HomeRecensioni FilmI protagonisti, la recensione “del film nel film” di Robert Altman

I protagonisti, la recensione “del film nel film” di Robert Altman

Un’amara riflessione sulla Hollywood che fu e quella che sarebbe stata

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Presentato in concorso al 45esimo Festival di Cannes (dove ha vinto i premi per la miglior regia e per la miglior interpretazione maschile), I protagonisti è un film del 1992 di Robert Altman tratto da un romanzo di Michael Tolkin, opera con cui il regista statunitense torna al cinema hollywoodiano, appena prima di realizzare quello che da molti viene considerato il suo capolavoro assoluto, America oggi.

I protagonisti

I protagonisti, la storia

I protagonisti segue le vicende di Griffin Mill (Tim Robbins), un potente e carismatico produttore di Hollywood che lavora per un’importante casa di produzione. Riceve ogni giorno centinaia di richieste da parte di scrittori e registi che vorrebbero vedere il proprio film realizzato, ma lui, come tutta la sua compagnia, ha la facoltà di dare il via libera soltanto a 12 progetti all’anno.

Le cose sembrano andargli bene: è uno dei pezzi grossi della casa di produzione, ha una bella macchina e intrattiene una relazione con la responsabile dei soggetti Bonnie Sherow (Cynthia Stevenson). Ma tutto precipita quando un giovane dirigente in rampa di lancio, Larry Levy (Peter Gallagher) lascia la Fox e viene assunto dalla stessa compagnia di Griffin, minacciando di fatto la sua posizione all’interno dell’azienda. Inoltre, da ormai diverso tempo, l’uomo riceve delle inquietanti cartoline minatorie da parte di uno scrittore deluso dalle promesse vane di Griffin riguardo a un suo progetto. Il misterioso individuo promette di fargliela pagare, probabilmente anche con la morte, e il produttore, schiacciato anche dalle pressioni relative ai rinnovamenti interni allo studio, decide di rintracciare lo scrittore che lo sta minacciando.

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Quando gli eventi precipitano

Riesce così a risalire a David Kahane (Vincent D’Onofrio), a cui aveva rifiutato un soggetto ritenendolo manchevole di diverse importanti caratteristiche per essere commercializzato. Ma l’incontro con l’uomo prende una piega inaspettata: in un’improvvisa colluttazione, Griffin arriva a uccidere Kahane affogandolo in una pozza d’acqua. Nonostante le indagini della polizia sull’omicidio dello sceneggiatore portate avanti dal detective Susan Avery (Whoopi Goldberg), Griffin non riesce a fare a meno di incontrare più volte la ragazza di Kahane, la bella e affascinante pittrice June (Greta Scacchi).

Tutto precipita quando Griffin riceve l’ennesima cartolina da parte dello scrittore misterioso (che testimonia come Kahane non fosse l’autore delle minacce), mentre le indagini della polizia sembrano portare a una sua colpevolezza.

Nel frattempo a Griffin viene presentato un progetto di uno sconosciuto regista indipendente, Tom Oakley (Richard E. Grant), dal titolo Habeas Corpus, che sembra inizialmente attirare l’attenzione del produttore. Il film, per il suo autore, non dovrà avere grandi divi di Hollywood e, soprattutto, non avrà il tanto ricercato “happy ending”.

Nel finale de I protagonisti tutto verrà ribaltato, a partire da Habeas Corpus, fino ad arrivare alle accuse di omicidio nei confronti di Griffin, regalandoci un’amara riflessione sulla Hollywood di oggi.

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I protagonisti, il tocco del maestro sulla regia

I protagonisti, seppur presentando alcuni punti di contatto, si differenzia dagli altri capolavori di Altman (da M.A.S.H. a Nashville, da Il lungo addio ad America oggi), utilizzando la macchina da presa non soltanto in chiave mostrativa, ma anche meta-cinematografica.

A partire dal clamoroso piano sequenza iniziale, della durata di ben 9 minuti e mezzo, abbiamo subito un assaggio di quello che vedremo per tutto il film. La sequenza è stupenda e, come detto, fin dall’inizio mostra la sua natura meta-cinematografica: il film si apre infatti con un’inquadratura fissa e con una voce fuori campo che chiede silenzio sul set per poi dare l’azione.

Da qui la macchina da presa si sposta prima lenta verso il basso, muovendosi verso l’esterno a seguire i dirigenti della compagnia cinematografica che discutono, per l’appunto, del piano sequenza del L’infernale Quinlan, poi scatta veloce con uno zoom verso gli interni degli uffici dove avvengono i pitch degli scrittori ai produttori, per poi tornare all’esterno, con assistenti che si raccontano qualche pettegolezzo o un gruppo di delegati della Sony in visita agli studios come protagonisti.

