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Tiny Pretty Things

Adattato dall’omonima serie di romanzi Young Adult scritta da Sonia Charaipotra e Dhonielle Clayton, Tiny Pretty Things è la nuova serie originale Netflix, che si ambienta nel mondo altamente competitivo di una fittizia accademia di balletto.

La serie segue Naveah (Kylie Jefferson), una adolescente dal passato burrascoso, che riesce a entrare nell’accademia di danza dei suoi sogni, la Archer Academy di Chicago. Il motivo per cui riesce a entrare è però nefasto: una delle ballerine è stata spinta giù dal tetto della scuola, liberando così, inaspettatamente, un posto nella prestigiosa accademia. Appena entrata, Naveah si accorgerà dei tanti intrighi che tramano sotto le fila della scuola e che coinvolgono tutti.

Di serie sul mondo del balletto classico non ne abbiamo avute tante. Nel 2015 avevamo avuto Flesh and Bone, serie prodotta dal canale televisivo Starz che è stata poi trasmessa in streaming in Italia da Tim Vision. Flesh and Bone aveva toni cupi, che si basavano sull’eterna dialettica tra ossessione per la perfezione e per la purezza dei movimenti abbinata a una deviazione, specialmente di tipo sessuale. Fin da Suspiria, classico dell’horror di Dario Argento, la dicotomia tra la danza classica e vari tipi di turpitudini è sempre stata vincente nel cinema. Basti pensare al Cigno Nero di Darren Aronofsky, che ritrae un mondo di menti distorte che arrivano a deturpare anche i corpi puri e perfetti della danzatrice protagonista. O anche al remake del classico di Dario Argento diretta da Luca Guadagnino, in cui le scene di danza portano all’estremo la fluidità dei movimenti fino a deformarli mostruosamente.

Tiny pretty things prende sicuramente alcune di queste influenze horror, specialmente nelle scene degli incubi, ma le amplia adattandole al mondo del giallo. Anche questa serie infatti rientra nella narrativa che, più spesso che non, sotto la perfezione si nasconda un mondo che porta la competizione al parossismo, un bellissimo vaso di Pandora che è a tanto così dallo scoppiare e rivelare i suoi segreti, siano questi streghe (nel caso di Suspiria), abusi sessuali, omicidi o inganni. In Tiny Pretty Things gli intrighi sono molteplici. Innanzitutto il giallo principale, che vede la risoluzione del mistero di chi ha spinto giù la ballerina e soprattutto del suo movente. Poi, man mano che la serie va avanti si delineano altre trame sotterranee, che indicano soprattutto una certa corruzione nei piani alti. Per tutta la carne al fuoco che è stata messa è un peccato che tutti questi misteri si sgonfino in plot twist banalizzanti, che ripiegano più sulla sfortuna della coincidenza più che di veri intenti malevoli.

Gli scandali più piccoli, gli intrighi tra gli studenti dati da pura competizione, invece si rivelano più interessanti. In particolare quelli che compie Bette (Casimere Jollette), personaggio che sembra sempre sul punto di pentirsi delle sue azioni sbagliate solo per poi manipolare di nuovo a suo favore la narrativa e saltarci fuori meglio degli altri. Bette è un villain interessante, che gioca proprio sul clichè della popular mean girl che però si rivela buona, solo che qui non si rivela mai buona, fa solo credere di esserlo e ha spesso degli alibi talmente forti che diventa difficile vederlo. Peccato per l’attrice, che fa quel che può.

Il mondo della danza continua quindi a essere visto come un mondo di cui non ci si può fidare completamente. Un mondo di sirene che si rivelano mostri, oppure, al contrario, un mondo che distrugge la psiche e il corpo dei suoi partecipanti. Per quanto quest’ultima affermazione sia più o meno vera, è interessante chiedersi come mai questo legame è stato sempre, quasi, esclusivamente visto nel mondo del balletto classico, epitome della femminilità nello sport. Per altri sport, per esempio il football americano, il baseball o anche il calcio, le storie di competizione portano sempre a una crescita degli atleti, a una loro unione. Sono storie edificanti, e la competizione è sempre vista come sana. La competizione maschile. Quella femminile è invece sempre vista come qualcosa di insidioso, che trama sotto la superficie e che distrugge la psiche delle persone, con poche eccezioni come in Center Stage. Per quanto nel mondo reale sicuramente le dinamiche tra gruppi maschili o femminili differiscano, comunque è indubbio che la realtà prende tantissimo dai media. Continuare con questi stereotipi di competitività femminile che arriva fino all’omicidio, spesso e volentieri poi per rivalità nei confronti di un uomo, non può fare bene a nessuno.

Tiny pretty things comunque si rivela una serie sgangherata, con tantissime storyline che vengono lasciate a metà, tante azioni che non hanno una propria conseguenza e tanti abusi che non hanno una propria punizione neanche quando vengono scoperti. Il senso dell’intera operazione è molto oscuro. Vuole essere satirico, o ironico, o invece vuole vedere il mondo della danza come un mondo che si può e si deve rinnovare? Oppure magari è solo una serie fatta per intrattenere, e in quello in realtà ci riesce. Il ritmo è buono, le coreografie, se piace la danza contemporanea, sono apprezzabili, e alcune scene sono talmente random da diventare delle piccole gemme di trash (vedi la scena di Shane che balla nudo sul terrazzo).

PANORAMICA RECENSIONE

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Una serie sulla danza che combina intrecci sentimentali con intrighi gialli.
Marianna Cortese
Marianna Cortese
Attualmente laureanda in Lettere Moderne, ho sempre avuto un appetito eclettico nei confronti del cinema, fin da quando da bambina divoravo il Dizionario del Mereghetti. Da allora ho voluto combinare cinema e scrittura nei modi più diversi e ho trangugiato di tutto: da Kim Ki-Duk a Noah Baumbach, da Pedro Almodovar a Alberto Lattuada. E non sono ancora sazia.

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