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Dark waters

Robert Bilott (Mark Ruffalo) nel 1998 diventa socio dello studio legale presso cui lavora e che difende grandi società dell’industria chimica. Poco dopo Tennant un allevatore del West Virginia che conosceva la nonna di Robert, gli porta una serie di videocassette in cui ha registrato il progressivo deterioramento del suo bestiame, per malattie ancora sconosciute od orribili deformazioni, che ne hanno causato l’inevitabile morte: l’uomo imputa il tragico cambiamento alle acque del lago situate vicino la sua proprietà, contaminate da liquami tossici che la DuPont, storico colosso chimico del paese, smaltisce impunemente in quelle rive e che potenzialmente inquinano la quotidianità della sua cittadina e non solo.

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Robert, studiando un’enorme quantità di documentazione specifica, recandosi nei luoghi dei disastri, vedendo con i propri occhi le malformazioni causate sui cadaveri degli animali, prende a cuore la causa e diventa il primo accusatore dell’imponente azienda, contestandole l’utilizzo del PFOA, sostanza fatta di carbonio e fluoro, presente in moltissimi strumenti di uso comune, dalle padelle (il famoso teflon), ai rivestimenti, al vetro, alla carta, al pavimento, causa comprovata e taciuta dell’insorgenza di tumori ed altre malattie, riversata illegalmente nelle acque comuni. Inizia così una causa civile, diventata class-action, ventennale, che ha portato multe e sanzioni salatissime inflitte alla DuPont, monitoraggi medici della collettività colpita nel West Virginia, l’istituzione di una commissione medica con il compito di accertare il legame tra PFOA e cancro, dunque il diritto al risarcimento per chi si ammala.

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Nonostante una serie di escamotage legali per far scattare la prescrizione delle singole azioni portate avanti da individui con malattie imputabili all’inquinamento, Robert, pur provato da venti anni di ricerche, tribunali e archivi, decide di difendere caso per caso il risarcimento delle persone coinvolte, tanto da ottenere in poco tempo una resa della DuPont costatale 671 milioni di dollari.

Prendendo spunto da un articolo del New York Times del 2017, The lawyer who becames DuPont’s worst nightmare, Todd Hynes dirige la storia del più grande scandalo epidemiologico causato da inquinamento idrico mai avvenuto su suolo americano.

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La sua cronaca elegante viaggia tra narrazione civile, impegno ed inchiesta, sulla scia di film fortunati come Erin Brokovich, che sempre di acque contaminate trattava, ma di cui non ricalca la centralità strutturale del personaggio, Grazie a Dio, da cui trae l’insistenza sullo studio e la ricostruzione di testimonianze umane e documentali, ma soprattutto Il caso Spotlight, alla cui cifra di ligio resoconto si avvicina di più, e da cui eredita il protagonista, Ruffalo, piegato ma non spezzato nei panni dell’avvocato protagonista, qui anche in veste di produttore oltre che interprete, sintomo di un certo attaccamento e di una particolare ispirazione che spingono questo attore verso l’impegno cinematografico nel civile.

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Il risultato è un epopea color notte, di un turchese tossico, come le acque avvelenate da scansionare e neutralizzare, che invade cielo, terra, volti e spazi, nell’affascinante fotografia del mitico Edward Lachman, già maestro in diverse opere precedenti di Hynes, da Carol, a Io non sono qui, passando per Far from Heaven e la serie Mildred Pierce, con cui il regista disegna un sodalizio estetico ed artistico, che qui giova ad aumentare la distorsione macabra della realtà giudiziaria e la premonizione terribile delle conseguenze  con cui l’acqua violata si rifà sul corpo umano.

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Poca vicenda si svolge nei tribunali e molta tra le interminabili quantità di carte da studiare e all’interno dei rapporti con gli altri membri dello studio, primo fra tutti il presidente Tom Terp (Tim Robbins) e con la moglie, Sarah Billot, interpretata da Anne Hathaway, madre dei loro tre bambini, che si vede rapito il marito da un impegno sovraumano, che lo consuma, lo trascina, lo impoverisce, lo destabilizza, non gli dà tregua come il peggiore dei demoni interiori, mentre lei, ex avvocato lavorista, sopporta il carico di tensione e l’inquietudine crescente che, assieme alla fatica palpabile, si accumula nel film.

