Ci sono uomini che abitano il mondo, uomini che lo amano, e uomini che lo dominano. Il primo caso riguarda tutti. Il secondo, molti meno. Il terzo, pochissimi. American Gangster, prodotto nel 2007 dalla sapiente cinepresa di Ridley Scott, racconta la storia di due uomini che il loro mondo l’hanno dominato davvero, mutandone la faccia, e lo sviluppo.
Sono Frank Lucas e Richie Roberts. Criminale, detective. Metronomico, ossessivo. Nero, bianco. Un racconto fatto di violenza, di piani freddi come la morte e di famiglie. Di corruzione dilagante che come un tumore corrode le viscere. Indossate il cappotto, signori. A New York sta per fare molto freddo.
Frank Lucas è l’autista di Bumpy Johnson. Bumpy è un uomo del passato. Un eroe della sua gente, generoso, amato e protetto. Distribuisce tacchini nel giorno del ringraziamento e impone la pace. Ma è soprattutto un criminale, che controlla Harlem da quarant’anni. Il passato però sta per finire. Siamo nel 1968. La guerra in Vietnam sta dilaniando l’America. Le certezze sembrano sgretolarsi ogni giorno di più. Quando Bumpy Johnson muore, Harlem scopre che dietro l’ombra del vecchio si nascondono lupi piccoli e spericolati, pronti a scannarsi per prendere il potere.
Frank Lucas non è un lupo. È freddo come il marmo. Calcola persino l’aria che respira. E impiega poco per scoprire che la droga che inonda le strade di New York è soltanto spazzatura. Tagliata, mischiata. Ogni grammo vale la metà. E quella metà, metà ancora. Frank, vissuto da sempre a contatto con Bumpy, sceglie di intervenire. Capisce di dover creare un marchio. Un prodotto ineccepibile che sventri il mercato facendolo suo. Sale su un aereo. Destinazione Thailandia, Triangolo d’Oro. Frank Lucas per la prima volta vola. Resterà in alto molto tempo.
Dall’altra parte di New York, Richie Roberts siede in auto con un collega. Fumano come due ciminiere, e d’altronde non potrebbero fare diversamente. L’ansia è alle stelle. La tensione, pure. Davanti a loro, un’auto piena di soldi, piena fino ad esplodere. Un milione di dollari, non segnati. Basterebbe prenderli, e fuggire. Nessuno li rintraccerebbe, nessuno lo saprebbe. Il collega sbotta, trema come un bambino. Ma Richie no. Sa che quella potrebbe essere la fine della sua carriera in polizia. Gli incorruttibili non piacciono a nessuno, soprattutto ai corrotti. E la polizia di New York è piena di corrotti. Ma è così che devono andare le cose.
Richie consegna i soldi. Non prende nulla. Gli sguardi dei colleghi lo marchiano a morte. La moglie, a cui non è mai riuscito a consegnare una vita decente, lo abbandona portandosi via il figlio. Richie è solo, ma ha un lavoro da fare. Quel lavoro è scoprire da dove provenga la Blue Magic. L’eroina purissima che sta affogando il mercato di New York. Il suo obiettivo si chiama Frank Lucas, ma questo Richie ancora non lo sa.
American Gangster è una storia di crimine, ma non di spettacolo. A differenza di pellicole più recenti dove ad ogni fotogramma corrisponde un cadavere, qui le scene sono più ragionate. Frank Lucas conosce le regole di Bumpy, ed uccide solo quando è necessario. Questo conferisce all’opera un aspetto più maturo, che incide in maniera pesante sul contesto generale.
La trama è ben elaborata, attenta a spiegare sia la parabola sorprendente del criminale afroamericano, sia la complessa vicenda personale di Richie Roberts. Nonostante la bilancia penda verso il personaggio interpretato da Denzel Washington, risulterà difficile ignorare il rigido ed affascinante dogmatismo del detective.
La pellicola tratta i suoi personaggi principali come due belve guardinghe, intente ad annusarsi poco prima di attaccare. Ognuno rappresenta un mondo che, a suo modo, non esiste più. Frank Lucas non ha scrupoli, ma vuole l’ordine. Richie Roberts di scrupoli ne ha eccome, ma dietro quelli non resta più nulla. Il viaggio psicologico che Ridley Scott regala agli spettatori merita tutte le nostre lodi. Ma non sarà solo.
Il ritmo, più lento rispetto al solito, dispensa ugualmente del grandissimo intrattenimento, ma non temete. L’azione, a lungo assaggiata ed intravista soltanto di sfuggita, esploderà nel finale, regalando alla tensione accumulata uno sfogo pregno di soddisfazione. Mancano forse dei comprimari all’altezza, ma in fondo con due colossi a guidare gli eserciti, i sottoposti non possono fare altro che restare nell’ombra.
È per questo che, forse, oltre a Lucas e Roberts dobbiamo menzionare altre due avvenenti protagoniste di American Gangster. Una è la droga. L’eroina marchiata col nome di Blue Magic. Attorno ad essa ruoterà tutto, persino il conflitto devastante che gli Stati Uniti portano avanti in Vietnam. L’altra è New York, fredda, splendida e distaccata come non mai. Fatta di nevicate e di strade consumate dalla nebbia. Esaltata da una fotografia che ne mette in luce ogni sfumatura.
In questo setting, Ridley Scott assegna un posto ad ogni elemento. Il concetto di famiglia, per esempio. Frank Lucas coltiva ogni singolo rapporto, compra una villa in cui vivere con tutti i suoi parenti. Vuole la madre accanto, tiene alla moglie, aiuta i cugini. Richie invece perderà la moglie molto presto, va al letto con l’avvocato che dovrebbe difenderlo e sembra quasi non avere amici. In questo senso manca un appiglio che colleghi il detective al figlioletto tanto discusso. Nonostante vada in tribunale pur di difendere il diritto di vederlo, la pellicola non mostra quasi mai un vero rapporto tra i due.
American Gangster è un’opera magistrale, che riesce ad essere coinvolgente, sofferta e mai scontata, pur narrando una storia che tutti abbiamo sentito, in un modo o nell’altro. Quella del narcotraffico. Tratta di onore, di etica e di iniziativa, ma non lo fa vestendosi bene o tirandosi indietro i capelli. Lo fa lavorando duro, come Frank Lucas, e colpendo a ripetizione, senza mai arretrare, come Richie Roberts.
Se volete cadaveri, mitragliette sguainate e macchine veloci, cercate altrove. Basterà soltanto chiudere gli occhi e puntare il dito.
Voto Autore: [usr 4,0]