Motel Woodstock è un film del 2009, diretto dal regista taiwanese Ang Lee, sulla realizzazione del celeberrimo concerto di Woodstock del 1969, svoltosi a Bethel, cittadina rurale nello stato di New York, che raccolse circa cinquecento mila persone. Presentato in anteprima al festival di Cannes, vede tra gli attori protagonisti Demetri Martin e Imelda Staunton. La colonna sonora curata da Danny Elfman, storico collaboratore di Tim Burton, presenta principalmente brani classici del repertorio folk e rock anni 60.
Motel Woodstock, trama
Un ragazzo con la passione da pittore, vive una situazione economica precaria, assieme alla famiglia, con cui gestisce uno squallido motel di una cittadina di provincia vicino New York. Un giorno viene a conoscenza dell’annullamento di un concerto che si sarebbe dovuto svolgere nella comunità affianco. Da qui l’illuminazione, ovvero provare ad organizzare l’evento nel suo piccolo paese rurale. Nel giro di poco tempo, mette in piedi, insieme alla volontà di alcuni manager di etichette discografiche, un enorme concerto dedito alla musica alternativa e anticonformista dell’epoca. L’anonima e sperduta cittadina entra perciò sotto i riflettori di tutto il mondo, in grado di attirare migliaia di appassionati del genere, tra cui la ben nota comunità hippie, pronta a scardinare le regole moralistiche del luogo.
Motel Woodstock, recensione
Il regista doppio premio Oscar, Ang Lee, realizza un film tratto dall’autobiografia letteraria di Elliot Tiber. Un giovane ragazzo proprietario di un piccolo motel assieme alla famiglia, che negli anni 60 è tra gli organizzatori di uno dei festival musicali più famosi al mondo, il festival di Woodstock.
Tra gli elementi più interessanti dell’opera ci sono la scelta degli attori. Ogni personaggio ha la giusta espressione per interpretare il ruolo richiesto e si rivela adatto per la parte. Il protagonista è a metà tra l’essere alquanto impacciato ed estremamente intelligente, capace di portare in piedi un festival dalle scarse possibilità di riuscita iniziali.
La parte interessante del film è la decisione del regista di far ruotare tutta la storia, sul mostrare i vari processi ed ostacoli incontrati durante il percorso di edificazione e progettazione del festival. Frutto del lavoro di centinaia di persone che da mattina a sera, e sotto la supervisione di Elliot, hanno fatto in modo di rendere tutto magnifico ed irripetibile.
La pellicola riesce, per quanto possibile, a catturare quell’atmosfera che si presume fosse respirabile all’epoca del suo svolgimento. Merito probabilmente della grande quantità di comparse che si susseguono nel film e che contribuiscono a ricostruire un immaginario ben preciso e identificativo, grazie a un certo tipo di look e a un carattere pacifico e sereno.
La grande immaginazione di Ang Lee
Attraverso questa ricostruzione storico culturale, il regista tenta di mostrare, dal suo punto di vista, come si sarebbe svolto l’evento secondo una sua immaginazione, la quale prende ispirazione dalla realtà vera. Il film è contraddistinto infatti da una serie di elementi riconoscibili come: Il viale stradale pieno di auto parcheggiate, la gente che danza, che canta, che pratica meditazione, che fuma, si rilassa e fa sesso. Ogni particolare che lo spettatore si immagina relativo al festival, viene ricreato fedelmente nella storia.
La pellicola si concentra su questa grande comunità, legata assieme da solidi e precisi valori, di pace e speranza, in grado di fare da guida durante il cammino della vita. Si può notare il forte impatto che l’evento ha generato sulla cittadina e che oltre alla musica, è rimasto caratterizzato da tutti quei gesti e quelle azioni che hanno interessato i giovani hippie.
È giusto ricordare dell’importanza del festival di Woodstock e di come sia riuscito a passare alla storia. I grandi musicisti che si sono esibiti sul palco non bastano a tracciare un quadro unico e mai più replicato.
Il vero motore di quell’evento si deve specialmente a quella comunità di persone, che ha vissuto ed animato con grande intensità e in ogni maniera e forma possibile, quei giorni di musica e festa. La simbiosi che ha accomunato quel particolare pubblico, ha reso quella circostanza indimenticabile.
La storia si concentra esclusivamente su questo particolare, tanto che non viene intravisto neppure uno strumento musicale, per l’intera durata della visione. L’episodio si ripercuote sui tre protagonisti, padre, madre e figlio. Da tempo erano diventati una famiglia fragile e piena di insicurezze, dovuto al fattore economico. Il festival sarà l’occasione per avvicinare e accrescere il loro rapporto, scoprendo ciascuno lati del proprio carattere mai esternati prima.
Andare oltre le regole
Il difetto maggiore del lavoro di Ang Lee è che, considerando il tema proposto, anche le scene più spinte, appaiono estremamente curate e perfezionate. L’opera avrebbe dovuto osare di più ed essere più grintosa e aggressiva. È una storia molto lineare con un inizio e una fine ben definita, in cui si segue un filo logico, fino a un punto tale, che diventa prevedibile.
Il regista doveva premere più sull’acceleratore, trasgredendo maggiormente con le scene, provocando pareri divisivi tra il pubblico, esattamente come è stato il festival in sé. Se si racconta il festival più anticonformista di sempre, allora è giusto sradicare anche le regole, nella sua ricostruzione. Si assiste invece a un prodotto ben confezionato e nulla più.
Il film avrebbe dovuto adottare una forma più radicale. Una mossa che invece non si è verificata abbastanza, perché si è preferito riportare precisamente dei fatti accaduti, senza la possibilità di sconvolgere lo spettatore con una regia e una storia davvero provocatoria. Con il passare degli anni, il festival Woodstock è stato talmente istituzionalizzato, a tal punto che, anche nel suo raccontarlo, ci si limita alla descrizione di quelle poche azioni, giusto di contesto.