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Tria – Del sentimento del tradire: recensione

Presentato alla sezione Orizzonti della scorsa Mostra del Cinema di Venezia e in questi giorni al festival Visioni Italiane della Cineteca di Bologna, Tria – Del sentimento del tradire è un cortometraggio scritto e diretto da Giulia Grandinetti.

Tria: trama

In una Roma distopica, le famiglie rom sono soggette ad una terribile legge: non è consentito avere più di quattro figli e nel caso della nascita di un quarto genito, deve esserne sacrificato uno, con priorità data alle femmine. Quando un quarto figlio vede la luce in una famiglia di origini greche, le tre sorelle si ritrovano al centro di una drammatica decisione.

Tria

Tria: recensione

Giulia Grandinetti esordisce nel cinema con alcuni lungometraggi, per poi realizzare il suo primo lungometraggio dal titolo Alice e il paese che si meraviglia nel 2019. Le sue opere testimoniano una vicinanza al mondo dell’adolescenza, sempre macchiata di tragedia e perturbante.

Tria, che per ammissione della stessa regista si rifà al modello della tragedia greca, vede per protagoniste tre sorelle adolescenti, di cui non vengono approfonditi i caratteri, ma pochi elementi narrativi ci permettono di farci un’idea sulla loro personalità e sulle loro differenze. Sono differenze, sintetizzate benissimo in una scena musicale, che si riveleranno di centrale importanza per la risoluzione finale della vicenda.

Quella che Tria mette in scena è a tutti gli effetti una distopia, che però assomiglia profondamente al nostro mondo. Il film non si interessa di raccontarci dettagliatamente il mondo in cui si svolge la narrazione, non fa alcun tipo di worldbuilding, laddove questo tipo di narrazioni sono solite farlo. Ciò è dovuto sicuramente alla breve durata del film (quindici minuti) che comporta quindi una selezione degli elementi da raccontare; d’altra parte ai fini di ciò che il film vuole raccontare non è necessario approfondire il contesto distopico. I pochi elementi necessari sono presentati e consentono di comprendere ciò che Tria vuole comunicare.

Tria

Tria racconta di alcuni tradimenti, come suggerito sia dal sottotitolo, sia dal voice over della narratrice Zoe (Irene Casagrande) all’inizio del film; ma racconta anche del prezzo che si può essere disposti a pagare pur di avere un proprio posto nel mondo. La terribile legge che controlla le nascite in questa Roma distopica è il prezzo che le famiglie rom devono pagare pur di continuare a vivere in pace.

Non esiste via d’uscita e il film sottolinea questa perimetrazione dello spazio tramite l’aspect ratio ristretto e tramite la composizione di inquadrature che soffocano le dimensioni della casa in cui vivono i protagonisti.

Con evidenti rimandi a Yorgos Lanthimos, in particolare a Dogtooth, Tria inserisce nella sua narrazione elementi di ambiguità e di perturbante che non mancano di disturbare chi guarda.

Il tradimento è il filo che lega tutte le vicende. Dapprima il tradimento della nascita, dell’essere messi al mondo e quindi condannati ad un’inevitabile sacrificio per consentire al resto della propria famiglia di sopravvivere; c’è poi il tradimento di nascere come femmina e di essere quindi costretta al sacrificio in favore del proprio fratello maschio. Mette i brividi da questo punto di vista la scena in cui si mette in luce quanto il neonato fratello sia indifeso e possa essere ucciso da una delle sorelle in modo da evitare la morte di una di loro.

Tria

Il finale del film evidenzia la distanza tra le vittime (le tre figlie) e i carnefici (i genitori), con una strutturazione simmetrica delle inquadrature che sottolinea la ferocia di questo fantomatico governo distopico. Allo stesso tempo il finale dà spazio agli ultimi due tradimenti: Zoe, che si rivela in questo modo la vera protagonista del film, viene scelta come vittima sacrificale dai suoi genitori. Il secondo tradimento del finale porterà poi alla drammatica conclusione, che metterà in luce la disperazione che nasce da un sistema come quello raccontato in questo film.

Sarà un elemento estraneo e inaspettato a portare alla svolta conclusiva, un deus ex machina inatteso ed introdotto all’inizio del film.

Anche nella sua conclusione Tria si conferma un film dalla grandissima forza espressiva, in grado di essere minimale nella messa in scena ma comunque estremamente evocativo anche grazie ad un ottimo utilizzo della colonna sonora.

Tria e Visioni Italiane

Visioni Italiane, arrivato oggi alla sua ventottesima edizione, è da alcuni anni trampolino di lancio per giovani registi italiani all’inizio delle proprie carriere. Nel corso degli anni il festival ha ospitato autori divenuti poi molto noti a livello nazionale e internazionale, come Matteo Garrone, Pietro Marcello, Sydney Sibilia, Claudio Giovannesi e molti altri.

Soprattutto, Visioni Italiane è una vetrina di sperimentazione, dove è possibile scoprire un cinema italiano alternativo, lontano dalla produzione mainstream e, nella maggior parte dei casi, estremamente interessante.

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Tria è un piccolo gioiello, sintomatico degli stimoli provenienti dal nuovo cinema italiano.
Roby Antonacci
Roby Antonacci
Giornalista per Vanity Fair, collaboratrice per Moviemag, scrivo da sempre di cinema con un occhio attento a quello d'autore, una forte passione per l'horror e il noir, senza disdegnare i blockbuster che meritano attenzione.

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