Cos’hanno in comune un gatto rosso dall’aspetto quieto ed un giovane senzatetto tossicodipendente che non riesce a mettere assieme il pranzo con la cena? Beh, semplice. Una vita intera. Ed un libro, venduto come il pane, chiamato A Spasso con Bob.
Ogni tanto, in quella vasta giungla dal sapore umido che chiamiamo vita, spuntano storie di una bellezza a tratti disarmante. La società moderna, devastata dalla crisi, sembra ormai persino abituata al suono distinto di ogni mattone che crolla dal muro. In un mondo sempre più alienato e alienante, sono dunque le storie a fungere da antidoto. Tanti piccoli frammenti che invece di perdersi formano l’argine. Ecco. Quella di James Bowen e del suo gatto Bob è proprio il tipo di storia che fa al caso nostro. Copritevi bene, signori. Londra, stavolta, potrebbe essere molto fredda.
James Bowen, ancora una volta, sente di aver fallito. I suoi vestiti sono vecchi, inadatti e, soprattutto, sempre gli stessi. L’unica cosa che porta con sé è una chitarra malandata che suona ancora. Non è un orpello, quello strumento, anzi. James suona bene, ci sa fare, ma il problema vero è che quando ha fame quel pezzo di legno non serve a nulla.
Il suo lavoro è mendicare. Chiedere soldi, cibo. Rovistare tra i cassonetti in cerca di qualcosa. Qualche volta è fortunato. Altre volte molto meno. La droga lo ha distrutto, dilapidato i suoi risparmi, annebbiato la mente fino a stroncarla. Tutti gli hanno voltato le spalle. Persino suo padre, quando passa con la giacca imbottita nel ventre gelido di Londra, vorrebbe nascondersi e fuggire, pur di non vedere suo figlio ridotto in quello stato.
Cos’è che salva James? Chi è che afferra la sua vita tenendola in piedi un attimo prima che stramazzi al suolo? Esatto, proprio quel gatto rosso dall’aspetto quieto. Un felino destinato a diventare famoso in tutto il mondo, addirittura più del suo fortunatissimo padrone.
A Spasso con Bob è un film che punta tutto sulle emozioni. La storia di James e Bob, infatti, sorregge di per sé l’intero impianto narrativo, facendo volentieri a meno di qualunque forzosa sceneggiatura. A prima vista, l’opera sembra raccontare una sorta di parabola epica. James, prima della redenzione, deve precipitare più in basso possibile.
La primissima parte del film, infatti, risulta priva di qualsivoglia umanità. I personaggi che appaiono a schermo sono oscuri, ombrosi, del tutto indifferenti alla tragedia quotidiana vissuta dal protagonista. Lo stesso James, interpretato da un ottimo Luke Treadaway, trasmette ogni tipo di emozione negativa. L’odio per sé stesso, la frustrazione, debolezza e disperazione. Dall’incontro con Bob, invece, la piega cambia, virando verso una sorta di scalata ineluttabile verso il paradiso.
A livello narrativo, dunque, il coinvolgimento è praticamente garantito. Il gatto Bob, interpretato nientemeno che da sé stesso, si rivelerà un compagno fondamentale tanto per il protagonista quanto per gli spettatori. In buona sostanza, dal momento della sua comparsa in poi, l’intera pellicola non riuscirà più a fare a meno di lui. E noi, nemmeno.
In virtù di questo elemento, l’attenzione sarà tenuta sempre molto alta. Il complesso percorso di riabilitazione di James saprà regalare attimi di bellissima empatia, unita al costante effetto benefico che Bob susciterà nel volto dei tanti passanti. Il tutto, ovviamente, amplificato dalla veridicità assoluta della storia in questione.
Se l’interpretazione dei protagonisti, Bob compreso, si rivela sempre ottima, quella dei comprimari sembra invece meno spontanea ed azzeccata. Il padre di James, per esempio, nonostante le ottime premesse contestuali, non riesce a trasmettere davvero tutto il necessario. Discorso simile per Ruta Gedmintas. La sua Elizabeth, infatti, non va molto oltre lo svolgimento del proprio compitino.
Più convincente è invece Val, la dottoressa interpretata da Joanne Froggatt, un po’ mamma affettuosa, un po’ professoressa severa. A brillare più di tutti è comunque il protagonista, che mette in scena una fragilità davvero rara a trovarsi, unita alla costante sensazione di faticoso cammino prossimo alla fine.
A livello puramente cinematografico, A Spasso con Bob ne esce senza infamia e senza lode. Le inquadrature sono essenziali, divertendo talvolta grazie al punto di vista di Bob che ogni tanto fa capolino durante le scene. La fotografia sorprende per una rappresentazione atipica di Londra, fredda, povera ed a tratti sprezzante, ma lo fa in maniera brusca e piuttosto scolastica.
Il ritmo è piacevole, in particolare dopo il superamento della fase iniziale, più pesante e difficile da digerire per troppo tempo. Discorso analogo anche per la colonna sonora, molto elementare ed ordinaria. Manca forse un pezzo davvero iconico, che leghi indissolubilmente le proprie note alle immagini della pellicola.