I film che iniziano con qualcuno che si trasferisce in una nuova casa, solitamente finiscono sempre male. Ciò che accade nel mezzo può variare dallo straziante al noioso, dai fantasmi alle strane presenze di “The Haunting”, “Shining” o “Amityville Horror” ai flashback della guerra in Vietnam che affliggono il povero William Katt in “Chi è sepolto in quella casa?”. Tutti conoscono questo strano “esercizio”: una nuova dimora fa presagire il male. Panic Room diretto da David Fincher nel 2002 non è da meno. Un thriller di suspense con una tensione costante e claustrofobica che si apre esattamente con il trasferimento in una nuova casa.
Recentemente divorziata, Meg Altman (Jodie Foster) e sua figlia di 11 anni Sarah (Kristen Stewart) si sono appena trasferite in una cavernosa villa a più piani di New York. Il posto è pieno di ombre minacciose e pavimenti di legno duro, ma il suo aspetto di gran lunga più portentoso è il fatto che abbia una panic room, stanza del panico, installata dal precedente proprietario ricco e paranoico, considerata “il posto migliore dove trovarsi nelle peggiori delle ipotesi”. La stanza contiene monitor video che mostrano ogni angolo della casa, forniture di emergenza, un sistema di ventilazione, una linea telefonica separata e, soprattutto, una porta d’acciaio impenetrabile che si apre e si chiude molto rapidamente. Mentre una tempesta infuria durante le loro prime notti di soggiorno, tre ladri irrompono nella nuova casa credendo sia vuota. Uno di loro è un esperto di sicurezza nonché un buon padre di famiglia (Forest Whitaker), forse l’unico dei tre ad avere una coscienza. Il più giovane è un avido insider che ha coordinato il lavoro (Jared Leto), mentre l’altro si rivela essere semplicemente un pericoloso psicopatico (Dwight Yoakam). I tre ladri sostanzialmente cercano una fortuna nascosta dal precedente proprietario e, dopo molte discussioni, decidono di finire il loro lavoro, anche se Meg e Sarah si trovano nella casa. Pertanto quella famosa stanza diventa subito una necessità per le due protagoniste che si accorgono della presenza dei ladri. L’inconveniente è che il tesoro cercato dai tre uomini si trova proprio nella panic room e cercheranno in tutti i modi possibili di entrare.
Insieme ai diversi personaggi, uno dei protagonisti indiscussi del film è sicuramente la casa. Ed è una bella casa, veramente spettacolare con un design visivo sorprendente, composta da lunghi corridoi bui e scale che si sovrappongono l’una sull’altra, punteggiata da ombre cupe, porte che incombono in inquadrature dal basso, finestre che si affacciano sulla strada piovosa, e tutte quelle minacciose telecamere in ogni angolo. Dal momento in cui Meg e Sarah si sono trasferite, ci sono piccoli preziosi dettagli che lasciano presagire il peggio. Come assemblato sullo schermo dal regista David Fincher e dai suoi direttori della fotografia (Darius Khondji, che ha anche lavorato a “Seven“, e l’ingegnoso Conrad Hall), insieme allo scenografo Arthur Max, la casa è serena e strana allo stesso tempo. Sulla coda di “Fight Club”, Fincher usa molte delle stesse angolazioni della telecamera – il rapido zoom in avanti e attraverso la casa di arenaria per dare un’idea della sua immensità – che mostrano il “parco giochi” in cui devono correre questi ladri. Spazi frammentati e graziose inquadrature ci portano attraverso muri e pavimenti. Ad un certo punto, la telecamera percorre la cucina, ci porta sopra i banconi e, addirittura, attraverso la maniglia di una pentola. Una manovra acrobatica assolutamente stupefacente. L’organizzazione visiva di Panic Room è sicuramente precisa, sai sempre dove sono i personaggi in relazione alla casa e tra di loro, veniamo totalmente assorbiti nelle scene e per tutto il tempo travolti da un’ansia costante.
Panic Room imposta praticamente tutto ciò che devi sapere nei primi quindici minuti e dedica la maggior parte del film all’incubo psicologico che Meg e Sarah devono superare, con pochi preamboli sulle specifiche della loro situazione. Il film è stato criticato perché ha una sceneggiatura essenziale, ma cosa aggiungerebbe al film vedendo il marito di Meg tradire? Cosa si può guadagnare dal vedere il divorzio disordinato, la battaglia per l’affidamento e tutto il resto? Il film avrebbe lo stesso effetto se, a metà strada, la trama stesse ancora arrancando attraverso Meg che piangeva nella vasca da bagno? Panic Room è un thriller intenso che colpisce nel segno con sottili sfumature, molti colpi di scena e sorprese intelligenti. La storia è talmente tesa che la trama sembra sempre sul punto di interrompersi ed esplodere, ma la struttura d’acciaio del cast e del regista la tengono insieme mentre la tensione aumenta, a livelli sbalorditivi.