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Martin Scorsese e M. Kassovitz, tra Taxi Driver e La Haine

Martin Scorsese

Martin Scorsese

Martin Scorsese e Mathieu Kassovitz hanno realizzato entrambi due film, Taxi Driver e La Haine che hanno elementi in comune. Scopriamoli insieme.

Martin Scorsese nasce a New York nel 1942 da genitori figli di emigrati siciliani e cresciuto nel famoso quartiere italoamericano Little Italy. Dopo aver conseguito degli studi di matrice fortemente cattolica – non a caso la religione sarà uno dei grandi temi della sua enorme filmografia – s’iscrive ad un corso cinematografico alla New York University. Già il suo primo cortometraggio The Big Shave (1965) in cui protagonista è un uomo che radendosi davanti allo specchio si taglia il viso riversando per terra grumi di sangue, esprime bene quella continua tensione emotiva che traspare nei primi film, una forma di ribellione, a tratti nichilista, che sarà la sua cifra inziale e che lo farà conoscere al grande pubblico.

Partito come uno dei tanti registi della New Hollywood, che nei primi anni settanta tentarono una mediazione tra il più classico cinema d’autore, attraverso la lezione dei padri di Hollywood, come Wilder, Curtiz, Fleming, e lo spettacolo inteso come capacità di attrarre il pubblico grazie a immagini di forte impatto e storie difficili, fatte anche di gangster, outsider, deviati, e ossessivi, capaci di raccontare uno spaccato antropologico della società americana che si allontanasse finalmente dai famosi “happy ending” degli Studios per approdare, invece, su una realtà senza filtri, nuda e cruda, portandoci dentro la mente dei suoi soggetti più alienanti. Questo, in breve, è Martin Scorsese, uno dei più grandi registi della storia del cinema.

Mathieu Kassovitz

La Haine

Passiamo ora, a Mathieu Kassovitz, autore più giovane dell’italoamericano, ma uno dei cineasti più promettenti della nuova generazione del cinema francese. A partire dagli anni Ottanta, infatti, mentre Scorsese dall’altra parte dell’oceano si affermava a livello mondiale con opere come Re per una notte (The King of Comedy, 1982) e Fuori Orario (After Hours, 1986), in Francia, invece, una nuova generazione di autori, la cui spinta non si è esaurita ancora oggi, ha portato alla ribalta moltissimi cineasti tra cui possiamo citare: Luc Besson, Gaspar Noé, Catherine Breillat, Laurence Cantet e molti altri ancora.

Tra cui, appunto, il nostro Kassovitz, che hanno – proprio come i vari Scorsese, Bogdanovich, Spielberg, Coppola – mediato con i registi venuti prima di loro; nel caso francese con i maestri della Nouvelle vague. Questi giovani cineasti francesi hanno avuto l’arduo compito di confrontarsi con i grandi del passato, reggendo il confronto, a volte, con esiti brillanti, proponendo opere dal forte valore sociale e innovativo. Kassovitz, regista eclettico e fuori dalle righe, è un’abile regista di opere che viaggiano sempre in bilico tra dramma e commedia, sperimentazione e classicità, La Haine, infatti, è un film volutamente in bianco e nero con spunti di regia e di racconto moderni e innovativi.

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Taxi Driver – Una New York spietata

La Haine

Partiamo dal capolavoro di Taxi Driver del 1976, sceneggiato da Paul Schrader e Palma d’oro a Cannes, qui Scorsese ci fa immergere in una New York notturna e spietata, la trama è molto semplice: Travis Bickle (Robert De Niro) è un ex marine reduce dal Vietnam, per contrastare un’insonnia acuta lavora come tassista di notte. Nel suo vagabondare per le strade di Manhattan conosce l’avvenente assistente di un candidato alle presidenziali americane, una prostituta di tredici anni e il suo protettore.

Profondamente disgustato dal decadimento morale della società in cui vive, Travis assume un aspetto inquietante e cerca di ripulire la città con le armi. Già dalla trama vediamo come il contesto in cui si muove Bickle plasma la sua identità alienante, come se la città fosse un personaggio a tutti gli effetti, contribuendo così alla lucida follia in cui Travis sprofonda inesorabilmente.

Nei titoli di testa appare fin da subito un taxi che emerge nella nebbia delle strade, e un particolare degli occhi di De Niro illuminati dai neon rossi e blu delle vetrine dei negozi introducono il set vitale e l’orizzonte morale del film. Una New York vista quasi sempre di notte, dalle tenebre della guerra, infatti, cala il nostro protagonista che tornato nella sua città è incapace di intrattenere rapporti sociali degni di nota. Attraverso il suo taxi si muove come un animale notturno e ferito mentre osserva inorridito lo spettacolo opprimente che si offre ai suoi occhi: prostitute, sfruttatori, tossico dipendenti, spacciatori e criminali di ogni tipo affollano le strade rassomigliando, per certi versi, agli zombie di Romero.

La Haine – Le banlieue parigine

L'odio, film di Mathieu Kassovitz - Classicult

Con il suo secondo lungometraggio, La Haine, Kassovitz arriva fino ai giorni nostri con una storia capace di attraversare quasi trent’anni e rimanere intatta nella sua lucida rappresentazione e racconto di una situazione sociale in cui degrado, discriminazione razziale ed emarginazione la fanno da padrone.

