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My Name, la recensione

My Name è la serie TV action targata Netflix che narra di una ragazza solitaria che, dopo l’assassinio di suo padre, entra a far parte di un’organizzazione criminale per vendicarlo.

My Name, trama e cast della serie

La serie di 8 episodi di Kim Jin-min parla delle vicissitudini della protagonista, Yoon Ji-woo (inscenata da Han So-hee), che cerca di vendicare suo padre (interpretato da Yoon Kyung-ho) in un thriller poliziesco violento, carico di rabbia e azione. Il percorso della giovane protagonista però non sarà semplice e, nel mentre è impegnata in una lotta senza esclusione di colpi per trovare il responsabile della morte di suo padre, dovrà fare i conti con pericolosi criminali, il tutto anche condito di un incontro romantico (di cui non si parla per evitare spoiler).

Oltre ad Han So-hee e  Yoon Kyung-ho, recitano nella serie anche Park Hee-soon (Choi Moo-jin), Kim Sang-ho (Cha Gi-ho), Lee Hak-joo (Jung Tae-ju), Rich Ting (Choi Moo-jin) e Ahn Bo-Hyun (Jeon Pil-do).

My Name, la recensione

La serie coreana, nonostante i vari tentativi, non riesce a decollare, portata avanti da una regia che non porta una cifra stilistica al prodotto e da una scrittura che prende esempio da serie TV simili senza quasi dare un apporto significativo al risultato. Lo stesso si può dire per le interpretazioni che, per la maggior parte, non convincono lo spettatore.

My Name, una storia di solitudine

Jiwoo è una ragazza timida, introversa, che nel momento in cui è costretta a difendersi diventa una letale combattente. Subito si può notare la “doppia faccia” di una protagonista divisa tra la voglia di riscatto e l’esecuzione di ordini da parte di un’organizzazione criminale, di cui fa parte per riuscire a trovare il responsabile della morte di suo padre. Per raggiungere il suo obiettivo, Jiwoo si isola, nella sua casa senza quasi ricordi, e non lascia spazio a nessuno (quasi nessuno) per entrare nella propria quotidianità.

My Name

La narrazione inizialmente si sviluppa col mostrare Jiwoo da ragazzina, alle prese con compagne di scuola che la bullizzano e, tornata a casa, trascorre il proprio compleanno da sola. La sua unica compagnia è rappresentata da un’auto della polizia, che la sorveglia nel tragitto da scuola, essendo la figlia di un criminale. Un evento però la convincerà ad unirsi a una banda criminale.

Un unico obiettivo

Jiwoo decide fin da subito, per trovare chi ha distrutto suo padre, di entrare a contatto con la criminalità organizzata. Così chiede aiuto ad un uomo privo di scrupoli, un criminale a capo di un’organizzazione e, per ottenere supporto, accetta di entrare a far parte della polizia come talpa dell’organizzazione stessa.

Viene così invitata ad allenarsi, a prepararsi per la crudeltà che dovrà fronteggiare una volta che entrerà a far parte stabilmente di ambienti dove la legalità viene per niente rispettata. Dopo cinque anni di allenamento, la ragazza riesce a diventare poliziotta, in modo da poter indagare sulla morte di suo padre, ma non solo. Il criminale a capo dell’organizzazione la costringerà a passare informazioni sulle mosse della polizia, così da poter condurre i propri loschi traffici senza intromissioni.

Una ragazza forte alle prese con una serie di scelte

Han So-hee ha il compito di vestire i panni di una ragazza tanto forte quanto fragile, determinata a raggiungere il proprio obiettivo ma che, inevitabilmente, andrà incontro a scelte. Tra tutti gli spargimenti di sangue e le lotte, sembra si nasconda una ragazza in cerca di una forma di riscatto, e ciò si tradurrà in una parentesi che potrebbe forse definirsi romantica, ma che contribuisce in maniera significativa alla drammaticità della narrazione.

Jiwoo in My Name non esita a eliminare i nemici, però vorrebbe, probabilmente, trovare un po’ di tranquillità in tutta la spirale di violenza che caratterizza la maggior parte dell’intreccio narrativo. Il racconto però va incontro a stratagemmi che non premiano. La protagonista non troverà mai la tranquillità che cerca, e tornerà sulla pista disseminata di vittime per sua mano, seppur l’attimo prima, sembrava quasi stesse per fuggire da un ambiente dove sembra facile prevalere usando il pugno anziché le parole.

La scrittura della serie

Mentre la regia di Kim Jin-min cerca di inscenare al meglio i combattimenti della protagonista e le varie scene d’azione in cui viene coinvolta dal momento in cui entra a far parte della polizia, senza riuscirci, dall’altro lato è necessario soffermarsi sulla scrittura caratterizzante la serie TV Netflix.

Nonostante lo sforzo di Ba-da Kim di dare colpi di scena inaspettati e di descrivere i personaggi in maniera dettagliata, il risultato non viene raggiunto, finendo per ricalcare una serie di trovate e scene già viste in altre serie TV simili. My Name non riesce proprio a decollare, e l’aggiunta di nuovi antagonisti non supporta il prodotto come gli addetti ai lavori si aspettavano.

In conclusione

My Name non riesce ad esprimere fino in fondo le idee messe in campo, portando sullo schermo una serie di riempitivi che fanno diventare la narrazione, in alcuni frangenti, troppo lenti per un prodotto che, in teoria, dovrebbe fare del suo meglio verso il lato action. Regia e scrittura non aiutano più di tanto, e lo stesso si può dire per il comparto attori e attrici, che non ha quasi nulla da dire che possa interessare in qualche modo lo spettatore. Assieme a Citadel di Prime Video, un altro prodotto da evitare.

PANORAMICA

Regia
Soggetto e Sceneggiatura
Interpretazioni
Emozioni

SOMMARIO

My Name è un prodotto che manca, per la quasi totalità della serie, di idee originali o che comunque possano interessare molto lo spettatore. Una regia senza cifra stilistica e una scrittura che cerca di dire qualcosa ma senza riuscirci per la maggior parte della serie, danno come risultato un progetto che viene facilmente dimenticato, considerata l'offerta di serie TV action simili in giro sulle varie piattaforme di streaming. Nient'altro da aggiungere.
Danilo Abate
Danilo Abate
In bilico continuo fra il thriller d’autore e una pellicola di fantascienza, cerco sempre nuovi modi per riflettere, trovare prospettive inedite e sorprendermi. Parlare di cinema è parlare di opere fatte di emozioni umane, cose concrete, che vengono rese nel modo più imprevedibile e astratto. Il mio obiettivo è scandagliare ogni angolo di girato per dare voce a ciò che è nascosto tra un ciack e l’altro.

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