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The Old Oak, recensione dell’ultimo film di Ken Loach

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(ATTENZIONE: CONTIENE ALCUNI SPOILER)

The Old Oak (2023) è il nuovo film di Ken Loach, forse l’ultimo della sua carriera. E parla di immigrazione, disagio sociale, solidarietà.

O, per meglio dire, dell’assenza di radicamento. Anche se questo film parla della possibilità di mettere radici anche altrove, in un altrove che non è casa.

The Old Oak, la trama

In un ex villaggio di minatori del nord dell’Inghilterra, il pub The Old Oak chiude per ospitare un gruppo di rifugiati siriani.

Il proprietario TJ e la rifugiata Yara fanno amicizia mentre attorno a loro la popolazione locale inizia a mostrare segni di intolleranza nei confronti dei nuovi venuti.

The Old Oak, una scena del film

La quercia come simbolo di resistenza

Non è il caso se il pub che è l’anima stessa della storia si chiama The Old Oak, cioè Vecchia Quercia. La quercia è un albero dalla potente simbologia: albero mistico dei druidi, li aiutava a interpretare i messaggi divinatori. E’ tradizionalmente un simbolo di forza e di rettitudine, oltre che di radicamento a terra.

Nel suo essere longeva e resistente, rappresenta gli abitanti del villaggio, che vivono lì da sempre.

Inoltre è un albero che si sa adattare facilmente all’ambiente circostante: proprio come si trovano a doversi riadattare i rifugiati in fuga dalla guerra che arrivano nel villaggio inglese a bordo di un pullman.

Istintivamente rifiutati dagli abitanti del posto, troveranno il modo per piantare anche lì nuove radici. Alla fine, la quercia apparirà anche nello stendardo che i siriani doneranno ai loro amici ritrovati inglesi: sotto ci sarà scritto “forza – solidarietà – resistenza“.

L’occhio della macchina fotografica: un occhio alieno

All’inizio di The Old Oak, Loach sceglie deliberatamente di mostrarci un punto di vista inconsueto: quello dello straniero che arriva in una nuova terra. Lo fa utilizzando l’espediente della macchina fotografica: la Canon dalla quale la siriana Yara non si separa mai. E che, in un atto beffardo, le verrà rotta.

E’ attraverso il suo sguardo – e alcune foto in bianco e nero accompagnate da voci fuori campo – che ci vengono introdotti il villaggio, alcuni dei suoi abitanti e il loro rifiuto iniziale nei confronti degli immigrati.

Però alla fine il valore del suo sguardo finirà con l’essere riconosciuto: così le sue foto scattate nel villaggio finiranno esposte in una mostra che sancirà ufficialmente l’unione delle due comunità.

The Old Oak, una scena del film

Il cibo come strumento di unione tra popoli

L’escamotage del cibo per unire i popoli e le culture non è certamente nuovo, ma qui assume un’importanza speciale. Il pub The Old Oak viene, infatti, parzialmente adibito a luogo di accoglienza per i rifugiati siriani, fino a diventare un luogo di condivisione di cibo e conoscenza tra persone.

Ce lo insegnano molti bei film: ogni divergenza e differenza si può superare, quando si siede ad un tavolo tutti assieme. Nella storia non mancheranno i sabotaggi di questa esperienza alternativa di convivenza, ma nemmeno un tubo rotto potrà fermare il bisogno di sentirsi umani assieme.

Il tema della speculazione edilizia e del disagio sociale

In ogni film di Ken Loach che si rispetti non può mancare la denuncia sociale. Oltre all’immigrazione e al tema della guerra, in The Old Oak emerge prepotentemente un altro tema: quello della speculazione edilizia.

A mettere a dura prova la comunità locale, infatti, non sono tanto gli immigrati quanto gli speculatori che acquistano alle aste vecchi immobili del villaggio per poche migliaia di sterline e svalutano così le altre case di proprietà nella zona.

In questo film, come anche nella realtà, il disagio sociale cresce fino a generare violenza, intolleranza e guerre tra poveri. Ad esprimere bene il punto di vista del regista sul tema ci pensa lo stesso protagonista, quando dice: “Cerchiamo sempre un caprio espiatorio quando la vita va male. E non guardiamo mai su: guardiamo sempre giù“.