La trama di La Haine: il film racconta 19 ore nella vita di tre ragazzi che vivono in una multietnica e abbandonata periferia parigina. La loro etnia non è scelta a caso: Vinz è un ebreo dell’est, Saïd è arabo e Hubert è un nordafricano immigrato di seconda generazione, essi, infatti, rappresentano il mix di culture e origini che caratterizzano la società francese. Dopo una notte di disordini, ai tre giovanotti arriva la notizia dell’aggressione da parte della polizia di uno dei loro amici.

Questo l’incidente scatenante che trascina il film in una spirale di violenza, innestato tutto sul dubbio morale che attraversa i tre personaggi: vendetta o perdono? Kassovitz fa una scelta chiara: bianco e nero per raccontare la crudeltà della realtà parigina, quel mondo underground fatto di subculture e devianze sociali che portano intere parti della collettività a scontrarsi ripetutamente con le forze dell’ordine. Una scelta di campo: o noi o loro.

Il mezzo non è contemplato, non a caso, lo scontro che si consuma non è solo con lo Stato, o chi ne fa le veci, ma anche e soprattutto tra i tre giovani adulti, che si trovano costretti  a scegliere una condotta di vita violenta e criminale. I Noi sono quelli delle banlieue, quelli dimenticati, lasciati ai margini di una società che li discrimina, mentre i Loro, quelli dall’altra parte della barricata, sono gli agenti di polizia, che, ahimè, sovente usano una violenza ingiustificata che non fa altro che irrigidire le parti, allontanare i due mondi.

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Taxi Driver – Stile e regia

In Taxi Driver Scorsese scrive con la macchina da presa, così come Schrader scrive con la sua macchina da scrivere. Per raccontare infatti la solitudine di Travis Scorsese nella prima parte del film sfrutta un ordinato montaggio di lente carrellate e camera car per separare Bickle dal mondo esterno, il suo taxi è una gabbia che lo delimita dal circostante. Non solo, man mano che acquista consapevolezza la regia si fa più fluida, dinamica arrivando ad utilizzare parabole visive come nella famosa scena dello specchio, in cui lui chiuso nel suo nido trama nei confronti della società.

Sovente è l’uso della camera fissa per inquadrare De Niro ben collocato spazialmente, in particolare, quando si trova per strada, ai comizi di Palentine dove il quadro dell’immagine è costruito per risaltare la figura, ormai psicotica, di Travis. Gli effetti visivi costruiscono il dramma della storia, facciamo un esempio: quando Bickle si ritrova al telefono per scongiurare Betsy (Cybill Shepherd) di dargli una seconda chance, Travis è ripreso di spalle (già qui una chiara espressione di incomunicabilità), a Mezza Figura, fino a quando una carrellata laterale manda fuori campo Travis mentre continua a parlare; in questo modo Scorsese proietta la solitudine di Travis in un lungo corridoio vuoto e desolato.

Una scelta di regia, questa, che rompe con la grammatica cinematografica, poiché sveglia lo spettatore dall’immersione narrativa in cui è sottoposto, aspetto che nel cinema hollywoodiano classico non era possibile, giacché la narrazione, la regia e il montaggio, cosiddetto invisibile, dovevano far scivolare chi guardava il film nella storia senza che quest’ultimo potesse esserne turbato. Scorsese, invece, abbonda di scelte di regia forti, angolature forti, dissolvenze incrociate, visive e sonore, giochi di occhi e di specchi (specie nel taxi) in una moltitudine di piani.

La Haine – Stile e regia

La Haine – L'odio, di Mathieu Kassovitz (1995) – Re-Movies

In La Haine va subito menzionata la scelta narrativa di Kassovitz di collocare temporalmente la storia in 19 ore precise, dalle prime sequenze, infatti, il ritmo appare più lento, cadenzato, c’è più tempo per entrare nelle banlieue parigine e di conseguenza nelle vite dei nostri personaggi. Man mano che la storia avanza il ritmo diventa più serrato, e l’angoscia dello spettatore sale poiché sa che il protagonista Vinz, arriverà ad un bivio infernale: sparerà o meno quel colpo?

Kassovitz guida La Haine con un occhio documentaristico, s’inserisce nelle pieghe della periferia francese prediligendo un uso mobile della mdp per donare dinamicità e movimento alle immagini. Alla staticità del bianco e nero si contrappone una regia fluida, fatta di tanti virtuosismi tecnici spunti modernistici. Rispetto alla coloratissima New York al neon di Taxi Driver, quello che salta all’occhio nel film di Kassovitz è il grigiore delle palazzine popolari francesi, spazi angusti e tetri che inglobano i protagonisti in inquadrature strette in cui è forte il senso di oppressione ed emarginazione.

Non si cerca necessariamente una geometria perfetta, quello che conta è seguire i personaggi nelle loro strade fumose e malandate. La regia, inoltre, gioca molto con delle carrellate dinamiche che hanno il gusto voyeuristico di penetrare nelle case dei giovani, e ben si sposano con il contesto underground parigino.

Valerio Autuori
Valerio Autuori
Con le storie ho un rapporto speciale, amo il cinema e la sua capacità di incantare e di raccontare il mondo. Da piccolo, Chaplin mi conquistò completamente. Da lì ho scoperto altri registi meravigliosi, Keaton, Wilder, Hitchcock, Allen e poi, il cinema italiano, amore incondizionato, tra Fellini, De Sica, Monicelli, Scola, Troisi e tanto altro ancora.

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