Cold War è un film del 2018, scritto e diretto dal cineasta polacco Pawel Pawlikowski. Film vincitore a Cannes del Prix de la mise en scène, e candidato agli Oscar nella categoria Miglior film in lingua straniera, oltre a Miglior regia e Miglior fotografia (curata da Lukasz Zal, già direttore di Ida dello stesso Pawlikowski e di Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman).
Cold War, trama
Cold War si sviluppa in un lasso di tempo esteso: dal 1949 al 1964.
I protagonisti sono il pianista ed etnomusicologo Wiktor Warski (Tomas Kot) e la giovane Zula Lichón (Joanna Kulig): lui, insieme ad altri professionisti del settore, è incaricato dal governo di formare un gruppo di canto e danza popolare polacca.
La ragazza fin dalle audizioni colpisce Wiktor: oltre che da un vero talento, Zula è caratterizzata da una personalità prorompente, seppur estremamente enigmatica.
Il gruppo, chiamato Mazurek, inizia a girovagare in più città del blocco sovietico ed ottiene un successo piuttosto discreto. Quando la compagnia si trova a Berlino Est per un’importante esibizione, Wiktor propone a Zula di oltrepassare clandestinamente il muro e recarsi dunque insieme nel blocco occidentale: tra i due infatti è iniziata una complessa relazione amorosa.
Zula però non vuole abbandonare la Polonia ed i due si separano.
Cold War- Al di là del muro
Alcuni anni dopo i due si ritrovano a Parigi, dove Wiktor suona in un complesso jazz, Zula invece è in tournée con la Mazurek: inizia così un continuo perdersi e ritrovarsi.
Questa sorta di “danza sentimentale” tra i due cessa solo quando Zula arriva nel 1957 legalmente a Parigi, dopo aver sposato, con rito solo civile, un italiano.
Inizia dunque un periodo in cui Wiktor e Zula vivono insieme nella capitale francese, lei diviene una cantante jazz ma qualcosa non quadra: Zula non si adatta alla vita occidentale in un Paese lontano dal proprio e dopo l’ennesimo litigio con Wiktor decide di tornare in patria.
Wiktor la segue e torna in Polonia, non da cittadino ma da prigioniero (in quanto evaso alcuni anni prima): è destinato a 15 anni di carcere.
Zula, che nel frattempo ha sposato un amministratore della Mazurek vicino al governo polacco, aiuta Wiktor ad ottenere uno sconto di pena ed uscire in anticipo dal carcere.
È però un uomo finito, non solo mentalmente ma anche fisicamente: gli sono state spezzate perfino alcune falangi delle dita, connessione con il pianoforte e dunque con la musica e con la vita stessa.
Anche Zula è profondamente depressa: ormai distrutti e rassegnati all’infelicità, i due decidono di sposarsi nelle rovine di una chiesa nella campagna polacca e poi assumono una quantità di pillole che gli sarà letale.
Recensione- La scrittura musicale metafora della vita
Cold War è un film basato in gran parte sul suono, sulla musica. Non vi è mai silenzio tranne che nell’ultima scena: questo avviene perché il silenzio è morte, mentre la musica è vita.
La musica che esprime sentimento però non è mai quella imposta dal regime socialista, quindi quella collettiva, ma quella del singolo (in particolare i brani jazz e la canzone Dwa serduszka).
Quest’ultima canzone infatti raggiunge il culmine emotivo proprio quando trasposta nella versione jazz del brano: a cantare è Zula, al piano Wiktor.
Il brano sarà in un certo senso l’unico figlio della loro relazione, che non arriverà ad un vero coronamento tranne che nel tragico epilogo.
Il locale in cui la coppia si esibisce, accompagnata da un quintetto jazz, si chiama L’eclipse: il nome è una metafora non solo del rapporto costruens/ destruens della coppia ma anche della stessa immagine, caratterizzata da uno stupendo bianco e nero.
Un capolavoro dai forti contrasti
È un film di grandi contrasti: colpisce infatti, oltre ai binomi già citati, la presenza di scene molto piene, costellate di personaggi, spesso simmetriche e ritmate, alternate a scene più intime, più lente.
È interessante come questo aspetto sia spesso evidenziato anche dalla distanza dell’obiettivo dai personaggi: nelle scene più “vuote” dal punto di vista emotivo infatti la macchina da presa si allontana, quasi creando uno spazio di disagio, di malessere.
La solitudine è uno dei sentimenti dominanti del film, che emerge in tutte le scene, perfino in alcuni momenti in cui la coppia vive insieme il tormentato rapporto.
Anche gli ambienti sono molto diversi e contrastati, tra loro ed in sé, dalla nevosa Polonia di inizio film alla chiesa senza il tetto nel finale, passando per Berlino (città spaccata in due dal muro) e Parigi, di una bellezza disarmante ma altrettanto inospitale per Zula.
Cold War è un film crudo, perché rappresenta in maniera molto delineata l’irrazionalità dei sentimenti e l’impotenza umana dinnanzi ad essi; porta inoltre sullo schermo i condizionamenti che il potere politico e i luoghi geografici hanno sulla vita umana.
Perchè Cold War è in bianco e nero?
Il colore avrebbe tolto qualcosa a questa pellicola, il bianco e nero infatti riduce ai minimi termini la messinscena, portandola su un piano estremamente intimo, scavando fino all’essenza delle cose: l’immagine ha infatti meno grigi rispetto a Ida dello stesso Pawlikowski, ed è più contrastata così come lo è la storia raccontata.
Bianca e nera è la tastiera del pianoforte ed anche la pagina musicale: note sul pentagramma, come eventi ed emozioni nel tempo della vita umana, donano un ritmo ora lento, ora nevrotico al film.
Dal pianissimo al fortissimo, il rapporto tra Wiktor e Zula è un elastico, ma anche e soprattutto una composizione musicale che scuote chi ascolta (ed in questo caso guarda): è quasi un melodramma in una prospettiva wagneriana.
Non c’è gradualità in Cold War, ma solo Eros e Thanatos, Amore e Morte infatti permeano il triste ma inevitabile epilogo: in un’unica parola Liebestod, con riferimento a Tristano e Isotta.
Cold War, spiegazione del finale
Dopo le numerose fughe, gli innumerevoli allontanamenti ed i conseguenti riavvicinamenti Wiktor e Zula si arrendono al destino.
Soccombono alla storia, stanchi di lottare, sono in fondo due apoliti, profondamente innamorati l’uno dell’altra.
Vivono fin da subito la storia in maniera differente, in correlazione al proprio carattere, ma arrivino entrambi alla stessa conclusione.
I due scelgono infatti di suicidarsi in uno dei pochi momenti di tregua e di accordo: vorrebbero andare via ma il mondo terreno è un luogo troppo inospitale.
Scelgono dunque il suicidio come farebbero alcuni soldati destinati a morte certa.
Cold War è sì la guerra fredda, ma è anche la guerra del cuore, o meglio di due cuori, dwa serduszka.
“Andiamo dall’altra parte, la vista è migliore da lì” è l’ultima frase del film, pronunciata nel silenzio, la pellicola però si chiude con la musica.
Stavolta non è musica popolare, né tantomeno jazz, è Bach: Wiktor e Zula sono dall’altra parte del muro.