L’afide e la formica ovvero due insetti che si aiutano a vicenda, in una dinamica di mutuo soccorso: il primo succhia linfa vitale alle piante e la rende disponibile per le formiche mentre queste a loro volta proteggono l’afide dai predatori.
Un rapporto di simbiosi creato ad arte dalla natura per far sopravvivere due esseri in netta minoranza di forze rispetto alla fauna circostante. Ma anche una metafora evocativa di un modo di stare al mondo solidale tra simili solo in apparenza distanti.
L’afide e la formica – Trama
Questo è il legame che nasce tra il professore di educazione fisica Michele (Beppe Fiorello), ex corridore con l’animo sconfitto da una perdita non rimarginabile del passato e Fatima (Cristina Parku), adolescente di origine marocchina che vorrebbe essere come tutti gli altri, ma spesso negli altri non si ritrova, volitiva e determinata a diventare qualcosa di più e di diverso da ciò che è sua madre, una badante per anziani, in attesa illusa che il marito torni da lei.
Cosa unisce una ragazza con il velo, l’unica in tutta la classe, a volte isolata, curiosa, per indole quasi mai in soggezione di fronte ad altri, ed un ‘professoricchio’ di educazione fisica, spesso inascoltato e bullizzato dai suoi stessi alunni? La corsa. Per la festa del santo patrono viene organizzata una maratona e l’obiettivo è arrivare fino in fondo, possibilmente vincere. Fatima ci prova, Michele l’allena ed entrambi con questa esperienza chiudono il cerchio di fantasmi e limitazioni eteroimposte, difendendo ciò che sono oggi e liberandosi da ciò che sono stati.
L’afide e la formica – Recensione
Su Prime Video, l’esordio registico di Mario Vitale, sulla base della pièce teatrale di Saverio Tavano ‘La marcia lunga’, offre forma ad un dramma del riscatto, incorniciato nel suo ambiente natio, la Calabria, terra-sepolcro di dolore e vitalità, esempio di contraddizione e bellezza, intelligenza, cuore grande e ottusa barbarie. Il mezzo di rivincita è dei più classici: lo sport, purificatore, disciplinatore, motivatore di un cambiamento interiore ed esteriore.
Tra i vicoli di Lamezia, dove si sono svolte le riprese, avviene la maratona della vita: correre significa scappare si dice nel film, la corsa così diventa un fuga e stigmatizza la condizione dei due protagonisti, Fatima che scappa via dalla sorte standard degli immigrati di cui sua madre è puro esempio e Michele che quotidianamente volta senza successo le spalle ad un lutto profondo, devastante, di fronte al quale si sente colpevole ed impotente.
Dunque da una parte un futuro ipotecato male, sotto auspici non fortunati, dall’altra la morte di un figlio per mano della criminalità locale: due facce della stessa luna, due mezze mele in cerca di senso nuovo e personale, destinate a scontrarsi, riconoscersi ed iniziare un nuovo viaggio insieme.
Michele e Fatima partono in situazioni sfavorevoli, diverse ma accomunate da una sofferenza simile, cancellabile a colpi di falcate, allenamenti, salite, cronometri, addominali ‘che si contano solo quando cominciano a fare male’, perché è quello il momento in cui inizia a farsi spazio il cambiamento, dentro e fuori.
I protagonisti, come da copione in trame del genere, sono due ultimi sulla carta, un’immigrata, per definizione fuori dal circuito civile, ed un comune cittadino, che niente ha di differente dagli altri, tranne la sfortuna di essere inciampato nelle violente regole non scritte della delinquenza locale.
L’ombra che avvelena queste terre, Vitale ha il pregio di raccontarla in modo obliquo, indiretto, inserendola come colore scuro, acido, tossico nelle strade notturne, tra le luci della festa patronale, negli incubi accesi che tormentano Michele, un fio mitologico che si deve scontare per nascita e che questa storia ha lo slancio di interrompere, così, con cocciuta, delicata caparbietà. Invece un sole bianco illumina i montaggi del training, le giornate a scuola, rivelatrici di rapporti di forza, di intesa e di scoperta, comuni e sghembi, in cui cattive abitudini, più o meno gravi, distrazioni ed attenzioni mordono l’adolescenza connotandola in un senso o in un altro.
