pensare alla prima corsa in taxi), mentre meno incoraggiamo i suoi sguardi di terrore con occhi fuori orbita e urla lancinanti lanciate con eccessiva cadenza ritmica, a concretizzare un numero un po’ esagerato di visioni che, al netto di verosimili citazioni, la rendono statica e ripetitiva nel suo panico.

Demerito, come già sottolineato, di un mix sceneggiatura-regia che si fa prendere troppo la mano e decide di divertirsi, non di divertire. La Joy dal canto suo padroneggia la scena regalmente, anche quando in svantaggio sugli eventi, lasciando come sua abitudine brillare la bellezza che si porta addosso, appariscente, elegante ed inquietante, nel fango che la impesta.

Ultima notte a Soho

Ultima notte a Soho ci dice che Wright è un regista a cui piace esserlo, che è un sognatore a cui piace esserlo, nonostante le cadute ed i limiti intrinsechi del mestiere tra cui imparare quando affidarsi e quando non affidarsi ad un’estetica: e come lui l’arte tutta, che deve imparare ad ispirarsi, non ad idolatrare, che deve abbracciare il passato per ucciderlo e rendersi libera, senza cadere vittima di un gioco di specchi che spezza le gambe solo a chi lo subisce e condanna all’oblio. 

ULTIMA NOTTE A SOHO – TRAILER

PANORAMICA RECENSIONE

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

Trasferitasi a Londra per studiare moda, Ellie prende in affitto una stanza a Soho: inizia a sognare Sandy, una ragazza in cerca di successo nella Londra anni '60, finchè non assiste al suo omicidio. Horror psicologico che indugia senza dominarsi nella citazione di classici del genere e non. Comparazione critica tra contemporaneo ed epoca d'oro a dimostrare che oltre il mito le insidie restano sempre le stesse, per ogni donna e per ogni vocazione artistica. Neon psichedelici, colonna sonora trascinante, zelo coinvolgente ma non bastevole.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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