Cobra Kai 5 è la novità Netflix di questo mese. Da un certo punto di vista si può dire che la quinta stagione abbia inaugurato una sorta di nuova era. Tra conferme e nuovi spunti, questo quinto appuntamento è diverso dai precedenti (nel bene e nel male). Quello che è certo è che ci si trova decisamente a fronteggiare un prodotto commerciale che ha perso il tocco del passato; quel sapore di retrò che donava alla serie un impianto emotivo ineguagliabile.
C’ stato un cambio di passo netto: Cobra Kai 5 non è più una web serie, ma un prodotto di punta di Netflix che, a ben vedere, punta sempre a diluire il brodo per metterlo a tavola una volta in più. In passato, quando le gesta dei sensei più amati di All Valley erano affidate a You Tube Red, Cobra Kai manteneva un registro amatoriale evidente ma quella purezza conferiva al tutto un tono comunque elevatissimo. Era quello che era, senza trucco e senza inganno: la ruvidità era un punto di forza, non una debolezza.
Così come il karate proposto da Terry Silver ha una natura piuttosto commerciale e svende il messaggio filosofico di base per una riuscita socioeconomica apprezzabile, anche la stessa Cobra Kai ha ceduto il passo al dominio dello streaming. Si vuole tutto e lo si vuole subito, ma a caro prezzo. Soprattutto, nel mondo cine-audiovisivo, il rapporto con la fine è difficilissimo da affrontare, figuriamoci da digerire.
Cobra Kai 5 si inserisce nel novero di prodotti tirati per le lunghe e portati a conseguenze un po’ troppo estreme (dove per estreme si intende ridicole). Piange il cuore, infatti, ad affibbiare la parola “ridicolo” a una serie che di per sé vive di uno splendore unico e di una magnificenza più che meritata, ma se vedere Johnny Lawrence perdere il ruolo da protagonista faceva scendere una lacrimuccia, le varie uscite pseudo comiche di Chozen portano lo spettatore a implorare la fine del franchise.
C’è chi vorrebbe vederne almeno altre venti di stagioni di Cobra Kai e concettualmente è un principio condivisibile ma è pur vero che in questo caso il prodotto ha cambiato faccia e sta cercando, volta per volta, nuovi escamotage che, come in tutte le cose, portano necessariamente allo scadimento generale. Forse, dunque, paventare uno stop di Cobra Kai è anche una considerazione che si fa per il bene stesso della serie (vederla finire come Elite potrebbe essere un colpo al cuore dal quale non ci si potrebbe riprendere più).
In questa fase la parola che dovrebbe essere più adoperata per riuscire a descrivere al meglio la natura di questa quinta stagione è “commerciale”. Netflix stavolta ha mostrato il suo lato (c’è da dirlo) meno artistico, puntando invece sul celebrare ancora una volta la grandezza del marchio.
Quasi verrebbe da dire che Cobra Kai 5 testimonia le manie di grandezza del colosso streaming che ha messo in essere una strategia quasi disneiana. La considerazione è grossa da fare ma ha una spiegazione. Si è parlato, in occasione di Stranger Things 4, di una serie di riferimenti ai vari prodotti dell’universo di Netflix. Anche qui vi è un’immagine ricorrente e assunta come immagine strategica del sostanziale collegamento tra le varie serie tv a disposizione sulla piattaforma.
Chiamiamolo semplice “omaggio” ma di fondo, quando si assiste alla partita di Pastinaca a D&D, altro non può venire in mente che l’epica partita che i giovani di Hawkins hanno affrontato nella quarta stagione di Stranger Things. Sembra quasi un easter egg piantato a forza per avere un indotto mediatico simile a quando la Disney piazza sapientemente, all’interno dei suoi film, dei piccoli dettagli a collegamento con le altre pellicole.
Che Netflix si stia troppo specchiando su sé stessa è chiaro e Cobra Kai 5 ne è una prova indubbia. Lo sfarzo di Terry Silver indica che il futuro è vicino ma anche lo scadimento. La lotta tra bene e male è sempre presente ma da protagonista si sposta sullo sfondo. Rimane un maldestro tentativo di puntare sui singoli personaggi che sembrano non avere più niente da dire, o meglio, non sembrano evolvere più. Alcuni sono palesemente l’ombra di loro stessi, tuttavia, la visione è sempre piacevole per chi non si è mai allontanato dal karate più famoso del web.
Piacevole il ritorno di Mike Barnes che tuttavia non aggiunge nulla; le royal rumble in stile Avengers sono solo un altro tassello dell’impoverimento emotivo che aleggia sullo sfondo. Nonostante ciò, rimane impossibile non rimanere legati a figure che hanno strutturato un micro-universo ormai molto famoso e che, a conferma delle stesse previsioni dei produttori, avrà delle conseguenze folli.
Si vedrà cosa comporterà l’evasione di Kreese che, se da un lato è essa stessa un’evoluzione narrativa smodata, preoccupa i fan in fatto di contenuti. Lui e il suo ex migliore amico (Silver) si danno il cambio in quello che potrebbe essere un avvicendamento malsano per la spinta evolutiva della narrazione. Forse occorre dimenticare il passato e scindere la natura di Cobra Kai in due fasi ben distinte. Che piaccia più la prima o la seconda è certo che: Cobra Kai non finisce mai.