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Cloverfield: la recensione del film di Matt Reeves

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Nel 2008 usciva al cinema Cloverfield, film di Matt Reeves, il quale avrebbe dato vita ad un franchise che ha saputo raccogliere intorno a sé un discreto numero di appassionati. Merito di questo successo è (anche) della peculiare campagna marketing, che ne ha fatto una proprietà intellettuale che va ben oltre i confini della pellicola, ad esempio con la creazione di siti internet dedicati che trattavano gli eventi raccontati nel film come se fossero realmente accaduti.

Cloverfield: la recensione del film di Matt Reeves

Cloverfield infatti, sin dalle prime inquadrature, si pone come resoconto di eventi realmente accaduti: ad aprire il film è una didascalia che annuncia che ciò che stiamo per vedere è stato ricavato da una videocamera ritrovata tra le macerie di quella che una volta era Manhattan. Per gli appassionati non è una scoperta, ma Cloverfield è a tutti gli effetti un mockumentary, vale a dire un falso documentario, genere che con l’horror si è incontrato più volte – il caso più famoso è The Blair Witch Project (1999). Vale a dire che il punto di vista sul film è quello di una videocamera, che si muove sulla scena trasportata dai personaggi. Non c’è un’entità esterna a raccontarci la storia, né assistiamo agli eventi dagli occhi di uno dei protagonisti – per quanto il punto di vista della telecamera e quello del personaggio possano essere simili, non potranno mai coincidere del tutto.

Da un lato questa scelta stilistica contribuisce a veicolare la paura efficacemente: il trovarci in compagnia dei protagonisti, ci porta a provare lo stesso terrore che provano loro, la stessa adrenalina nelle numerose fughe nonché lo stesso raccapriccio per le situazioni che devono affrontare. In questo film la paura arriva direttamente, senza filtri, l’inquietudine non è costruita progressivamente. Cloverfield non è un film che crea l’orrore tramite l’atmosfera, ma tramite immagini che per la loro composizione non possono che spaventare. L’orrore viene veicolato nel modo forse più immediato, cioè facendocelo vivere con i protagonisti. Noi siamo lì con loro, viviamo quello che vivono loro – o quasi, dal momento che, come già detto, noi siamo la videocamera.

Cloverfield: la recensione del film di Matt Reeves

D’altra parte, in questo film convive un’altra dimensione, quella più cinematografica, che in molti punti prende il sopravvento su quella orrorifica. La spettacolarità dell’opera è enunciata già dall’idea alla base del film – una gigantesca creatura aliena compare a Manhattan e comincia a seminare il panico -, spettacolarità a cui una messa in scena fortemente evocativa saprebbe rendere giustizia. Ci si aspetterebbe quindi campi lunghi e totali, voli d’uccello sui palazzi a raccontare la distruzione di New York. Invece no. Tutto quello che succede nel film è raccontato da un punto di vista limitato, fortemente compromesso. Eppure questo punto di vista si rivela la carta vincente.

Nel corso della sua carriera Matt Reeves ha dimostrato di saper raccontare con la regia immagini spettacolari – vedremo se sarà così anche con il suo prossimo progetto, il reboot sul vigilante di Gotham, The Batman – e in Cloverfield le immagini di una New York distrutta e avvolta dalle fiamme sono ancora più suggestive, perché noi vi ci troviamo immersi, giriamo insieme ai protagonisti per le strade in cui si combatte, ci arrampichiamo in cima a palazzi sul punto di crollare e osserviamo insieme a loro la devastazione portata dalla creatura aliena. È forse questo che rimane più impresso del film, ancora più della paura: la ricerca della spettacolarità cinematografica attraverso un punto di vista inedito, che esalta ancora di più quella spettacolarità perché noi non vi assistiamo da lontano, ma ne siamo immersi, il che ci dà la sensazione di essere veramente per le strade di una New York sotto attacco.

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Se quindi Cloverfield si pone come un film dall’impianto realistico, il più realistico che ci sia, è anche vero che le dinamiche tra i personaggi fanno venire meno parte di quel realismo. Chiaramente è difficile prevedere le reazioni di un essere umano difronte ad una catastrofe come quella raccontata nel film, tuttavia alcune scelte narrative e determinate decisioni prese dai personaggi contribuiscono ad affossare l’impressione di veridicità che la scelta del mockumentary dovrebbe determinare. La scelta di una rappresentazione estremamente realistica avrebbe pagato ancora di più se anche la scrittura dei personaggi avesse seguito la strada di un maggiore realismo. Così rimane il sapore di un potenziale non sfruttato fino in fondo. A fronte di una messinscena visivamente eccezionale, una scrittura più curata avrebbe forse reso Cloverfield un film migliore.

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PANORAMICA

regia
soggetto e sceneggiatura
interpretazioni
emozioni

SOMMARIO

Cloverfield di Matt Reeves è un film che fa della spettacolarità il suo punto di forza, ma sacrifica del potenziale in favore di una scrittura dei personaggi spesso troppo irrealistica.
Redazione
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