E’ un’odissea legale, che ha dalla sua puntualità e classe, probabilmente troppo lunga, meritoriamente poco spettacolarizzata, eccezion fatta per alcuni sprazzi un po’ carichi che rimandano comunque ad un’idea di mondo controllato, inerme e beffato da chi rincorre il denaro.

Dark waters - Acque sporche

Intatte e lampanti le contraddizioni di chi denuncia per il bene proprio ed altrui e di chi prima lo appoggia, ma, nel tempo, si sfianca, perde fiducia o addirittura incolpa la voce giustamente accusatoria per aver stravolto una situazione nociva, ma comoda. Così accade a Tennant, o ad un’altra coppia locale che per prima testimonia contro la DuPont, colpevoli di aver tolto lavoro ad un’intera comunità, che si è vista privare della sede aziendale omonima quale principale polo lavorativo per intere famiglie.

Tim Robbins stars as “Tom Terp” in director Todd Haynes’ DARK WATERS, a Focus Features release. Credit : Mary Cybulski

La giustizia non ha i tempi o gli interessi del benessere umano: così la commissione medica che dovrebbe tutelare il futuro di potenziali ammalati impiega quattro anni per giungere ad un rapporto scientifico sostenibile; anni che nel frattempo hanno distrutto vite, famiglie, economie, rendendo Robert un eroe cattivo, un buono non riuscito, un fallito rivoluzionario, motivo da cui la stessa moglie, in seguito ad un attacco ischemico dovuto a stress del marito, lo protegge ad alta voce di fronte al formale dispiacimento del presidente Trep.

Dark waters - Acque sporche

La giustizia inoltre costa cara: sembrano rimetterci non solo le persone supposte vittime, ma anche chi inizia le crociate, che, spesso, soprattutto se lunghe, iniziano sotto ottimi auspici e in forza di molti partecipanti, e terminano molto meno trionfalmente e in ostinata solitaria.

E’ comunque stata la causa della vita per Bilott, passato alla storia per aver scoperchiato un business vigliacco ai danni della salute pubblica di cui potenzialmente il 99% della popolazione mondiale si stima possa essere stato coinvolto; né è conosciuto rimedio poiché dell’annoso teflon, messo ormai fuori commercio, si sa che permane nell’organismo umano senza possibilità di smaltimento, esattamente come nelle Cattive acque cui si riferisce il titolo.

Dunque il capitale, prima dell’interesse individuale, l’industria omertosa ed ignorante, la paura invisibile sotto la superficie dell’acqua schiumosa, l’autorità colposamente o dolosamente assente e connivente, la salute come merce da comprare, la burocrazia come ostacolo costante all’ottenimento del giusto, la solitudine a volte disperata di chi non si arrende: panorama eclatante e significativo di uno stato contemporaneo come quello statunitense, che in questi tempi incerti e complicati, risulta ancora più attuale.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

La storia vera di Robert Billot: da avvocato difensore dei colossi dell'industria chimica a loro strenuo accusatore nella nota ventennale causa contro il gigante DuPont, accusato di smaltire illecitamente sostanze gravemente nocive tra cui il PCOA, il famoso cancerogeno teflon. Narrazione civile e legal drama in un'epopea giudiziaria color notte, elegante, inquietante ed autentica. Il business sulla salute pubblica non smette di impressionare.
Pyndaro
Pyndaro
Cosa so fare: osservare, immaginare, collegare, girare l’angolo  Cosa non so fare: smettere di scrivere  Cosa mangio: interpunzioni e tutta l’arte in genere  Cosa amo: i quadri che non cerchiano, e viceversa.  Cosa penso: il cinema gioca con le immagini; io con le parole. Dovevamo incontrarci prima o poi.

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