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Highwaymen – L’ultima imboscata

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È il 23 maggio del 1934. Gibsland, Louisiana. L’orologio segna le 9.15 di mattina. Davanti, una strada spoglia, arida come la pietra, avvolta dagli alberi che coprono il sole. Sembra deserta, ma non lo è. Di lato, nascosti dal verde, lontani dagli occhi, siedono uomini pronti alla guerra. Siamo al termine di Highwaymen, ma forse non abbiamo bisogno di arrivare alla fine per sapere cosa stiano aspettando. Nel 1934, a Gibsland, Louisiana, c’è soltanto un motivo per radunare così tanti fucili in una strada sola.

In realtà, a dirla tutta, i motivi sarebbero due. Uno si chiama Bonnie, l’altro si chiama Clyde. Assieme, hanno formato una delle bande più spietate e controverse del ‘900. Sono amati, protetti e idolatrati. Sono degli eroi, diavoli trattati da angeli, in un paradiso rossastro velato di morte. Sembrano invincibili, ma in questo mondo, anche i diavoli possono essere uccisi. Serve solo qualche proiettile in più. Quegli uomini armati stanno per scoprirlo. E Bonnie e Clyde, pure.

Rappresentare nel 2019 la cattura dei due criminali più famosi dell’epoca, significa tuffarsi a capofitto in un’altra era. Passate la spugna e lavate con cura quella patina argentata che ricopre da decenni lo stato americano. Negli anni ‘30 la crisi sta divorando gli Stati Uniti. Il vecchio West è morto, ma coloro che l’hanno abitato sono ancora vivi. Sono arcigni, disillusi, con la pelle rugata dal sangue. Frank Hamer è uno di loro. Ha poco più di cinquant’anni, ma dentro sembra averne il doppio. È un uomo formidabile, ma fuori posto, come una colonna fregiata che non regge più niente. Il residuo smunto di un passato lontano.

È un’America strana, sospesa a metà tra le tinte ottocentesche di inizio secolo e la modernità dilagante del nuovo presente. La gente è povera, stroncata dai debiti, vessata dalle tasse. L’odio è tangibile, denso come la nebbia. In un’atmosfera così tesa, basta una scintilla per scatenare l’incendio. E stavolta, per spegnerlo, l’acqua non basterà.

Quando Bonnie e Clyde cominciano a spadroneggiare, la gente li adotta come se fossero figli del popolo. Ai loro occhi, non sono altro che giustizieri intenti a vendicare i torti dello Zio Sam. Pronti a lasciare sul selciato solo uno stuolo crivellato di uomini in divisa. Nessuno riesce a catturarli. Sono protetti, nascosti. Agiscono rapidi e fulminei. Non prendono prigionieri, non lasciano testimoni. Solo i morti potrebbero riconoscerli, ma i morti non parlano più.

Frank Hamer, l’uomo vecchio e dimenticato, viene richiamato in servizio. Basta regole, basta progresso. Si torna indietro. In fondo, cosa sono Bonnie e Clyde? Due taglie che camminano. Per abbatterli, serve un cacciatore. Anzi. Ne servono due. Frank chiama il suo vecchio compagno Maney Gault. Serve una macchina, qualche sigaretta, e una decina di fucili. Il finale lo conosciamo bene. Per raccontare il viaggio, servirà invece tutto il resto della pellicola.

Highwaymen si distingue nettamente dall’ampio catalogo di film d’azione offerti dal mercato, avvicinandosi semmai più ai canoni nostalgici del Western. Via inseguimenti, sparatorie furiose ed esplosioni. Qui troverete soltanto appostamenti, tracce da seguire, e chilometri di strada bagnati dalla pioggia. L’opera di John Lee Hancock ricostruisce fin nei minimi dettagli quel mondo scomparso quasi cento anni fa. Gli abiti, le vetture utilizzate, persino le espressioni della gente. Ogni aspetto decora il quadro e lo colora, senza sbavature.

L’azione lenta e riflessiva diventa presto contagiosa. L’anima matura e malinconica di Frank e Maney saprà coinvolgere più delle loro armi. Attraverso i loro occhi vedremo un mondo diverso, eppure vergato dalle stesse contraddizioni. Ma non stiamo parlando di un film concettuale o cattedratico. In Highwaymen il ritmo è calcolato. E proprio quando sembrerà giunto il momento di passare finalmente all’azione, l’azione arriverà. A nostro avviso, con un po’ di ritardo.

In questo senso, il regista di The Founder si salva in calcio d’angolo. L’impalcatura narrativa e psicologica tiene bene ma, per quanto ci provi, non riesce ad evitare qualche incrinatura. Il risultato fa di Highwaymen un film non adatto a tutti, che rischierà di stroncare l’interesse di chi è poco abituato a rimanere solo con lo schermo. Assolutamente da lodare è invece l’ambientazione, fatta di strade infinite e misteriose che fendono il verde, e paesini diroccati pieni di abitanti sporcati dal sudore.

Intelligente ed efficace è la scelta di non mostrare quasi mai i due antagonisti della storia. Questo crea attorno a Bonnie e Clyde la stessa aura di fascino e mistero degli anni ‘30. Oltre a donare loro una sorta di forma eterea, onnipresente e compulsiva, che rende appieno la frustrazione provata dai due rangers durante la ricerca.

Highwaymen è il ritratto perfetto dei suoi protagonisti. È un film duro, scontroso e silenzioso. Come la caccia. Troverete al suo interno un mucchio compassato di momenti morti, ma non ve ne accorgerete. Il tenore della storia e lo spessore dei personaggi sapranno sopperire alle mancanze adrenaliniche con morigerata classe. Il nostro consiglio è di dare fiducia alla produzione, e calarsi nel tempo. Lo sforzo sarà ampiamente ripagato.

Del resto, in compagnia di Frank Hamer e Maney Gault, è meglio rimanere in silenzio, godersi il paesaggio, ed essere pronti quando è necessario. La missione è ancora tutta da eseguire. Bonnie e Clyde sono amati, protetti e idolatrati. Sembrano invincibili. Ma solo fino alle 9.15 di quel 23 maggio 1934.

Voto Autore: [usr 3,5]

Diego Scordino
Diego Scordino
Amante di tutto ciò che abbia una storia, leggo, guardo e ascolto cercando sempre qualcosa che mi ispiri. Adoro Lovecraft e Zafòn, ho passato notti insonni dietro Fringe e non riesco a smettere di guardare Matrix e Il Padrino. Non importa il genere, mi basta sentire i brividi.
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