Il gioco di Altman col pubblico

Per tutta la pellicola si ha l’impressione che Altman stia giocando col pubblico, come se fossimo all’interno di un “film nel film”, come confermato dal sensazionale finale. Dialoghi che si mischiano tra di loro, estrema profondità di campo con primo piano e sfondo sempre perfettamente a fuoco, cambi di fuoco repentini e zoom veloci, tutto serve ad accentuare quella frenesia che si può respirare nell’ambiente cinematografico hollywoodiano. Spesso nelle scene accadono cose interessanti davanti ai nostri occhi e sullo sfondo (un’ovvia citazione a Orson Welles), e noi come spettatori dobbiamo decidere a cosa concedere la nostra attenzione. Quasi sempre finiamo per optare per seguire Griffin, vero protagonista della storia, ma a ogni stacco rimane il dubbio di essersi persi qualcosa di importante perché troppo concentrati sul personaggio principale.

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La regia di Altman è pressoché perfetta, e ha la capacità di veicolare il messaggio in maniera pulita e diretta, dimostrandoci ancora una volta il potere comunicativo delle immagini.

I protagonisti

I protagonisti, una riflessione sul cinema

Quello che assistiamo ne I protagonisti è un confronto tra il cinema hollywoodiano, di largo consumo, e un tipo di cinema diverso, più autoriale. Altman (come la sua carriera insegna) appare diviso a metà tra queste due anime perennemente in conflitto tra di loro.

Tale scontro è esplicitato dal film Habeas Corpus che Tom Oakley presenta a Griffin. Il regista appare intransigente su diversi punti, come la presenza di attori poco conosciuti o il mantenimento di un finale amaro che rispecchi la vita per come è e non per come vorremmo che appaia. Ma il finale de I protagonisti nega questa prospettiva autoriale: assistiamo alla proiezione del film di Oakley un anno dopo gli eventi principali e scopriamo con nostro grande stupore che tutti gli attori sono dei divi di Hollywood (ci sono Bruce Willis, Susan Sarandon e Julia Roberts) e il finale è stato trasformato in uno dei più classici happy ending.

Tutto ciò va a braccetto col finale del film vero e proprio, con Griffin che riesce a farla franca rispetto alle accuse di omicidio, ha una relazione con la donna dell’uomo che ha ucciso, June, che intanto è rimasta incinta, ed è adesso il boss del suo studio cinematografico. Bonnie, la sua vecchia amante, nonché ultima portatrice di certi valori autoriali che non si piegano alle logiche commerciali, viene licenziata: Griffin, che si è sempre mostrato abbastanza sensibile nei confronti della donna, è glaciale nel dirle che il suo allontanamento dalla compagnia è confermato.

L’auto terapia di Altman e il suo amore per il cinema

Possiamo vedere tutto il film come una sorta di auto-psicanalisi dello stesso Altman, incapace di scegliere tra le sue due anime in perenne lotta tra di loro. Il regista Tom Oakley che appare fermo sui suoi principi, ma che poi cambia idea sul finale dopo uno screen test andato male è l’emblema della denuncia che Altman fa. Ma allo stesso tempo il regista statunitense non si pone come giudice, anzi, accetta di calarsi nella realtà che descrive e “confessa” le sue colpe.

Altman opta per un happy ending, ma realizza un film che parla di sé stesso, spiega i canoni del film hollywoodiano e poi li nega con le sue scelte, come quando il produttore Levison chiede di inserire una scena di sesso, perché serve ad attirare il pubblico, e poi l’unica scena di sesso del film viene mostrata attraverso primissimi piani dei volti di Griffin e June. Tutto utile a mostrare la natura divisa del regista che in questo modo si dice incapace di schierarsi da una parte o dall’altra. O forse il suo schieramento lo ha deciso, ma gli è comunque impossibile abbandonare del tutto l’altra sponda.

Come parte della “terapia”, Altman ci mostra il suo struggente amore per il cinema, citando una marea di opere: a partire dal già citato L’infernale Quinlan, alla locandina di M – Il mostro di Düsseldorf, allo pseudonimo utilizzato dal misterioso scrittore che richiama Viale del tramonto, fino ad arrivare a Ladri di biciclette, film che Kahane sta vedendo al cinema la notte in cui poi incontrerà Griffin e quindi la morte.

