Hellbound: l’horror social(e) e religioso che potrebbe persino convincervi di meritare di precipitare all’Inferno
La febbre sudcoreana non sembra una banale influenza di stagione. La travolgente fama di Squid Game ci ha colto di sorpresa: non ci saremmo mai aspettati di restare con il fiato sospeso su d’un ponte di cristallo come pedine per il piacere di uomini dalle bestiali teste d’oro, né di trovare così dannatamente spietati gli zuccherosi biscottini al caramello, eppure siamo rimasti, seduti ma concitati, arruolati nella lotta di classe che va in scena in Sud Corea, dove inuguaglianze e capitalismo hanno un volto ancor più brutale di quello che è di casa qui, nel vecchio Occidente europeo.
Dopo Squid Game è assai probabile che ogni prodotto seriale realizzato da quelle parti attirerà facilmente l’attenzione di una buona fetta di abbonati Netflix. Tuttavia, Hellbound, diretta da Yeon Sang-ho (Train to Busan, Peninsula) e co-creata da Choi Kyu-seok (che è anche l’autore del webtoon su cui è basata), i preziosi minuti del vostro tempo potrebbe persino meritarli.
Una rappresentazione dell’umanità alla deriva
Seoul. Un pomeriggio immerso nel traffico. Un bar immerso nel rumore di clacson, voci e ticchettii da tastiera. Una giornata come tante in Corea: la città che si muove, i computer sempre connessi e la tv che non smette di parlare. Un solo cliente sembra opporre resistenza a quel ritmo ordinariamente frenetico, fissa la lancetta dell’orologio, suda, ha gli occhi colmi di terrore. Il timer visualizzato sullo schermo del suo cellulare corre inesorabile verso lo zero.
All’improvviso tre gigantesche creature si materializzano in strada e demoliscono il locale. L’uomo le stava aspettando: fugge, prova a seminarle, ma dopo aver seminato il panico per le vie del quartiere, travolgendo persone e auto per farsi largo nel traffico, i colossi mostruosi lo raggiungono e lo riducono in cenere. Un’esecuzione in piena regola. La prima di una numerosa serie di azioni punitive rivolte al genere umano per mano di una forza sconosciuta e terrificante.
L’enigmatico Jeong Jin-soo (Yoo Ah-in, già apprezzatissimo in Burning di Lee Chang Dong e nell’horror #Alive) offrirà una ferma interpretazione a quanto sta accadendo. Quei mostri sono angeli inviati sulla terra da Dio, giunti sino a noi per punire i peccatori. In brevissimo tempo l’intero paese sprofonderà nel caos, vittima di una psicosi collettiva e farà di Jeong, in quanto diretto messaggero del volere di Dio, un nuovo eroico profeta da glorificare.
Un Dio stanco di un’umanità impenitente che condanna con punizioni plateali e violentissime. Un Cristo moderno sadico e sfuggente, che predica una condotta morale integerrima come unica possibile salvezza. Un governo e un organo di polizia totalmente disarmati per affrontare la sete di sangue e castigo che sembra essersi risvegliata nel cuore di ogni “ordinato” cittadino.
Ad indagare sulle misteriose creature e sui crimini della setta Nuova Verità che opera “in nome di Dio” ci sono l’agente Jin Kyeong-hoon (Yang Ik-june), l’avvocatessa Min Hye-jin (Kim Hyun-joo), assunta per rappresentare i “peccatori” presi di mira dagli angeli vendicatori della setta e Bae Young-jae (Park Jung-min di Deliver Us from Evil) – altra enorme promessa del cinema coreano – nei panni di un produttore televisivo esasperato dalle ingerenze dell’onnipresente Nuova Verità sulla libertà d’opinione.
Il castigo umano di Hellbound: tra isteria collettiva e voyeurismo
L’umanità rappresentata in Hellbound ha perso la ragione. All’inspiegabile violenza di un altro mondo risponde con la furia punitiva, con raid fascisti contro chiunque metta in dubbio l’origine dei mostruosi “angeli”, con l’inneggiare un pazzo eccitato, che si mostra attraverso dirette online e fomenta la folla da dietro una maschera.
Il sonno della ragione genera mostri dipingeva Francisco Goya e nella Corea immaginata da Yeon Sang-ho e da Choi Kyu-seok il libero arbitrio può persino essere barattato, represso e messo fuori legge in favore di meritati castighi divini, considerati la conseguenza naturale dei peccati commessi nella vita terrena nonché un biglietto di sola andata per l’inferno. Se il mostro è volontà del Signore, il mostro è legittimato a divorare l’umanità intera. E tutti si ha una gran voglia di restare a guardare il sanguinolento banchetto.
La premessa di Hellbound è molto intrigante ed è probabile che, se si è pronti a giudicare con sconfinata clemenza una CGI piuttosto misera, riuscirà ad incollare molti spettatori ai propri divani per tutti i suoi “fanatici” episodi.
La nuova serie tv coreana tratta di come dispotismo e fanatismo si insinuino con terrificante naturalezza tramite internet e di come instabili guru possano cavalcare efficacemente la crisi delle istituzioni e mostrarsi assai persuasivi nei panni di influencer moderni del panico sociale.
La nuova serie coreana Netflix è un’analisi della dittatura contemporanea dell’immagine
Se non ci si affretta a condannarla per la carente CGI prestata alla creazione dei mostri (di contro, gli effetti speciali artigianali utilizzati per creare i cadaveri anneriti è tanto riuscita da far accapponare la pelle), si potrà arrivare a concludere che Hellbound è una serie riuscita: il soprannaturale orrorifico, la ferocia (quella delle ossa che si spezzano e della carne ridotta a brandelli) e la critica sociale convivono in efficiente equilibrio. La più aspra ripugnanza è provocata dall’ipotesi di un avvenire plausibile nel quale la paura ha annientato l’umanità.
Hellbound è un’analisi della dittatura dell’immagine, dello storytelling contemporaneo fatto di immediatezza, universalità dei mezzi di comunicazione ma al contempo di parzialità dei contenuti. La tecnologia ci ha reso più liberi, più veloci, più vicini. Ma è diventata anche lo strumento di nuove menti accentratrici. Trionfa nei nostri giorni lo stesso populismo che qui si appella al fanatismo religioso, alla promessa di riscatto per vite mediocri, al meritato castigo del proprio simile in nome di presunta verità.