L’afide e la formica è una parabola di rivincita e non solo: è testimonianza indiretta di un’integrazione che meritoriamente non viene giustificata, ma vive e vegeta verso il meglio, dandola per acquisita, proprio in territori su carta controversi, poi scopertisi virtuosi ed oggetto di dibattiti, inchieste e scandali, spesso umanamente insoffribili.
Vitale colma ogni sua voce di umanità, anche se dovrebbe dare ad esse più corpo in stesura, riuscendo comunque a rendere emblematica la qualità dei personaggi che muovono la storia e fanno la differenza anche nei piccoli centri del sud, i più bersagliati, i più preziosi, capaci di dar vita a risorse che difficilmente avremmo potuto riconoscergli o immaginare.
Le singole transizioni nella trama sono più che classiche e preventivabili, lo stesso modello di plot è familiare, gli appuntamenti rivelatori, conflittuali e di svolta sono aspettati e rispettati, rendendo semplice il dipanarsi di una vicenda che in sé abiterebbe più il grigio, l’ostacolo e la sospensione rispetto ad un bianco e nero di sfogo, ammissione, scontro o assoluzione.
In ciò il montaggio non regala granchè, mentre la regia definisce il definibile, anche insistendo su dettagli che già alla prima visione avevano chiarito il loro significato: un buon esempio ne è la casa in cui abita Michele, sporca, ovattata in un colore livido, decadente, con una chiazza di muffa sul soffitto sopra il suo letto, a ricordare pedissequamente una situazione interiore instabile che macera da dentro l’uomo, ampiamente intuita dal contorno già raccontato.
Se nel finale e nella riscoperta di certi spazi ambientali ci si lascia guidare in armonica sorpresa, determinati inserti onirici perdono il tatto originale che conosce in nuce la vicenda, risultando inutilmente forzati e sincopati. L’afide e la formica viaggia dunque tra la fiction di rete nazionale e il cinema socialmente attivo, accenna ad un carattere personale, che ancora deve farsi sicuro di sé, preferendo il tracciato battuto e tradendo la sua buona volontà di opera prima.
L’afide e la formica – Cast
Il cast di interpreti offre gran respiro alla vicenda: Beppe Fiorello convince nell’inquietudine di chi non si sente a posto nel profondo, mentre la giovane Parku coniuga bene la sua presenza catalizzante con una spontaneità genuina: lei è un’ottima afide per il professore formica, il quale, stavolta, non fallirà nella missione di proteggere la propria ricarica vitale dai pericoli del mondo esterno.
L’afide e la formica disegna una convivenza tra individui non facile ma profondamente empatica, pur nella distanza; basti pensare alle dinamiche di sguardi che si instaurano tra i vari personaggi: Fatima osserva dal terrazzo in silenzio la donna accudita dalla madre, un muto dialogo di cui tutto si capisce; sempre di occhi negli occhi che si notano e si rincorrono è fatto il rapporto tra Fatima e il suo primo amore, il coetaneo Ettore; anche il legame liso tra Michele e sua moglie Anna (Valentina Lodovini) è un misto di poche parole sbagliate, molti silenzi e sguardi custodi di ferite.
L’afide e la formica corre verso il traguardo con una direzione scandita e dichiarata, per dare all’identità dei suoi protagonisti ingabbiata in etichette e sorti non felici una chance contro il fatalismo che vorrebbe ogni testa in un posto da lei non deciso: per fortuna la luminosità ed il sorriso leggero delle nuove generazioni sono capaci di trovare e far avverare il buono negli stessi luoghi, esteriori ed interiori, in cui a lungo si sono ruminate macerie.