E in ognuna delle opere citate direttamente e indirettamente (riportarle tutte sarebbe impossibile) c’è un po’ di Altman. Ma allo stesso tempo c’è un po’ di quelle opere in tutto Altman e in particolare ne I protagonisti.

I protagonisti

I protagonisti, Griffin Mill

Il personaggio portato sullo schermo da Tim Robbins è complesso e pieno di sfaccettature, molto più di quanto potrebbe sembrare. Inizialmente le sue caratteristiche appaiono evidenti: carismatico, affascinante, freddo, la descrizione perfetta per un produttore di Hollywood. Ma pian piano che la narrazione avanza, scopriamo anche le sue fragilità: la paura di morire quando riceve le minacce, quella di perdere la sua posizione se dovessero scoprire dell’omicidio, la lussuria e la sete di “dominazione” che lo spinge a desiderare la donna dell’uomo che ha ucciso.

Noi, come pubblico, empatizziamo con Griffin per tutto il tempo perché ci viene proposto come protagonista. Certo, è un antieroe, un omicida che non confessa mai il suo reato e rimane impunito, un uomo capace di infrangere i sogni di aspiranti scrittori con un solo monosillabo, ma finiamo per affezionarci a lui e a ciò che gli sta accadendo. Ma forse questo avviene semplicemente perché Altman ci mostra la sua storia, sbattendoci in faccia la realtà nel finale: Griffin licenzia Bonnie senza battere ciglio ed è adesso un uomo ancora più freddo e calcolatore, capace di negare anche certi valori in favore del denaro e del potere.

L’ascesa dell’antieroe

La natura di Griffin è dimostrata anche dal suo abbigliamento: inizialmente sono tutti completi grigi, ma già da dopo l’omicidio cambia, arrivando a indossare prevalentemente abiti scuri, che finiscono spesso per confonderlo con le tenebre della notte.

Capiamo quindi di aver assistito per tutto il tempo all’ascesa di una sorta di antagonista di un certo tipo di moralità (e quindi di cinema). Il “player” (come da titolo originale) era in realtà un villain vero e proprio, o forse soltanto il protagonista di una storia che sta al di sopra di lui, la storia dello scrittore di cartoline che propone un film ispirato agli eventi del film, la storia del film di Altman, la storia di Hollywood.

I protagonisti

Gli altri personaggi

Se Tim Robbins ruba la scena con Griffin Mill, gli altri personaggi del cast non sono da meno: Peter Gallagher interpreta ottimamente il rampante giovane produttore amorale e ambizioso, Cynthia Stevenson incarna l’ingenuità e l’innocenza a cui il protagonista rinuncia nel finale, il David Kahane di D’Onofrio, seppur per pochi minuti sullo schermo, è una presenza ingombrante per tutto il film, come se potessimo vederlo sempre alle spalle di Griffin.

I protagonisti si distingue anche per l’enorme numero di cameo di importanti attori e personalità di Hollywood che interpretano sé stessi. John Cusack, Jeff Goldblum, Andie McDowell, Cher, Julia Roberts, Bruce Willis, Susan Sarandon, Burt Reynolds e tanti altri che vanno a comporre un cast incredibile per un film che alla fin fine va proprio a criticare anche quel tipo di star system di cui molti di questi personaggi facevano parte.

Conclusioni

I protagonisti è un film splendido, meno famoso di altri grandi capolavori di Robert Altman, ma ugualmente efficace nel mostrare un affresco della società dell’epoca, in questo caso focalizzandosi sul cinema di Hollywood.

Il protagonista è in realtà tutto il contrario di quello che solitamente ci aspettiamo dal personaggio principale della storia, e questo appare evidente nel finale. Ma allo stesso tempo in questo modo Altman ci dice anche qualcosa sul grande potere del cinema: noi empatizziamo con quello che ci viene mostrato, e davanti a certe opere non siamo quindi neanche liberi di decidere a chi voler bene o per chi tifare. Perché è tutto già deciso, parte del disegno che l’autore ha in testa. Un po’ come la vita.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

I protagonisti è un’amara riflessione sul cinema di quel periodo, un’opera che mostra le due anime del regista Robert Altman, quella commerciale e hollywoodiana, e quella attenta al messaggio e alla ricercatezza di un’autorialità che la differenzi dalla massa. Un film che ribalta la concezione di giusto e sbagliato e che finisce per citare altre opere e il mezzo stesso ogni volta che ne ha l’occasione. Un grande film di un grande regista.
Redazione
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