La vie en rose, film del 2007 scritto e diretto da Olivier Dahan, racconta la vita della cantante francese Édith Piaf (nata a Parigi nel 1915 e morta a Grasse nel 1963). Protagonista una magistrale Marion Cotillard (fra le migliori interpreti drammatiche della sua generazione e qui lo dimostra) che grazie a questo ruolo ha vinto l’Oscar come miglior attrice protagonista (per questa ‘performance’ si è aggiudicata la bellezza di 27 premi). La vie en rose ha conquistato inoltre l’Oscar per miglior trucco. Oltre a numerosi altri riconoscimenti internazionali.
La vie en rose, recensione e trama
La vie en rose del francese Olivier Dahan (regista e sceneggiatore; ha girato anche parecchi videoclip) ha la stessa potenza di un romanzo popolare. È un film pieno di sentimento. Melodramma malinconico. Forte e vitale. Ci parla di vite intense; spezzate. È un’opera raffinata che si rivolge a un pubblico vasto. Trascinante, di un’eleganza che potremmo definire ottocentesca. Un romanticismo sottolineato dalla fotografia del giapponese Tetsuo Nagata, premiato col César.
Si respira un’atmosfera alla Charles Dickens. Olivier Dahan ha realizzato una sceneggiatura lontana dal documentario e ne è nato un biopic poetico e letterario. Alcuni personaggi sono frutto di fantasia come la prostituta Titine (Emmanuelle Seigner), Titine che nelle intenzioni dell’autore è una figura mistica, una sorta di Santa Teresa (sì perché Santa Teresa del Bambino Gesù è fondamentale nella vita della cantante: la Piaf ricevette un miracolo e guarì da una grave malattia agli occhi).
La narrazione procede frammentaria, non ha nulla di razionale: si dipana attraverso associazioni di idee, senza seguire un ordine cronologico. Il tempo balza avanti e indietro, i flashback si susseguono simili ai sogni: la piccola Édith con la sua infanzia tormentata si mescola alla Édith adulta, acclamata nel mondo, che crolla sul palcoscenico (soffriva di reumatismi e si iniettava sostanze) o manifesta gioia per un brano eseguito al piano – è il caso di “Non, je ne regrette rien“, uno dei pezzi più noti del suo repertorio.
Alcune scene sono ricche di pathos, ad esempio: quando la Piaf scopre che il suo uomo, Marcel (Jean-Pierre Martins), è morto in un incidente aereo.
La vie en rose, la Piaf e l’infanzia negata
Édith Piaf, artista geniale; fanciullezza da dimenticare. I genitori la trascurano. Se ne sta in strada, piccolina, con la madre vagabonda che aveva ambizioni artistiche. Il padre è anche lui sempre altrove. L’uomo, saltimbanco, lavora al circo e talvolta si esibisce, da solo, come contorsionista. Édith viene allevata dalla nonna che gestisce una “casa di piacere”. La Piaf cresce con un gruppetto di prostitute e da queste ragazze ottiene attenzioni e affetto. Viene su con una fede solida in Dio e una devozione speciale per Santa Teresa del Bambino Gesù.
Significativa una scena in cui la Piaf si rifiuta di cantare perché non ha la croce al collo. Una vita difficile attraversata da abbandoni e addii. Tra queste perdite la morte tragica del suo grande amore, il pugile Marcel Cerdan – il loro primo incontro (ristorante, corteggiamento) a New York è raccontato con efficacia. Straordinaria è davvero Marion Cotillard, fortemente voluta dal regista anche contro il volere della produzione che avrebbe preferito Audrey Tautou (Il favoloso mondo di Amélie) perché all’epoca la Cotillard non era molto nota.
L’attrice francese si è sottoposta a lunghe sessioni in sala trucco per raggiungere quella somiglianza con la Piaf. Il resto del cast è altrettanto strepitoso. Azzeccata la scelta delle attrici bambine che impersonano la Piaf in tenera età, molto somiglianti alla Cotillard; e ciò rende il tutto verosimile.
“Non rimpiango niente“, cantava la Piaf. Una vita di cadute e risalite, la sua. Di eccessi. Ascese e precipizi. Di lacrime e ironia. Memorabile la risposta che rifila a chi si complimenta con lei in quanto “immensa artista”. Lei risponde semplice semplice: “Ho messo i tacchi“.