Dogman

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Dogman, la recensione del film di Matteo Garrone

La periferia, il disagio sociale, la delinquenza urbana, la vessazione del debole e la rabbia dei disperati, fino alla giustizia privata. Dogman di Matteo Garrone è forse uno dei migliori film italiani degli ultimi tempi. Una favola neorealista dei giorni nostri che regge il confronto con le grandi opere di Fellini, Rossellini e De Sica.

Il film ci presenta un’umanità marginale ma con sentimenti chiari in una storia ispirata a eventi reali, accaduti in un sobborgo di periferia romana, sospeso tra metropoli e natura selvaggia.

Dogman Matteo Garrone

Dogman, uno straordinario Marcello Fonte nei panni del protagonista

Il film è incentrato su Marcello, un uomo popolare ma senza pretese, educato e clemente, che ama prendersi cura meticolosamente dei cani. Durante il fine settimana, trascorre il tempo con sua figlia, accompagnandola in escursioni subacquee e gare di toelettatura. È un’esistenza generalmente tranquilla e idilliaca la sua, punteggiata da momenti di pericolo quando il duro Simone entra in scena. Simone è un delinquente prepotente con una propensione a maltrattare chiunque non faccia ciò che dice e quando lo dice. Sfortunatamente il mite Marcello è il suo obiettivo preferito, trovandosi complice inconsapevole in molte sue attività illegali e nefaste.

Dogman è un film ingannevolmente semplice con un’allegoria potente e coinvolgente. Ha molto da dire sulla claustrofobia della vita nelle piccole città e sulla lealtà, a volte irrazionale, di coloro che sono costantemente calpestati. Marcello Fonte interpreta il protagonista con fascino e intensità emotiva, la sua accattivante interpretazione gli è valso meritatamente il premio come miglior attore al Festival di Cannes 2018 ed è il principale punto di forza del film. La sua piccola statura e l’aspetto mite lo avrebbero sicuramente relegato in un personaggio secondario in un film meno interessante. Qui invece la sua persona “imperfetta”, ma immediatamente simpatica, lo mette in primo piano permettendogli di brillare davvero.

Sin dalla prima immagine, ci viene mostrata la sua capacità empatica e persuasiva mentre calma un cane irrequieto. Iniziando come una forza volatile, il cane lentamente si ammorbidisce fino a quando Marcello è in grado di finire il suo lavoro, senza mai vacillare nel processo. Questa scena è un microcosmo fantasticamente osservato per il suo personaggio nel suo insieme. La sua natura comprensiva e i suoi talenti al declassamento rendono terribilmente inevitabile la sua relazione improbabile con Simone.

Dogman Matteo Garrone

Dogman e il desiderio di attenzione, riconoscimento e accettazione

Marcello desidera ardentemente quello che la maggior parte di noi desidera: attenzione, riconoscimento e accettazione. Ma diversi cittadini esprimono sconcerto sul perché non possa accontentarsi di ciò che già possiede. Notano l’incongruenza della sua buona reputazione nella comunità con il regno del terrore di Simone. Marcello elimina le preoccupazioni, convinto di possedere le capacità di controllare Simone. Ma in realtà si ritrova perpetuamente trascinato a lui da un guinzaglio sottile e invisibile. La sua fiducia si rivela rapidamente fuori luogo quando il suo presunto partner criminale commette un massiccio tradimento.

L’ultimo episodio di egoismo di Simone lascia Marcello in grosse difficoltà con l’ardua scelta di preservare la loro relazione o sacrificare la sua reputazione. Non c’è un’opzione intermedia e Marcello deve prendere una decisione che definirà per sempre il resto della sua vita. Ma mentre tenta di placare più parti con il suo processo decisionale, produce l’effetto contrario allontanando tutti. Fonte rende il suo personaggio profondamente e dannatamente umano, soprattutto in situazioni moralmente dubbie come questa. Eppure, anche quando Marcello commette gravi errori, proviamo tragedia e dolore per il personaggio piuttosto che un vero disprezzo.

Il desiderio di Marcello di un’amicizia non corrisposta e lo status di élite da parte della comunità gli danno un magnetismo quasi infantile. Di fronte alle conseguenze del viaggio in questa pericolosa orbita, Marcello si equivoca, schiva o menzogna. Ma con Dogman, Matteo Garrone suggerisce che tale neutralità è impossibile nel mondo di oggi, e chiunque aiuti a preparare il terreno per abusi di potere non può sottrarsi alla responsabilità né evitare la ricaduta di questi reati.

Dogman Matteo Garrone

Dogman, una gemma calda, incisiva, umanistica

Il film è girato in meravigliose cornici che si restringono gradualmente per accentuare la situazione claustrofobica di Marcello. L’illuminazione fradicia del sole catturata dal direttore della fotografia, Nicolaj Brüel, è sia bella che desolata nei suoi aspri contrasti che si evolvono nella dura freddezza delle scene successive che offuscano la coscienza di Marcello. In effetti, il film è una lezione di composizione.

Un momento in cui Marcello e sua figlia tornano dalle immersioni mentre guardano l’orizzonte, sono una rappresentazione efficace della sua speranza per il loro futuro. Questo è evocativamente richiamato ad un effetto sottile ma straziante più avanti nel film quando vediamo il contrario di una situazione simile in cui un Marcello sconfitto guarda con desiderio a un futuro che sembra essere sempre più lontano dalla sua portata.

Come ha fatto per “Gomorra”, Garrone dimostra un occhio attento alle sfumature del comportamento criminale. Spara nel caos con estro e verve, catturando la brutta violenza in un mondo che si sente opportunatamente stridente in contrasto con i momenti di bellezza del film. C’è un affascinante contrapposizione “uomo contro animale” qui. In diverse scene, Garrone impiega giocosamente cinematografia e montaggio per contrastare i cani con le loro presunte controparti umane più civilizzate. Guida il finale verso una conclusione soddisfacente e ambigua, mentre la ricerca di Marcello per la liberazione attraverso la vendetta raggiunge il suo epilogo.

Come possono la dolcezza e le gentilezza sopravvivere in un mondo di brutalità e egoismo? Mentre la sbiadita cittadina balneare italiana e il cattivo ragazzo possono sembrare reliquie del passato, la fastidiosa domanda al centro del film rimane urgentemente rilevante oggi. Con Dogman, Matteo Garrone ha creato una gemma calda, umanistica e incisiva di un film molto simile al suo protagonista che può sembrare piccolo e leggero in superficie, ma contiene grandezza e profondità nascosta all’interno.

PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

"Dogman" diretto da Matteo Garrone ci presenta un'umanità marginale ma con sentimenti chiari in una storia ispirata a eventi reali, accaduti in un sobborgo di periferia romana, sospeso tra metropoli e natura selvaggia.
Maria Rosaria Flotta
Maria Rosaria Flotta
Laureata in Scienze della Comunicazione con una tesi sul cinema d'animazione. Curiosa, attenta e creativa. Appassionata di cinema, arte e scrittura.
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