Hanno indossato maschere e calzamaglia ma abbiamo continuato a considerarli irresistibili. Hanno invaso, occupato, soggiogato il grande schermo tanto da divenirne sovrani incontrastati, ma non ci siamo ancora decisi a disarcionarli dal trono. I supereroi preservano il loro fascino, mentre noi continuiamo ad accollarci giornate del tutto ordinarie, impegnandoci in missioni per nulla leggendarie armati di abilità dozzinali.
Viene naturale domandarsi se ad ammaliarci sia la loro straordinarietà o la nostra abituale convenzionalità ad annoiarci a morte, ma ciò che è certo è che fantasticare sulla nostra ipotetica invincibilità ci piace da impazzire. “Psycokinesis” è la solita storia eccezionale di un uomo banale e vigliacco che, baciato dalla sorte, non potrà esimersi dal salvare il mondo. Eppure quel mondo è solo un piccolo quartiere, e a ben guardare forse a metterlo in salvo nemmeno ci riesce. Nemmeno i suoi nemici sono veri mostri, nonostante le mostruose intenzioni; e il suo super-potere sembra più un trucchetto per apprendisti maghi di un triste teatro di provincia. “Psycokinesis” è forse la straordinaria storia di un uomo che supereroe non è?
Mentre cerchiamo insieme una risposta ricordate che creare un perfetto equilibrio tra tragedia, commedia e elementi fantasy in un film è quasi impossibile. Ma il regista sudcoreano Yeon Sang-ho ci è andato molto vicino.
Yeon ha trascorso gli ultimi anni nel tentativo di smaltire una colossale incazzatura nei confronti delle discriminazioni e delle ingiustizie sociali. Ci ha provato con squisiti cartoni animati indipendenti, prima con “The King of Pigs” prendendo a ceffoni bulli e prepotenze, poi con “The Fake” assestando qualche pugno sul fianco ai propositi manipolatori della religione. È arrivato al successo, quello meritato e inaspettato, con “Train to Busan”, prescrivendoci una soddisfacente abbuffata di orrore zombie e oscenità umane. Nel 2018 nelle sale cinematografiche coreane esce il suo super-hero movie “Psykochines”. Il film non trova distribuzione nelle sale internazionali, ma fortunatamente Netflix se lo mette in saccoccia regalandoci la possibilità di pescarlo con agile mossa nel suo sconfinato mare di titoli.
Yeon Sang-ho ci racconta di un triviale ladruncolo che bevendo acqua inquinata si trasforma in difensore del popolo lavoratore. Dovrà combattere il capitalismo, speculatore e violento, a colpi di psicocinesi. Non è difficile evincere che non sarà un’impresa facile mettere a tacere il sistema economico imperante mediante il fluttuare nell’aria degli oggetti, ma rendiamo grazie per il tentativo.
Seok-heon (Ryu Seung-ryong) lavora come addetto alla vigilanza. Vive dividendosi fra piccoli furti e cattive abitudini. Si appropria indebitamente persino della carta igienica, agguantata con fare furbesco sul luogo di lavoro, al fine di risparmiare qualche soldo per potersi godere le sue serate in compagnia di numerosi bicchieri di soju. Al nostro fallito eroe deve accadere urgentemente qualcosa. Ed ecco che bevendo da una sorgente di montagna acquisisce uno straordinario potere: scoprirà di poter spostare gli oggetti con la sola forza del pensiero. Potrebbe farci parecchi soldi con quel trucchetto. Forse ci sono nightclub pronti ad assumerlo per qualche spettacolo, probabilmente in molti pagherebbero fior fiore di quattrini per vederlo far gingilli in aria con qualche cianfrusaglia. Ma non c’è tempo per gli infimi sogni di gloria di un uomo dalla banale avidità. La figlia che ha abbandonato con indifferenza anni prima ha bisogno di aiuto.
Roo-mi (la deliziosa Shim Eun-kyung già formidabile protagonista della commedia sportiva “Queen of Walking”) è una giovane donna determinata e intraprendente. Insieme alla madre ha avviato un ristorante che si sta affermando nel quartiere grazie alla specialità della casa: uno squisito pollo fritto. Il locale è però finito nel mirino della Taesan, ricca azienda intenzionata a distruggere l’intero quartiere per costruire su quell’area un centro commerciale duty free per turisti cinesi. Durante un vile raid notturno contro i commercianti asserragliati al fine di impedire la demolizione, i brutti ceffi al servizio della meschina multinazionale uccidono la mamma di Roo-mi.
Per quanto la figlia si dimostri testarda e combattiva, quel potere paterno neo-appreso potrebbe essere la sola arma di cui dispongono. Così mentre padre e figlia tentano di ricucire faticosamente un rapporto, si ritroveranno uniti nella lotta per salvare il quartiere e il tempio del loro straordinario pollo fritto. Insieme in una rivoluzionaria resistenza contro imprenditori senza scrupoli, astuti come il demoniaco spirito del profitto.
“Psychokinesis” è una tenera farsa ispirata da un non-eroe che abita un mondo che non ha nessuna super-qualità, tanto che ci si domanda se valga la pena lottare per salvarlo. Yeon nutre con la medesima cura tutte le diverse anime che incontra in questa anomala narrazione: lo spettatore parteggia per i buoni sentimenti come in ogni melò che si rispetti, gode di ogni eccezionale balzo fra i palazzi del supereroe in questione, freme affinché i poteri forti siano messi alle strette e la giustizia possa trionfare, come in ogni dramma sociale degno di questo nome.