Ogni frase della sceneggiatura di questo film non è mai stata piazzata lì per caso. E certamente Loach, oggi 86 anni, vi voleva condensare alcune delle tematiche a lui care. Non è da trascurare il fatto che il regista britannico ha annunciato che probabilmente questo sarà il suo ultimo film.

The Old Oak, una scena del film

The Old Oak, il cast

Come è consuetudine di Ken Loach, nel cast di The Old Oak ci sono alcuni attori non professionisti o alla loro prima esperienza su un set cinematografico.

Come Ebla Mari che interpreta la parte di Yara: insegnante di teatro a Majdal Shams, villaggio che si trova sotto occupazione israeliana dai tempi della Guerra dei Sei Giorni del 1967, è al suo debutto cinematografico ma non fa fatica ad interpretare una parte che per lei è vicina alla realtà che vive quotidianamente.

Sebbene, come lei stessa ha raccontato, non sia la sua vicenda biografica: la guerra civile è al di fuori dei confini della città dalla quale proviene. Così Mari: “Non è così distante. La vediamo, abbiamo sentito le bombe e abbiamo dei parenti lì. Quindi so cosa sta succedendo”. A metterla in contatto con il regista è stata la regista palestinese Annemarie Jacir.

Comunque, le battute che Loach – e lo sceneggiatore Paul Laverty – mettono in bocca alla ragazza sono dolorosamente intrise di realtà. Dice Yara: “Ho un’amica che chiama la speranza ‘oscena’. Ma se smetto di sperare, allora il mio cuore smette di battere”. Ci sono riferimenti

Il protagonista Dave Turner, che veste i panni di TJ, è una vecchia conoscenza del regista, che lo ha voluto anche in Io, Daniel Blake (2016) e Sorry We Missed You (2019).

The Old Oak, una scena del film

The Old Oak, le conclusioni

The Old Oak è un film maturo e impegnato, forse troppo verboso. Un film che in tempi di guerra si propone di proporre e amplificare un messaggio di pace e di convivenza pacifica tra popoli, anche in una microbolla come può essere un villaggio di minatori inglese.

Anche in questa storia, alla fine, il dolore unirà. La recitazione spontanea, quasi da documentario, del cast aiuta l’effetto realtà. Pregevole il lavoro di raccolta di vere testimonianze da parte di veri profughi siriani.

Anche a 86 anni, Ken Loach non rinuncia a uno degli scopi possibili del cinema, del suo cinema: cercare di cambiare il mondo agendo sulle coscienze e sull’immaginario.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

The Old Oak è un film maturo e impegnato, forse troppo verboso. Un film che in tempi di guerra si propone di proporre e amplificare un messaggio di pace e di convivenza pacifica tra popoli, anche in una microbolla come può essere un villaggio di minatori inglese. Anche in questa storia, alla fine, il dolore unirà. La recitazione spontanea, quasi da documentario, del cast aiuta l'effetto realtà. Pregevole il lavoro di raccolta di vere testimonianze da parte di veri profughi siriani. Anche a 86 anni, Ken Loach non rinuncia a uno degli scopi possibili del cinema, del suo cinema: cercare di cambiare il mondo agendo sulle coscienze e sull'immaginario.
Redazione
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The Old Oak è un film maturo e impegnato, forse troppo verboso. Un film che in tempi di guerra si propone di proporre e amplificare un messaggio di pace e di convivenza pacifica tra popoli, anche in una microbolla come può essere un villaggio di minatori inglese. Anche in questa storia, alla fine, il dolore unirà. La recitazione spontanea, quasi da documentario, del cast aiuta l'effetto realtà. Pregevole il lavoro di raccolta di vere testimonianze da parte di veri profughi siriani. Anche a 86 anni, Ken Loach non rinuncia a uno degli scopi possibili del cinema, del suo cinema: cercare di cambiare il mondo agendo sulle coscienze e sull'immaginario.The Old Oak, recensione dell'ultimo film di Ken Loach