“Perché questo non è una di quei silenzi che uno dice Madonna che silenzio c’è stasera, no questo è uno di quei silenzi che uno dice Madonna chè silenzio c’è stasera”.
Framcesco Nuti cabarettista, attore comico, cantante, sceneggiatore, regista, artista poliedrico e tormentato, spirito toscano doc, sorriso bambino, fossetta sul mento, timido, malandrino, drammaticamente fragile, poeta di quella malinconia che ci appartiene, che fa innamorare e che non c’è più.
Gli antieroi di Nuti, improbabili vincitori emotivi
I suoi antieroi umili e scarognati, improbabili vincitori emotivi, con il cuore sempre più in là dell’ostacolo, raccontano con successo non sempre inequivoco nè indiscusso, l’animo di un artista vivace ed ambizioso, che ha amato la vita e ogni forma d’arte, le ha praticate e ci ha fatto a botte, rendendo ad entrambe comunque un personale, non trascurabile, omaggio.
Come artista e uomo, Nuti ha distillato i propri demoni interiori, fino a lasciarsene abitare per un tempo più lungo che giusto, e poi sipario.
Un piccolo grande film, cult immaginifico per generazioni di fan
A poco più di un mese dalla sua scomparsa, lo ricordiamo con Madonna che silenzio c’è stasera, un piccolo grande film, cult immaginifico per lo stuolo dei suoi fan, cresciuto tra le sue espressioni, le sue canzoni, i versi, le battute, quell’espressione lì, ed un fisico esile e spiantato, da creatura ancora intatta.
Primo film della sua carriera al di fuori del trio dei Giancattivi (Alessandro Benvenuti, Athina Cenci e, appunto Francesco Nuti), con cui il suo guizzo brillante si era fatto notare al grande pubblico, ed insieme ai quali era approdato sul grande schermo con Ad Ovest di Paperino (1981), in Madonna che silenzio c’è stasera Nuti si confeziona in scrittura ed in interpretazione un assolo su misura, affidando intelligentemente la regia non a se stesso ma al mestiere di Maurizio Ponzi.
Madonna che silenzio c’è stasera – Trama
Francesco (Nuti stesso) è il protagonista di questa odissea di ventiquattr’ore, in cui niente va come dovrebbe eppure tutto assume un proprio senso ed un proprio posto. Dall’odiata sveglia mattutina che lo trascina giù dal letto, alla madre ossessiva, vicina di pianerottolo, che lo vorrebbe sempre in casa, dal suo peregrinare in cerca di lavoro, ai vari incontri surreali che puntellano questa giornata anonima e, insieme, particolare.
Un barista che dice e non dice, una fabbrica tessile con telai-mostri in cui ogni dipendente ha subito menomazioni agli arti superiori, un amico del padre, detto il Magnifico (Massimo Sarchielli), che mescola realtà e finzione tra i ricordi della sua gioventù, un bambino senza nome, senza apparente famiglia, che diventa suo fratello di vita per un giorno, una corrida di talenti amatoriali che lo vede vincere con la goliardica hit “puppe a pera”, una giovane prostituta con cui approcciarsi, una fidanzata reale ed immaginaria che lo ha lasciato e sul finire di questo trip, lo chiama al telefono.
Sullo sfondo di queste peripezie, la Prato degli anni ’80, delle mura e dei vicoli, delle strade com’erano, delle piazze semivuote, delle stazioni gentili e deserte, delle panchine pulite, delle chiese con i matrimoni, delle famiglie operaie, delle porte di casa su strade, dei cantieri aperti e soprattutto dei centri tessili, che oggi ne fanno un polo dominante del settore.
Madonna che silenzio c’è stasera – Recensione
Alla ricerca di un proprio stare nel mondo, Francesco va, a cavallo di una bicicletta con un parabrezza montato su, sballottato da personaggi sempre diversi e sempre uguali, maniacali, perseguitati, dolenti, apparentemente indifferenti, bisognosi di evadere e raccontatori inesauribili di storie.
Tra loro, Francesco si adatta come plastilina da modellare su forma prestabilita, come palla da biliardo, gioco a lui carissimo, da sponda a sponda, trasportato da una volontà sua e non sua, verso un domani più simile ai propri desideri.
“Ricorda o te tu vinci al totocalcio, o te tu sposti la chiesa, o te tu vai in Perù”, il mantra che gli ripete il Magnifico, parole appartenute al padre, di cui Francesco cerca tracce in questo strano percorso verso un sè più adulto, ma consapevole del proprio passato.
Il ricordo-mito di un genitore supereroe e avventuriero
Il tutto sulla scia del ricordo-mito di un genitore supereroe, un avventuriero, che l’aveva lasciato bambino in cerca di fortuna, solcando l’oceano a caccia della vera felicità, che solo così tanto altrove può risiedere, in chissà quale latitudine, lontano dal rumore spaventoso dei telai che rende buffamente sorda metà popolazione di Prato.
La sua città per come Nuti l’ha vissuta e immaginata, straniato eppure travolto dalle cose e dalle persone, osservatore ed agito insieme, in controtempo sulla vita, in debito di furberia, animella desiderosa di fare un salto di qualità.
Infelice tra gli infelici in una comunità domestica e straniante
L’amore che manca, l’amore pensato, l’amore per una donna che non vediamo mai, che immaginiamo, dai discorsi delle colleghe ascoltati di straforo in bagno, dalle chiacchiere semiromanzate con cui si sfoga davanti a perfetti estranei, dall’imbarazzo verso una professionista del mestiere che gli legge addosso la fanciullezza impreparata.
Infelice tra gli infelici, Nuti vaga e vagheggia, intercettando e dando vita ad una comunità di figure vere ma inverosimili, trasfigurate da una fantasia monella e delicata, sagome bislacche, tragicomiche e lunari, fluttuanti in una dimensione domestica e straniera al contempo, difficile da non amare.
E’ la spontaneità fintamente disordinata di un pierrot, un contraltare al conterraneo Benigni dei tempi antichi e terrigni, la genuinità atemporale che prende spunto dalla schiettezza di un Troisi, e si autoalimenta nel pieno accento toscano.
Con Francesco sogna la periferia, va in scena il tarlo della felicità
E con Francesco sogna una generazione, chiusa dentro le mura di periferia, senza risorse in tasca, senza libri letti, senza padri accanto, ma con il tarlo della felicità, della gloria, del conquistare il grande, ignoto, affascinante, “là fuori”.
Tutta questa carica vitale ha la grazia, la spettinatura e l’andatura di un artista ironico e maledetto, tanto vicino alla costruzione, quanto alla distruzione, capace di rompere il rumore senza farlo, lasciando spazio al suo tipo di silenzio parlante.
Nuti era una timidezza fisica e fiabesca, nemesi della volgarità e della sensazione di adesso, qualcosa che oggi è praticamente sconosciuto. E, infatti, Madonna che silenzio c’è stasera!