Ma Yeon Sang-ho non è un regista che prende le cose alla leggera: la sua si rivela essere un’incisiva critica al sistema economico capitalista dominante, che espropria, inganna e uccide, mettendo a libro paga decine di poliziotti in tenuta antisommossa, che, in nome di quello che credono un normale lavoro part time, sono pronti a brandire il manganello per assecondare gli interessi economici di lobby criminali.
“Psychokinesis” pur essendo un film con protagonista un supereroe, ma non è affatto un film da supereroi. In primo luogo perché Yeon sa che c’è qualcosa di intrinsecamente stupido in loro. Non perde mai occasione per mostrarci il lato improbabile dell’intera faccenda. Così vediamo il nostro ladruncolo giocare con il suo potere in modo del tutto infantile, o mostrare le sue abilità di telecinesi alla figlia nel tentativo di impressionarla, come farebbe un goffo pavone con la sua coloratissima ruota. Persino quando un non troppo sveglio agente di polizia vede i filmati del nostro telecinetico eroe impegnato a far fluttuare i bruti gangster in aria riesce a comprendere la natura soprannaturale dell’intera questione. Dopotutto una battaglia priva di armi e spogliata della sua carnale violenza può ritenersi tale?
Inoltre la nostra eroica faccenda non ha un super villain da prendere a calci, né super mentori che possono mostrare all’ignaro prode protagonista come usare i suoi poteri per rendere il mondo un posto migliore. Seok-heon dovrà cavarsela da solo, senza maestoso mantello o misteriosa maschera. Dovrà volare con il giubbino color kaki e sperare di non precipitare sull’asfalto di Seoul. Eppure le sue prodezze sul finale hanno tutto il sapore di uno spettacolo mozzafiato. Che sia la genitorialità la vera essenza della sua superpotenza?
“Psychokinesis” sa esaltare il lato goffo di ogni personaggio: ciò li rende forse un po’ stupidi e decisamente strambi, ma l’effetto è quello di creare un umorismo sincero, di pancia, che sa insperabilmente divertire.
Yeon è di quei registi che può giocare l’asso della demenzialità senza rischiare di perdere la partita, e al quale vogliamo perdonare il finale fin troppo buontempone. Il lato dissenato è difatti ben compensato dalle critiche ad un governo del tutto asservito alle logiche delle grandi lobby e ad un apparato di polizia facilmente corruttibile. La corruzione è il vero cuore di questa simulata super-hero comedy. Essa è talmente dilagante che Yeon non le contrappone alcuna figura istituzionale onesta. I poliziotti sono i degni eredi dei morti viventi di Train to Busan: zombie che picchiano con il loro bastone senza domandarsi chi stanno colpendo e perché.
Allo stesso tempo anche la resistenza della gente comune è macchiata da una certa dose di egoismo. Ciò a cui sono interessati è la salvaguardia della loro proprietà. Qualora fossero adeguatamente risarciti sarebbero ben disposti ad alzare le tende e lasciare che nel loro quartiere sia edificata un’altra area commerciale di cemento. Molti poi temono per la propria pellaccia e con fare piuttosto codardo avrebbero abbandonato la lotta da tempo, se non fosse per quella cocciuta di Roo-mi decisa a guidarli verso la rivolta.
E poi c’è Seok-heon, un difensore del popolo anomalo, accidentale, inconsapevole. Dapprima vorrebbe dissuadere la figlia dall’impavida azione di opposizione, poi decide di restare con il solo intento di difenderla. Nulla lo lega alle logiche di legittima resistenza di quartiere. Tutte le parti in gioco sembrano mosse da motivazioni personali, indipendenti dagli ideali di giustizia. In questo senso sono prodotti di quella corruzione sistemica che hanno imparato ad accettare, senza mai nemmeno provare a soverchiarla.
“Psychokinesis” è stato ispirato da un conflitto mortale tra manifestanti, in lotta contro la riqualificazione, e la polizia, avvenuto nel distretto di Yongsan -nel centro di Seoul- nel 2009. L’incidente ha lasciato morti cinque manifestanti e un agente di polizia. La scelta di portare sullo schermo una faccenda così drammatica con toni fantasy e ironici ha infastidito molti spettatori in Corea.
Eppure “Psychokinesis” mette in scena una storia molto più drammatica di quanto possa sembrare. Il film riscrive completamente la figura del “supereroe con grossi guai da risolvere”. La sua anomalia non sta unicamente nell’essere un uomo normale improvvisamente alle prese con un super potere da cui derivano grandi responsabilità, ma la sua stranezza è tutta nell’incapacità di esprimere un’idea forte di giustizia. Quella dipinta da Yeon è una società decaduta che non si desterà grazie ad un uomo eccezionale, né mediante un potere acquisito per una fortunata coincidenza. L’intervento di Seok-heon, per quanto stupefacente e prodigioso, può davvero dirsi risolutivo?
“Psychokinesis” è una soffice ciarlataneria che regala onesti effetti speciali di cui godere, avvalendosi di una storia dai risvolti ben poco edificanti. Yeon Song-ho insegna che è possibile condurre la rabbia per le ineguaglianze sociali fino ai confini della tenera commedia per famiglie, e che noi spettatori faremmo bene a controllare sotto ogni risvolto della narrazione prima di affermare che sotto il lenzuolo non si nascondo fantasmi.